NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
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Contro i libertini: almeno una morale provvisoria

di Italo Francesco Baldo

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Contro i libertini: almeno una morale provvisoria

R. Descartes

 

Introduzione

 Nell’epoca del grande dibattito intorno alla libertà di coscienza e della nascita dei libertini sviluppa la sua ricerca nelle scienze, comprese quelle filosofiche uno dei pensatori che ha avuto ed ha un ruolo importante nella riflessione. Si tratta di Renè Descartes-Cartesio (1596-1650), noto per l’elaborazione del “metodo” che riunisce in sè i vantaggi della logica, dell’analisi geometrica e dell’algebra senza i loro difetti, in particolare l’astrattezza. Era necessario, sosteneva il filosofo, che nella possibilità ordinata della ricerca della verità non vi fossero troppe leggi, dato che queste spesso scusano gli errori e i vizi, piuttosto che evitarli. Così nella scienza erano necessarie poche regole per ben dirigere l’intelletto e queste dovevano essere rigorosamente osservate. A queste quattro regole si assegna anche il nome di “precetti”, ossia regole di comportamento tassative e, nello stesso tempo, autorevoli.

L’esigenza di questo metodo era nata in Cartesio dal suo scontento per l’insegnamento ricevuto nelle scuole dei Gesuiti, a La Fleche, un comune del dipartimento della Sarthe nella regione della Loira. La ratio studiorum prevedeva lo studio, spesso mnemonico, degli antichi. Unito allo studio della storia, della letteratura (eloquenza e poesia) delle matematiche, dell’etica, della teologia e della filosofia. Un corso complesso che, alla fine lasciò insodisfatto il giovane Descartes. Nemmeno i viaggi e la conoscenza di tante opinioni e costumi lo accontentarono e così egli si risolse a cercare in se stesso per trovare una via da seguire Ciò non con il proponimento di insegnare il metodo che ciascuno deve seguire per indirizzare bene la sua ragione, ma soltanto per mostrare in che modo aveva cercato d’indirizzare la sua. (Discorso sul metodo, a cura di G. de Ruggero, Milano, Mursia, 1972 p.30 passim).

Contro i libertini: almeno una morale provvisoria (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Un metodo che ha dato a Cartesio, come le famose coordinate, fama imperitura e ha segnato per primo il ruolo del soggetto nella conoscenza, da intendersi però non come conoscenza fondata sui sensi, ma sulla ragione che è la sede della vera elaborazione scientifica.

Così gli pose mano non tanto alla riforma della scienza matematica, anche se in questa conoscenza il filosofo rimane uno degli artifici degli sviluppi moderni, quanto del modo con cui dobbiamo fare scienza. Il progresso che è segnato e sulla scia di G. Galilei, dove la scienza della natura si fonda sulla matematica e non sulla semplice descrizione dei fenomeni. Procedendo con cautela, non prendendo per vero quello che sembra tale, ma dimostrando, non seguendo le opinioni, che spesso sono più il frutto di una moda che non sia una ricerca della verità. Così nasce il metodo ed esso, applicato con rigore in tutte le discipline, consente una vera comprensione e un autentico progresso nelle conoscenze. Non si tratta di un atteggiamento psicologico, come chiamiamo oggi i cosiddetti metodi che si suggeriscono agli alunni per studiare meglio, ma di regole di procedura scientifiche. Sono quattro e hanno valore a patto che si prenda una ferma e costante risoluzione a non venir meno una volta sola alla loro osservanza (cfr. ivi, p.48).

Il primo precetto è quello “ di non ricevere mai per vera alcuna cosa che io non conoscessi in modo evidente per tale, in altre parole di evitare accuratamente la precipitazione e la prevenzione, e di non includere nei miei giudizi niente di più di quello che si presentasse così chiaramente e distintamente alla mia mente, da non lasciar luogo a dubbi.” (ivi, p.49). Questa chiarezza è propria degli assiomi in geometria: sistema dei 4 + 1 postulati di Euclide. Ricordiamo che 1899 David Hilbert (862­1843) nei suoi Grundlagen der Geometrie ne ha adottati 21 originando le geometrie non euclidee.

