NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
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La filosofia... all’Inferno

di Italo Francesco Baldo

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La filosofia... all’Inferno

La filosofia suscita fin dalla sua origine un costante interesse con le sue domande e le risposte che fornisce. Alcuni ritengono che essa non abbia un addentellato con la vita di tutti i giorni, ma, poi, si accorgono che il loro modo di pensare e di agire dipende da una visione del mondo (Weltanschauung). Talora non si tratta di filosofia, ma d’ideologia, in altre parole di quattro o cinque pensieri, spesso ridotti a slogan, con i quali mostrare d’avere appunto una concezione. Più spesso si tratta di un miscuglio caotico, ossia disordinato, di riflessioni tratte da diversi filosofi e unite ai più vari pensieri, riuscendo a coniugare anche ciò che è per sua natura contraddittorio, ma riesce lo stesso a vivere all’interno del soggetto che professa un simile guazzabuglio.

 La filosofia invece cerca il vero, il buono e il giusto sapendo anche coniugare il bello. Se questa è la prima istanza, non dobbiamo dimenticare anche che non sempre i pensieri dei filosofi sono precisi e puntuali, talora anche loro errano, compiono nel loro ondivagare sbagli di riflessione, nella logica, nella concezione dell’essere, nelle azioni e anche nell’estetica. Ben difficilmente troveremo filosofi capaci d’autocritica, ossia di individuare i propri errori e porvi rimedio. Quest’importante funzione spetta ad altri filosofi, che riescono ad individuare i punti deboli, in genere contraddizioni, del pensiero che è costato magari anni di diuturne fatiche. Non prendiamo in considerazione i detrattori per professione, ossia i cosiddetti critici che, sosteneva il poeta vicentino Giacomo Zanella (1820 – 1888), prescriverebbero perfino a Dio come creare il mondo, ma, non potendolo più fare per ovvie ragioni di tempo, esercitano il loro mestiere con penne intinte nel veleno dei loro discorsi… analitici.

 La filosofia esprime se stessa attraverso le parole e nel corso dei secoli vari sono stati i modi di questa espressione, che è prima di tutto nell’oralità, ossia nel dialogo che è costante ricerca- Ha trovato anche diversi altri modi, tra cui è, è ben noto, il trattato, ricordiamo il primo: Sulla natura di Anassimandro di Mileto (fine VII - inizio VI a.C.). Questo modo di esporre, spesso ponderoso, riporta i costrutti del pensiero. Accanto al trattato però, fin dalle origini, la filosofia si è espressa anche nella forma della poesia, raccolta in poemi, come ben attesta il filosofo Parmenide (VI-V sec. a.C.), uno tra i maggiori dell’epoca precedente a Socrate, con il suo Sulla natura di cui ci sono giunti integralmente il Prologo, quasi tutta la prima parte e molti frammenti della seconda. È il primo importante esempio, ma seguono, quasi a ruota, Empedocle d’Agrigento (484-481-424-421 a.C.) con Sulla natura e il Carme lustrale. Anche i dialoghi di Platone hanno un che di poetico, ma sovra tutti il più noto poema filosofico dell’antichità, è quello di Lucrezio De rerum natura, studiato più nella letteratura latina che non in filosofia da parte degli studenti. È un poema didascalico, scritto nel I secolo a.C. in sei libri, raccolti in tre diadi ed ha com’esempio il poema d’Esiodo, la Teogonia, e si richiama ad un testo d’epicureo Sulla natura, che espone la filosofia del kepos e ce ne tramanda una visione organica.

 Con il cristianesimo la filosofia non conobbe inizialmente grande fortuna, l’avvertimento di San Paolo nella lettera ai Colossesi (2,8) era ben noto: ”Badate che nessuno v’inganni con la sua filosofia e con vuoti raggiri ispirati alla tradizione umana, secondo gli elementi del mondo e non secondo Cristo.” Pure nota la posizione di Ippolito di Roma, che considerava i filosofi quasi alla stregua degli eretici (cfr. Κατὰ πασῶν αἱρέσεως ἔλεγχος (in latino, Refutatio omnium haeresium).

 La Patristica e poi la Scolastica s’interessarono alla filosofia e la coniugarono con diverse prospettive con la fede, ma sempre importanti suonano le parole di San Tommaso d’Aquino nella Summa Theologiae (Q. 1,5): ” La scienza sacra può sì ricevere qualche cosa dalle discipline filosofiche, non già perché ne abbia necessità; ma per meglio chiarire i suoi insegnamenti. I suoi principi, infatti, non li prende da esse, ma immediatamente da Dio per rivelazione. E perciò non mutua dalle altre scienze come se fossero superiori, ma si serve di esse come d’inferiori e d’ancelle; proprio come avviene delle scienze dette architettoniche le quali utilizzano le scienze inferiori, come fa la politica rispetto all'arte militare. E l'uso che la scienza sacra ne fa non è a motivo della sua debolezza od insufficienza, ma unicamente a cagione della debolezza del nostro intelletto; il quale, dalle cose conosciute per il naturale lume della ragione (da cui derivano le altre scienze), viene condotto più facilmente, come per mano, alla cognizione delle cose soprannaturali insegnate da questa scienza.”

