NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
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L’Italia che non mi piace

di Mario Giulianati

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L’Italia che non mi piace

È il momento di “gloria” di un personaggio che ha una storia interessante e che assume, proprio ora, la difesa ad oltranza di tanti personaggi che vivono situazioni analoghe alle sue. Sono i grandi dirigenti pubblici del nostro Paese, e a sostenerne il ruolo, e sopra tutto le retribuzioni, scende in campo l’ing. Mauro Moretti che non esita ad affermare, dichiarazione riportata abbondantemente dalla stampa nazionale, «Lo Stato può fare quello che desidera, sconterà poi il fatto che una buona parte di manager vada via. Questo lo deve mettere in conto». Questo a fronte della dichiarazione del Premier Renzi che gli stipendi dei dirigenti pubblici non possono essere superiori a quello del Presidente della Repubblica, pensiero che condivido in pieno e che ho manifestato in tempi non sospetti. Ribadisce l’ing. Moretti la sua determinazione ad andarsene dall’azienda delle FS se il Premier insiste nella sua posizione. E il Premier insiste «Confermo l'intervento di spending review sui manager pubblici e su quelli che non hanno mai pagato per questa crisi». Non metto in discussione le qualità e i meriti dell’ing. Moretti. Mi limito a dire che da quel che ho provato di persona e da quel che leggo sulla stampa quotidiana, non mi pare che le Ferrovie dello Stato siano uno strumento di trasporto appetibile per quei viaggiatori che se ne debbono servire, per lavoro, quotidianamente. I pendolari. Ma il richiamo che fa l’ing. Moretti ai valori stipendiali dei suo colleghi di mezzo mondo, mi spinge a considerare un fatto. Quello del “rischio d’impresa” che tanti manager corrono quotidianamente ma che lui proprio non corre per niente. Casomai il rischio d’impresa delle Ferrovie dello Stato lo corrono gli utenti, quindi tutti gli italiani. Do un’occhiata al suo curriculum, ed è evidente che mi servo di Wikipedia che scrive “Attualmente è l'amministratore delegato del gruppo Ferrovie dello Stato, Presidente della Fondazione FS Italiane (marzo 2013), Presidente del Consiglio di Amministrazione di Grandi Stazioni (2008) e Responsabile ad interim della Direzione Centrale Affari Internazionali e Istituzionali” Tralascio gli incarichi internazionali e vado in cerca di un po’ di storia. Riporto nuovamente, riassumendo, “Si è laureato all'Università degli Studi di Bologna nel 1977. Nel 1978 è dapprima quadro presso l'Officina Trazione Elettrica di Bologna, attuale ONAE e poi dirigente nelle Ferrovie dello Stato, dove ricopre numerosi incarichi: Vice Direttore Divisione Tecnologie e sviluppo di Sistema Direttore Divisione Sviluppo Tecnologico e Materiale di Sistema, Amministratore Delegato di Metropolis -la società del gruppo Ferrovie dello Stato che controlla e gestisce i beni immobiliari- Direttore Area Strategica di Affari "Materiale Rotabile e Trazione"Direttore area Strategica di Affari "Rete", Consigliere di Amministrazione di Ferrovie dello Stato, Amministratore Delegato di Rete Ferroviaria Italiana ed infine, Amministratore Delegato di Ferrovie dello Stato nel settembre 2006.Sempre e solamente all’interno di una azienda pubblica. Vi è poi la parentesi sindacale “Iscritto alla Cgil dai primi anni ottanta, Moretti scala i vertici sindacali fino a diventare segretario nazionale della Cgil Trasporti dal 1986 al 1991”. Va dato atto che ha anche ottenuto dei successi nel risanamento dei bilanci delle Ferrovie statali. Ma da nessun lato, salvo che non si voglia considerare la vicenda che lo vede iscritto nel registro degli indagati per la Strage di Viareggio - Il 18 luglio 2013 Moretti assieme ad altri 32 indagati è stato rinviato a giudizio ed è ora in attesa dei tre gradi di giudizio prima che si arrivi al verdetto definitivo - mi riesce di individuare un rischio d’impresa che lo possa penalizzare sul piano delle sue retribuzioni, gli faccia rischiare un fallimento o cose del genere. In un momento come quello che sta attraversando l’Italia credo che un personaggio, certamente capace e importante, che percepisce uno stipendio di 873.000 euro all’anno si rifiuti, come d’altra parte altri prima di lui, grandi servitori dello Stato hanno fatto, di collaborare alla salvezza del Paese, mi pare alquanto sconcertante. Ma se i “grandi” dell’Italia che lavora non partecipano personalmente ai sacrifici ai quali sono soggetti tutti i “piccoli” allora vi è qualche cosa che non va per il verso giusto. Quanto meno non spetta più a questi il diritto di essere coloro che pretendono di operare le scelte per tutti. Mi auguro che il Premier Matteo Renzi non ceda di un millimetro sulla sua posizione. L’Italia che abbassa la testa e lavora duro gli riconoscerà il merito.

 

nr. 12 anno XIX del 29 marzo 2014  

 



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