Ne consegue che in ogni ricerca è necessario avere chiarezza e distinzione dei principi fondativi, come lo sarà per la fisica nella proposta che fece I. Kant nel 1786 con i suoi (Primi principi metafisici della scienza della natura, a cura di I. F. Baldo, Abano t. (PD), Piova Ed., 1989) e come richiede ogni scienza, ad esempio la chimica con il primo fondamentale principio, la conservazione della materia, di A.L. Lavoisier (1743-1794), enunciato nel 1789 con il Traité élémentaire de chimie, (Paris, Cuchet) che pone l’espressione Nihil est in intellectu quod non prius fuerit in sensu (cfr. Introduzione) a fondamento di tutta la ricerca chimica, attraverso proprio la frequenza ai laboratori e ciò secondo le indicazioni di E. B. Condillac (1715-1780), il fondatore del sensismo.

Il secondo precetto di Cartesio, afferma: ”dividere ciascuna delle difficoltà da esaminare nelle parti di cui è suscettibile e di cui c’è bisogno per meglio risolverla" (ivi, p.49). È la regola dell’analisi che consente, stante i principi, di procedere nella conoscenza geometrica, ovvero di individuare tutti gli elementi che costituiscono una figura, un solido. Così come nella chimica conoscere gli elementi fondamentali e le loro caratteristiche e le possibili elaborazioni, mediante essi.

La terza regola, che va seguita scrupolosamente come le altre, indica: “condurre con ordine i miei pensieri, cominciando dagli oggetti più semplici de più facili a conoscere, per salire a poco a poco, come per gradi, fino alla conoscenza dei più complessi, e supponendo che, tra quelli che non si succedono naturalmente, esiste tuttavia un ordine.” (ivi, p.50) Questo precetto è detto della sintesi, ovvero di individuare il complesso che si costruisce con gli elementi dell’analisi, ricostruendo le cause per cui qualcosa è e soprattutto individuando la ragione, anche quando questa non sia così evidente. È la prima enunciazione del principio di ragion sufficiente, elaborato successivamente da G. Leibnitz (1646-12716) nella Monadologia (a cura di G. de Ruggero, Bari, Laterza, 1975, 32, p.128): “ in virtù del quale giudichiamo impossibile che alcun fatto sia vero od esista, e alcuna proposizione sia vera, se non v’è ragione sufficiente perché sia così e non altrimenti; per quanto tali ragioni il più delle volte non possano essere conosciute.”

L’ultima regola consiste “nel far dovunque delle analisi così complete e delle rassegne così generali, da essere sicuro di non omettere nulla” (ivi, p.50-51). Viene anche ricordata come il precetto dell’enumerazione o della verifica; si tratta in realtà di applicare il metodo induttivo per comprendere ogni realtà nei suoi principi. Così qualsivoglia figura geometrica deve essere ricondotta ai suoi fondamenti perché si abbia la certezza che essa sia appunto una figura geometrica.

Un metodo che lo stesso Caertesio aveva in precedenza analizzato e delineato nelle Regulae ad directionem ingenii del 1628, (Regole per la direzione dell'ingegno, a cura di D. Antiseri, G. Reale, S. Tagliagambe, Milano, Bompiani, 2009, p.70-139) dove il filosofo aveva indicato norme per sviluppare la "retta mente" in vista del conseguimento della "sapienza universale", che è sempre fondata sulla matematica e anche di fronte ad essa né possibile dubitare (cfr. Principi della filosofia, ivi, p. 439) e ciò è possibile perché l’uomo è dotato di libero arbitrio che ci permette di evitare l’errore (ibidem) e astenerci da ciò che non è certo. Successivamente ritenendo che 21 regole fossero “troppe” le ridusse alle quattro di cui abbiamo riportato.

