Vicenza ebbe un vero ruolo nel processo di unità d'Italia, in particolare con gli avvenimenti del 1848, e successivamente i suoi cittadini si impegnarono con grande determinazione nel processo unitario. Molti sono da ricordare di coloro che patirono per gli ideali e che andarono esuli e si auto esiliarono per poter in altri luoghi propugnare questo ideale. Basti a tal proposito ricordare la famiglia Fogazzaro che esulò a Torino o Bartolomeo Bressan. Altri dovettero rimanere, ma il loro impegno non venne meno. Tra questi si erge la figura di Fedele Lampertico, che coltivò gli ideali unitari fin da giovinetto. Respirava infatti l'aria della filosofia rosminiana circa il problema dell'unità d'Italia e questo senza dubbio gli venne da quel formidabile circolo culturale e spirituale che in diverse figure di educatori aveva il suo fulcro. Nomi ben noti come quelli don Giuseppe Fogazzaro, don Giacomo Zanella, don Antonio Sandri, don Carlo Bologna e dai reverendi da Paolo Mistrorigo a Giovanni Rossi che si dedicavano alla loro missione e con lo zelo della cultura, anche classica, diffondevano la necessità dell'unità, ossia della libertà dallo straniero. Nasce Fedele Lampertico nel 1833 e dopo gli studi liceali a Vicenza si laureò in Giurisprudenza. Si sposò con Olimpia Colleoni Porto, ne rimase vedovo nel 1861 e da lei ebbe tre figli, Angelina, Domenico e Orazio. Nel 1866 a causa delle sue idee, espresse in numerosi scritti, dovette lasciare Vicenza, ma vi ritornò dopo la cessione del Veneto al Regno d'Italia. Fu deputato e dal 1873 senatore del Regno, cattolico fu tra i pochi a partecipare attivamente alla vita politica del giovane Stato. Fu sempre protagonista nella propria città sia come amministratore (Presidente della Provincia di Vicenza dal 1870 al 1905) sia come uomo di cultura, e dedito al miglioramento della società, fondò la Società del Mutuo Soccorso di Vicenza. La sua figura servì al nipote A. Fogazzaro per delineare un personaggio in Piccolo mondo antico. I suoi interessi spaziavano dalla storia, in particolare quella veneta, alla statistica. Lasciò moltissime opere di interesse politico economico e storico. In occasione del centenario della morte nel 2006 furono ristampate alcune tra le più significative (Per Vicenza e il bene comune. Opere scelte di Fedele Lampertico, Premessa di S. Romano, Introduzione di I.F. Baldo, a cura di T. Assirelli e I.F. Baldo, Vicenza, Istituzione pubblica Culturale Biblioteca Civica Bertoliana, 2006 e F. Lampertico, Vicentinerie di storia e varia cultura: saggi e studi di F. Lampertico, a cura di E. Franzina, Vicenza, Accademia Olimpica, 2006, 2 voll. Lasciò incompiuto il Trattato sull'economia politica dei popoli e degli stati. Tra le sue opere che riguardano direttamente la questione dell'unificazione citiamo Urgenza della questione veneta e Relazione di uno statista veneto ad un ministro austriaco del 1864, che costarono l'esilio al Lampertico. Era ormai agli sgoccioli la dominazione austriaca del Veneto e di Mantova, che, infedele al trattato di Plombières, come scrisse giovinetto Antonio Fogazzaro nel suo quaderno di appunti, Napoleone III, non erano già italiane. Fatta l'Italia, Lampertico si diede a fare gli Italiani, con un impegno locale e nazionale attivo e preciso fino alla sua morte avvenuta nel 1906. La sua figura è esemplare nella vita cittadina e nella vita privata. In quest'ultima coltivò fino alla fine un vero amore amicale per Giacomo Zanella, suo maestro, ma anche suo confidente. L'abate