NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
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Marx, Engels, Lenin, Gramsci e il Risorgimento Italiano

di Italo Francesco Baldo

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Marx, Engels, Lenin, Gramsci e il Risorgimento Ita

All'indomani della fondazione della Prima Internazionale da parte di K, Marx e F. Engels, che avevano pubblicato poco tempo prima, il Manifesto del Partito Comunista a Londra. Con questo strumento di propaganda inizia la storia del marxismo, che ha coinvolto e coinvolge milioni di persone allo slogan «proletari di tutto il mondo unitevi». Era ed è una visione internazionalista che non apprezzava e non apprezza certo l'ideale di nazione, dato che essa vede solo nella struttura economica il punto fondamentale e nella rivoluzione, anche con metodi violenti, la realizzazione di un mondo... tutto da scoprire. Non poteva certo apprezzare queste indicazioni i maggiori esponenti del Risorgimento italiano di fede repubblicana. Anzi, Giuseppe Mazzini fin dal 1845, conoscendo le prospettive marxiane, non manifestava verso di loro adesione. Ma dopo la pubblicazione dello scritto menzionato, diversi nel risorgimento italiano presero in serie considerazione quando veniva indicato, soprattutto là dove era precisato: «in una parola, i comunisti appoggiano dappertutto ogni moto rivoluzionario contro le condizioni sociali e politiche esistenti». Ciò doveva servire e servì per poter ulteriormente indicare: «In tutti questi moti essi, i comunisti, mettono avanti sempre la questione della proprietà, abbia essa raggiunto una forma più o meno sviluppata, come la questione fondamentale del movimento». Ai protagonisti dei moti italiani, in particolare, la prima affermazione sembrava operare per la prospettiva di un'Italia unita, repubblicana, democratica. Sfuggiva, almeno in parte la seconda indicazione. Sarà proprio questa che allontanerà farà maturare in modo netto e preciso l'opposizione mazziniana all'internazionalismo comunista Mazzini. ben si espresse nel 1860 Mazzini, allorché accusò il pensatore di Treviri di privilegiare la dimensione economica, riducendo di fatto ogni realtà umana a questa. Il credo del repubblicano di Genova, specificato nel libro De doveri dell'uomo era infatti: Dio, Patria e Famiglia, dove la coniugazione - si badi - non cristiana dei tre fondamentali elementi doveva gettare le basi per una nuova società, nella quale il coinvolgimento del popolo fosse fondamentale. In Mazzini una coniugazione di elementi tratti della visione massonica, con l'ideale repubblicano doveva servire allo scopo e a ciò si adoperò fin dall'epoca nella quale egli militava nella Carboneria e soprattutto queste idee maturarono con la Giovane Italia e la Giovane Europa. Non ottennero successi, si ricordi la spedizione dei Fratelli Bandiera o la spedizione di Carlo Pisacane, ma l'ideale mazziniano opererà comunque nella direzione dell'Unità d'Italia e a lui si deve quel motto che, ritengo, sia ancora oggi importante. Non ditevi, di questa o di quella parte della penisola, ma premettete sempre Italiano Vicentino, Italiano Napoletano, ecc.

Marx e anche Engels, di fronte al Risorgimento Italiano dapprima intravidero il senso rivoluzionario, ne sostennero l'importanza, ma di fronte al fallimento dei moti di fatto accusarono i ceti dirigenti, i quali «apertamente o segretamente, hanno fatto di tutto (...) per paralizzare la forza popolare e per ripristinare, in sostanza, il più presto possibile, l'antico ordine di cose». Non andò bene nemmeno per Mazzini, Marx lo accusava, nel suo modo sempre pesante con gli avversari, di «leccare il ......... ai borghesi liberali» e soprattutto di populismo, ossia di non volere quella rivoluzione dei rapporti economici, la struttura la definiva Marx, che è l'unica alla base dei veri cambiamenti. Il Risorgimento italiano inseguiva i fantasmi del liberalismo capitalistico, in fondo l'unità d'Italia sarà, secondo la prospettiva del marxismo, opera dei ceti dirigenti e non sarà mai espressione del popolo. Non occorre ricordare Milano, Vicenza, Brescia, Venezia, Padova, ecc. per smentire questa affermazione. Certamente Marx e Engels non andarono mai teneri con il risorgimento come può dimostrare la lettura dei loro scritti (Sul Risorgimento italiano, Roma, Editori Riuniti, 1959). Proprio ai fondatori del comunismo si deve la negazione del valore della nazione e della patria, esse, per utilizzare un linguaggio marxiano, sono sovrastrutture, forse di coscienza dipendente dal capitalismo e pertanto negative. Ben continuò la loro opera Lenin, quando temeva che gli internazionalisti dimenticassero il valore della prospettiva comunista e si trovassero rifugio nel nazionalismo e nel pacifismo piccolo borghese. Infatti. precisa il rivoluzionario nelle Tesi per il secondo congresso dell'Internazionale Comunista del 1920: «Il nazionalismo piccolo borghese riduce l'internazionalismo al riconoscimento della parità giuridica delle nazioni e (senza dire il carattere puramente verbale di questo riconoscimento) lascia intatto l'egoismo nazionale, mentre l'internazionalismo proletario esige anzitutto la subordinazione degli interessi della lotta proletaria in un paese agli interessi di questa lotta nel mondo intero ed esige inoltre che la nazione la quale sta vincendo la propria borghesia sia capace dei più grandi sacrifici nazionali e sia disposta ad affrontarli per abbattere il capitalismo nazionale». Nulla di identità culturale e nemmeno di bellezza nazionale, come cantavano i maggiori poeti del Risorgimento Italiano, tra cui il vicentino Giacomo Zanella. Non dissimile la posizione di Antonio Gramsci e la cosiddetta "rivoluzione mancata" del Risorgimento. In effetti i maggiori esponenti del comunismo non accettarono mai il Risorgimento nei suoi veri ideali, li utilizzarono anche durante al resistenza, ma non furono e non sono il terreno di identità. Conta solo la rivoluzione economica, ma a costoro e a tutti coloro che credono che la politica sia faccenda "di schei", dobbiamo ricordare quanto Giacomo Zanella scrisse in L'uomo è nato alla società del 1846: «Pe' tuoi giardini, Italia, / innamorato io movo; / Dal Brennero al Vesuvio / Fratelli ovunque io trovo» e proprio per questo e non solo per la fallita rivoluzione comunista che però sopravvive come illusione in molti ancora italiani che si fanno scudo dell'idea di nazione solo quando serve a loro scopi, dobbiamo, un po' di retorica non fa male, degl'inni d'Italia ridestare il concerto.

 

nr. 07 anno XVI del 26 febbraio 2011

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