Per le scienze matematiche, le certe dimostrazioni, mediante il metodo, attestano la via della verità, ma non in ogni realtà umana accade immediatamente questo. Infatti, la via della conoscenza diviene certa e la via che dovrebbe regolare le azioni? Cartesio auspicherebbe che anche in ambito morale, ossia nella riflessione sulle azioni si potesse raggiungere quella stessa certezza che si possiede nelle conoscenze scientifiche. Ma la via è addirittura più complessa¸semplicemente per questo motivo. La conoscenza scientifica può essere raggiunta anche attendendo i risultati della ricerca, ma per l’azione bisogna comprendere che essa è quotidiana, direi quasi di ogni attimo e non aspetta. Pertanto è necessario, considerato che l’uomo è preda di passioni, individuare delle regole, dette massime, provvisorie per l’azione stessa, nell’attesa di una loro determinazione certa come per le matematiche. Difficile compito, perché le azioni umane sono determinate anche dalle passioni che coinvolgono sia la ragione sia la struttura fisiologica del corpo. Cartesio approntò nei suoi studi una precisa analisi della morale, cercando di dare una visione “razionale” ad essa, ma il contributo maggiore in questo campo, resta la morale provvisoria, che indica la via del buon senso delle faccende del mondo.

 

 La morale provvisoria

Contro i libertini: almeno una morale provvisoria (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)

Nel 1649 Cartesio pubblica Le passioni dell'anima ( ed. Bompiani citata, pp.571-699), nell’opera analizza, cercando di dare, rispetto agli antichi, maggiore chiarezza, anche gli aspetti fisiologici e neurologici delle azioni/passioni che sono determinate dall’anima attraverso il collegamento cervello/ ragione e corpo per mezzo della ghiandola pineale (è l’epifisi, una ghiandola e appartiene all'epitalamo ed è collegata mediante fasci nervosi alle circostanti parti nervose. Produce la melatonina, questa, a causa della calcificazione della ghiandola, spesso non è più prodotta in età adulta). La ghiandola serviva a risolvere il difficile rapporto tra ragione/anima e corpo. Con questa il filosofo tenta di dare razionalità alle azioni, come l’aveva data alle conoscenze con il metodo e per questo nella sua disamina tiene presente la ragione, l’anima/volontà e il corpo, perché nella dimensione morale tutte sono coinvolte e conoscere anche come un’azione è compiuta, contribuisce a darle quella necessaria e richiesta razionalità per non abbandonarsi all’istinto e alle azioni casuali. Conoscere per agire nel migliore dei modi.

Oggi la soluzione di Cartesio ci appare “azzardata”, soprattutto per la funzione della ghiandola pineale, ma era allora una risposta circa il problema del collegamento tra ragione e corpo, che gli odierni studi delle neuroscienze stanno mettendo in luce. Ciò che risulta importante è che ciò serve a Cartesio per risolvere il problema della volontà dell’anima e della sua libertà.

Il corpo, sostiene il filosofo, è affetto da sei principali passioni che “dispongono l’anima a volere le cose per cui preparano il loro corpo, di modo che il sentimento della paura la incita a voler fuggire, quello dell’audacia a voler combattere, e così via.” (ivi, p.608). La volontà è libera – prosegue Cartesio – per sua natura che non può mai essere costretta” (ibidem). Pertanto il volere qualcosa, fa muovere la piccola ghiandola e produce l’effetto che si riferisce alla volontà di compiere quell’azione. La libertà propria dell’anima è connessa con il corpo e le passioni; le principali da cui derivano le moltissime composte sono: meraviglia, amore, odio, desiderio, gioia, tristezza. Queste orarono causate dal volere dell’anima ora dal temperamento del corpo (ivi, p.617) che, ad esempio incontra un oggetto mai prima veduto. Ciò suscita meraviglia e spinge alla conoscenza. Ma l’amore spinge invece gli uomini alle cose buone o suscita se cattiva, odio (pp.621-22). L’analisi di Cartesio è molto vasta e considera tantissime passioni, lui sostiene “tutte” (ivi, p.686); per ricordarne alcune: rimorso, scherno, invidia gloria, vergogna, ecc. Le passioni sono “per natura buone” noi “dobbiamo solo evitarne gli usi cattivi o gli eccessi” con opportuni rimedi, ad esempio di fronte all’ingratitudine dobbiamo sapere che essa appartiene agli uomini brutali o scioccamente ingrati (ivi, p. 680) e pertanto li dobbiamo evitare.