Zanella costituì per Lampertico un amico al quale affidare anche la direzione educativa dei propri figli e Zanella trovò chi dava quel calore che solo l'amicizia sa dare. Collaborarono anche per la cultura, ricordo in particolare il loro sodalizio per il centenario di Dante nel 1865 e per quello, nel 1880, della morte di Palladio. Questa amicizia fu ben riassunta nelle parole di Augusto Conti "Così degno l'uno dell'altro". Un'amicizia anche nel segno della ricerca dell'unità d'Italia. A lui il poeta dedicò diverse composizioni, tra tutte emerge quella che fu scritta dopo la sconfitta del X giugno 1848 degli insorti di Vicenza, nel novembre dello stesso anno e quando le speranze di unità non erano del tutto svanite. Questa poesia che riproduciamo ci fa ben inserire negli aneliti e le speranze che il maestro coltivava e che voleva trasmettere all'allievo. Una tensione ideale che l'allievo ben recepì e fece propria. Questo protagonista vicentino dell'Unità d'Italia è un esempio di quella dolcezza dell'amor di patria che l'illustre latinista del Seminario vicentino del primo Ottocento Carlo Bologna indicava come formazione dell'uomo e in particolare dell'uomo italiano.
La composizione di Giacomo Zanella è in data novembre 1848; terminata la prima fase militare della I guerra di indipendenza e firmato l'armistizio di Salasco il 9 agosto 1848, non erano però morte le attese. Infatti, la guerra riprese l'anno successivo, ma con la sconfitta di Novara (23 marzo 1849), le speranze sfumarono, anche se vi furono i tentativi di resistenza della Repubblica Veneziana di D. Manin e di quella Romana con Armellini Saffi e Mazzini. Carlo Alberto abdicò in favore del figlio Vittorio Emanuele. Ma qui lo Zanella traccia ancora il senso del possibile futuro.
Ad un amico abile suonatore di pianoforte nel novembre 1848
1. | T'accosta all'eburneo Canoro strumento; Degl'inni d'Italia Ridesta il concerto; Degl'inni che al Teutono Imbiancan la gota, Ridesta la nota. Rapito nel vortice Del'onda sonora Indomito e libero V'credermi ancora: Sia sogno: a quest'ultima anima Lo splendido sogno È fiero bisogno. Fuggente l'Austriaco D'un ultimo sguardo Saluta dal Brennero Il cielo lombardo: Sul doppio suo pelago Si asside regina La Donna latina. Festose, col sonito Di sciolti torrenti, Sul Tebro si accalcano L'italiche genti; Devote sospendono Agli auspici altari I liberi acciari. Membrando con lagrime Le corse fortune, Le preste vittorie D'un'ira comune, A lieti si accolgono Fraterni conviti Guerrieri e leviti. Chi son quelle pallide Scettrate figure, Che torve bisbigliano Arcane congiure? I fati d'Italia Maligno dall'ara Un fato separa. | 2. | Del pianto ricercami, Amico, la corda Che d'Adige, e Mincio Le tombe ricorda, E lesa d'un martire L'augusta corona In riva di Olona. D'un sangue magnanimo Indarno cruenta, Le fughe, i patiboli Italia lamenta; De'figli sul cenere Lamenta l'insulto De barbari inulto. Che speri, o carnefice? Dall'urna de' forti repente fiammeggiano I brandi risorti: Antica de'popoli Diletta al Signore, Italia non muore. Amico, ricercami La corda che freme, Che susciti il palpito Dell'itala speme; Che l'ebbre vigilie Conturbi d'affanno Al giovin tiranno. In seno all'adriaca Non dóma laguna Ardire superstite Le folgori aduna: Al nembo barbarico Ruggendo si oppone De'dogi il leone. Sui mari rimormora Il rombo guerriero: In capo l'Allobrogo Rimette il cimiero, E vindice impavido Sull'insubre vallo Sospinge il cavallo |
nr. 10 anno XVI del 19 marzo 2011