NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
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Un gentiluomo è salito al colle

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Un gentiluomo è salito al colle

NAPOLITANO (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Il prof. Mario Monti riceve la nomina a senatore a vita dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ai primi di novembre del 2011 e il giorno 16 novembre viene incaricato, sempre dal Presidente Giorgio Napolitano di formare un nuovo governo. Un governo di emergenza, con una maggioranza larghissima in parlamento, nato dalla rinuncia di Silvio Berlusconi al suo ruolo di Presidente del Consiglio dei Ministri mai sfiduciato. Arresosi senza combattere, cosa questa che non è affatto nel carattere del personaggio Silvio. Attorno a questi fatti si sono intrecciate leggende, sono state costruite situazioni da fantapolitica Si è parlato, scritto, divulgato notizie di patti e di contratti. Storie inventate? Forse ma che sono corse per tutto il Paese e anche all’estero. Nel luglio del 2011 un giornalista, Fabio Martini, pubblica su “La Stampa” (24 luglio 2011): «Un incontro di cui nulla si è saputo, riservato a pochi e selezionatissimi invitati» tenutosi al Ca’de Sass, storico palazzo della finanza milanese alcuni giorni prima, precisamente alle 19 di lunedì 18. Chi erano gli «invitati» all’incontro? Romano Prodi, Carlo De Benedetti, Corrado Passera, Giovanni Bazoli e, naturalmente Mario Monti. Ma vi è un altro racconto che circola, con tutti i possibili interrogativi e dubbi sulla sua verità ma che racconta di un altro incontro, riservatissimo a dei rappresentanti qualificati, anche se non di primo piano, di diversi paese esteri che si Un gentiluomo è salito al colle (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)arebbero incontrati, in Milano, proprio con Mario Monti per parlare del futuro dell’Italia. Ed era l’estate del 2011. Il governo della speranza e del rilancio dura si e no un anno e mezzo e il suo principale sponsor, il Presidente, sta per concludere il suo mandato. Qui le cose si complicano e, guarda caso, ruotano tutte attorno al PD. Pressappoco in questi stessi giorni comincia a volteggiare per i cieli d’Italia il folletto entusiasmante che risponde al nome di Matteo Renzi. Vi sono le primarie nel PD, dove Bersani vince e Renzi perde ma con l’aureola dell’eroe che vuole fare piazza pulita – rottamare, termine alquanto infelice ma efficace- e ridare vigore alla politica. Bersani guida il PD alla quasi vittoria cavalcando il porcellum che gli regala una vagonata di deputati, non gli regala nulla al senato e lo mette di fronte alla triste realtà di aver vinto per perdere. Una chiara vittoria di Pirro. Dopo di questo è tutto un susseguirsi di cadute verticali: non si fa un governo, non si elegge Franco Marini, detto “il lupo marsicano” alla Presidenza della Repubblica, non si elegge il prof. Romano Prodi, tradito dalla oscura marcia dei 100 (+ uno? ) tutti del PD. Bersani si dimette, anche lui tradito dai suoi amici, tanto da farci venire alla mente un antico proverbio, che son sempre il sale, e il pepe, della cultura popolare “che Dio mi guardi dagli amici che dai nemici mi guardo io”. A questo punto, con il cappello in mano e la cenere sul capo i grandi leader dei partiti implorano Napolitano che accetti di rimanere in carica per altri, forse, sette anni. Il “forse” lo mette il Presidente che tanta voglia di disfare le valige, pronte per la meritatissima pensione, e di fermarsi al Colle non ne ha. Qualche giorno fa perfino un giornalista straniero ha partecipato, con un suo libro, alla riscoperta del Caso pre Monti e momento più preciso per far rumore attorno ad una storia vecchia e, autentica o meno, comunque nota, non poteva esserci- Si stava preparando la strada, l’autostrada, anzi ROMANO_PRODI (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)la pista da formula 1, per l’uscita di scena del Governo Letta, nato come governo di larghe intese ma abbondantemente ridotto a vivacchiare per via degli abbandoni, degli attacchi incrociati e del fuoco amico. Nell’azzurro del cielo italiano intanto volteggia l’ entusiasmante folletto. Ma andiamo con ordine. In aprile del 2013, il giorno 24, Enrico Letta riceve l’incarico dal Presidente della Repubblica di formare un nuovo governo. Alla Camera dei deputati il 29 dello stesso mese riceve l’assenso con 453 voti favorevoli e 153 contrari su 623 votanti e 17 sono gli astenuti. Risultato ottimo che si ripete al Senato: 233 sì, 59 no e 18 astenuti. Se non è un trionfo poco ci manca. Ma arrivano le nuove primarie del PD. Non per indicare un successore a Letta in una normalissima costituzionalissima tornata elettorale. Semplicemente per eleggere il segretario del PD. Letta non si tocca, anzi, non si deve proprio toccare. E questa volta Matteo Renzi vince, e vince alla grande. Ma sempre in casa del PD. Ecco che il giovane virgulto della politica ha finalmente trovato il nido, pardon il palazzo, che gli va bene. Ha una grande voglia di fare, di aiutare questa nostra malandata terra italiana a riprendere vigore, di spingere con forza la locomotiva su per le erte pendici dei nostri problemi e decide di farlo in prima persona. Gli serve un altro palazzo. Più importante, più incidente, più influente, più allettante. E, detto fatto (per nulla è l’uomo del fare) si prende Palazzo Chigi che si trova in pieno centro storico di Roma, in via del Corso, a metà strada tra Piazza del Popolo e Piazza Venezia. Nomi e luoghi che rammentano qualche cosa a tanti italiani.. Ma per farlo deve dare lo sfratto all’inquilino che legittimamente lo occupa. Roba da niente. Una bella riunione della Direzione del PD, quattro bei discorsi, un salutino all’inquilino Letta, e il gioco è fatto. Arriva il nuovo inquilino con un pacco di voti non indifferente in saccoccia. Un paio di milioni di voti. Peccato che siano voti espressi per tutt’altra ragione che nulla a che fare con il governo dell’Italia. Ma Matteo Renzi, forte del 4% dei voti dei italiani a questi particolari non ci bada più di tanto. Qualche altro bel discorso, cosa questa che gli riesce molto bene, e tutto viene riposto nel cassetto della memoria. Al Colle, a salutare il Presidente della Repubblica ci sale, in solitaria, un galantuomo e un gentiluomo, Enrico Letta, per dimettersi. Poi, serenamente, va dal primo giornalaio che incontra a comperare le figurine dei giocatori di calcio per i suoi figliuoli. Amen.

 

Mario Giulianati

 

nr. 07 anno XIX del 22 febbraio 2014





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