Senza però dilungarsi su questo trattato, è opportuno ricordare che per agire bene, fino a quando non si conosceranno tutte le conseguenze delle azioni mediante una determinazione razionale, cui questo trattato cerca di dare supporto, per Cartesio è opportuno servirsi di una morale provvisoria che consenta di agire bene anche nella quotidianità, perché l’uomo agisce quotidianamente e se intende agire per il bene e quindi con coscienza, egli deve attenersi a queste massime e ciò al fine soprattutto di evitare le affezioni, quei comportamenti involontari che generano realtà cattive.

Contro i libertini: almeno una morale provvisoria (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)È la morale provvisoria per riuscire “a vivere più felicemente che fosse possibile” (Discorso sul metodo, op. cit., p.57), ovvero il dotarsi di tre massime da seguire nelle mie azioni. Esse derivano in gran parte dalla filosofia antica, in particolare lo scetticismo, lo stoicismo e il cinismo, ma esse non costituiscono il fine, ma una condotta provvisoria da seguire fino a che la ragione non avrà dato, cfr. Le passioni dell’anima, certezza sul modo di condursi. Il valore di questa morale provvisoria appare chiaro proprio per la chiarezza delle indicazioni e potremo dire per quel buon senso che la ragione indica a ciascun uomo. Così Cartesio enuclea le massime che ogni soggetto deve far proprie.

La prima massima pratica scrive Cartesio è “ di obbedire alle leggi e alle usanze del mio paese, conservando costantemente la religione in cui dio mi ha fatto la grazia di essere istruito fin dall’infanzia e governandomi nel resto secondo le opinioni più moderate e più lontane dagli eccessi, praticamente comunemente dagli uomini più sensati tra cui mi sarebbe toccato vivere” (ivi, pp.57-58). Se non consoci esattamente, non azzardare comportamenti strani, comprendi gli esempi di coloro che son galantuomini e l’evitare gli eccessi che riconduce a quel giusto mezzo nella morale di cui parlava Aristotele consente un esercizio buono della libertà, la quale non può vivere di promesse, ma di quanto è certo.

La seconda massima indica che è necessario “essere il più fermo e risoluto nelle mie azioni che fosse possibile, e di seguire le opinioni anche più dubbie, quando mi ci fossi deciso, con costanza non minore di quella con cui si seguono le più sicure, imitando in ciò i viaggiatori che, trovandosi sperduti in una foresta, non debbono girare di qua e di là e tanto meno fermarsi in un posto, ma camminare il più dritto che possono in una certa direzione e non mutarla per deboli ragioni, ancorché l’abbiano scelta, da principio, a caso.

Non essere ondivaghi, avere capacità di decisione, anche se sempre vi possono essere dubbi, ma non per questo bisogna stare fermi, la vita esige l’azione e questa va compiuta riflettendo, ma anche con determinazione, anche quando il supporto della razionalità non sia così certo, avendo sempre in mente che si deve agire per il bene e quindi le decisioni debbono essere sempre orientate ad ottenere fine buono. Se non lo si ottenesse, ad esempio: se alla via intrapresa si apre un burrone invalicabile e sconosciuto, non per questo la decisione di intraprendere quella direzione sarebbe di per sé negativa.

Infine la terza massima consiste nel “cercare sempre di vincere me stesso piuttosto che la fortuna e di cambiare i miei desideri, piuttosto che l’ordine del mondo, e generalmente di abituarmi a credere che non v’è nulla, all’infuori dei nostri pensieri, che sia interamente in nostro potere; di modo che quando abbiamo fatto il nostro meglio in rapporto alle cose che si sono esteriori, tutto ciò che non ci riesce è, in rapporto a noi, assolutamente impossibile.” Certo ogni soggetto è responsabile delle proprie azioni, non deve cercare giustificazione in altri. Non è la cattiva compagnia a farmi rubare, ma io rubo, come a fare il bene non debbo essere indotto solo dalla convenienza di altri, ma dalla mia volontà che decide di fare del proprio meglio. La vita d’ogni uomo è soggetta a molteplici relazioni, ma vale sempre la regola che in esse non si può imporre il nostro modo di vedere, di pensare, ma bisogna regolarsi secondo una visione d’insieme consolidata nell’attenzione a fare bene. Non lo sappiamo con certezza, ma ritengo, che Cartesio abbia tenuto presenti anche presenti le quattro virtù cardinali (Prudenza, Giustizia, Fortezza e Temperanza) ben conosciuta anche da Platone, ma pilastro anche della visione morale del cattolicesimo insieme alle virtù teologali (Fede, Speranza e Carità).

 

Contro i libertini: almeno una morale provvisoria (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica) 

 

R. Papa, Le tre virtù teologali - Cattedrale di Sulmona

 

Conclusione

Il pensiero di Cartesio ben evidenzia la necessità che ci si doti di una morale: l’auspicio sarebbe quello di averne una che abbia la stesse caratteristiche di rigore che ha la ricerca matematica, ma il filosofo è ben consapevole della difficoltà. Delinea una morale provvisoria che consente a tutti gli uomini di agire in modo consono alla vita, quale la civiltà ha organizzato nel corso dei secoli, pur consapevole che questa ha dei limiti e non è certamente l’autentica dimensione morale, per la quale sono necessarie non le massime, ma le certe dimostrazioni che risolvano il nodo fondamentale della relazione tra anima e corpo, tra intelletto stesso e corpo. La soluzione individuata, la ghiandola pineale, mostra i suoi limiti, ma indica quella strada che dagli studi ottocenteschi di Cesare Lombroso (1835-1909), ad esempio, alle attuali neuroscienze si stanno compiendo per evidenziare come il pensiero giunga all’azione o atti esterni pervengano alla conoscenza (passione).

L’opera di Cartesio Le passioni dell’anima che potrebbe anche essere Le azioni dell’anima, dato che “ L’Azione e la Passione non cessano di essere sempre una medesima cosa, che ha questi due nomi, in ragione dei due diversi soggetti cui è possibile riferirla” ossia rispetto a chi fa in modo che accada (azione) e il soggetto al quale accade (passione) (nel testo citato a p. 589), tenta la via della razionalità in campo etico, ma non vi riesce del tutto. È però opportuno ricordare quando il filosofo afferma alla fine del suo saggio, indicando che l’azione morale tende alla virtù che dona la felicità, e non possiamo che concordare perché se manca il fine non può esistere azione morale, dato che questa diventa solo espressione di una volontà, come attestano i libertini, ondivaga che finisce con il negare anche la possibilità del bene, perché nega la stessa esistenza del male.

Conclude Cartesio (ivi, p.640) solo la virtù è il rimedio contro le Passioni e ciò determina la contentezza dell’anima: “Chiunque, infatti, abbia vissuto in modo tale che la sua coscienza non possa rimproverargli di non aver mai mancato di fare tutte le cose giudicate migliori (è quanto qui chiamo seguire la virtù), ne riceve una soddisfazione così potente nel renderlo felice, che gli sforzi più violenti delle Passioni non hanno mai abbastanza potere da turbare la tranquillità della sua anima”.

 

nr. 28 anno XIX del 19 luglio 2014

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