 La filosofia entra a pieno titolo nelle riflessioni cristiane, anche se qualche studioso ritiene che la filosofia sia solo quella antica, perché non “contaminata” dal cristianesimo, ma l’Aquinate ben risponde anche a loro.

 Non vi sono veri e propri poemi composti da teologi e pensatori, anche se dovremo ben considerare molti Inni di San Tommaso stesso e quello, sommo, di Rabano Mauro, Veni creator Spiritus, quelli cistercensi, ecc.

 Riflessioni filosofiche affidate alla poesia sono sempre presenti, non dimentichiamoci di Dante Alighieri, ma poesia e romanzi e perfino commedie (ricordiamoci de Le nuvole di Aristofane? di contenuto filosofico sono presenti nel corso successivo della storia della filosofia. Come dimenticare i Poemi latini di Giordano Bruno (cfr. ristampa anastatica delle cinquecentine, a cura di E. Canone, La Spezia, Agorà, 2000, stampa 1999) o le composizioni di S. Savinien de Bergerac, (1619 –1655), Il pedante gabbato del 1654 o quelle di John Wilmot (1647 –1680) e dei libertini, tra cui quelle del più famoso Donatien-Alphonse-François de Sade (1740-1814), aperto ad ogni avventura anche quella di violentare le donne, tristemente famosa la violenza alla mendicante Rose Keller. Con le sue opere Justine ou les Malheurs de la vertu del 1791 e nel 1795 con La Philosophie dans le boudoir ou Les instituteurs immoraux.

Compariranno anche altre opere filosofiche in forma poetica, ne annoveriamo alcune tra Settecento e Ottocento: T.De Natali, La filosofia leibniziana esposta in versi toscani, Firenze, Stamperia del Matini, 1756; G.Ortes, Saggio della filosofia degli antichi esposto in versi per musica, Venezia, G. Pasquali, 1757; A.Sandri, Le quattro età dell'uomo: versi pubblicati nella promozione alla laurea in filosofia presso l'I.R. Università di Padova del chiarissimo Andrea ab. Sandri professore di matematica pura e di storia universale nel seminario di Vicenza, Vicenza, Tip. Picutti, 1839, quella composta nel 1870 da Marco Napoleone Bonini La filosofia ovvero Sviluppo e progresso dell’intelletto umano, di prossima ristampa presso l’editrice Veneta-Vicenza, fu composta nel 1870

Anche il Novecento ha visto la pubblicazione di riflessioni filosofiche in versi, quella di G.Chiovini, Filosofia in versi, Roma, Edizioni romane artistiche, 1963.

 Non esaminiamo tutte le poesie, sarebbe impresa titanica, che hanno argomento filosofico, basterà ricordare il grande Giacomo Leopardi e il vicentino Giacomo Zanella con Milton e Galileo o il carme Evoluzione e via via fino ai nostri giorni.

 Così abbiamo, seppur brevemente, percorso l’itinerario della filosofia in versi, se due studiosi non avessero scoperto un poema manoscritto, purtroppo incompleto, probabilmente d’epoca trecentesca, dove si analizzano Le tribolazioni del filosofare. Comedia metaphysica ne la quale si tratta de li errori et de le pene de l’Inferno. Tale opera è stata scoperta, redatta e commentata da A.C. Varzi et C. Calosi e pubblicata presso l’editore Laterza, Roma-Bari, proprio quest’anno

 

L’opera

La filosofia... all’Inferno (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Il poema ritrovato, è composto da 28 canti; il primo è il Proemio; alcuni sono giunti incompleti: XIV, XVII, XXI, XXIII, XVII, altri mancanti XV, XXII, XXIV, XXV, XXVI. I curatori hanno di loro testa posto un Introduzione, una Nota sulla titolazione dell’opera e dei singoli canti, la Struttura generale del poema, lo Schema grafico, una Sinossi analitica, un Indice dei Personaggi e dei Nomi; accompagna il testo la bolgia delle numerosissime note esplicative, necessarie per la buona comprensione cui si adatta il paziente lettore.

 

 Nell’Introduzione, è precisato da parte di Varzi e Calosi, che il poema filosofico“è senza dubbio tra i più vasti e profondi di ogni tempo” ed hanno certo ragione, dato che esso è composto “interamente in terzine incatenate di versi endecasillabi, in volgare toscano”, quello che Dante intendeva nel suo saggio latino De vulgari eloquentia, recuperato nel 1529 da Gian Giorgio Trissino dal Vello d'Oro (Vicenza, 8 luglio 1478 – Roma, 8 dicembre 1550).

 Il poema narra del viaggio di un Poeta, accompagnato dalla “guida e duce” Socrate, attraverso il buio inferno dell’intelletto per cercare una via d’uscita dalla “palude” “nella quale – dicono i curatori – le sue ricerche l’avrebbero condotto. Il poeta ha scelto la forma della “commedia”, che è genere opposto alla tragedia e che “istruisce…divertendo”, benché, affermano sempre i redattori, s’intenda con ciò un uso strumentale, piuttosto che maieutico del genere dato dal poeta scoperto; tuttavia proprio il fatto di aver scelto questo genere, aiuta il lettore ad accostarsi al testo con certa compiacenza.

 La struttura è simile a quella dell’Inferno di Dante ed è illustrata da apposito schema, come in tutte le edizioni scolastiche (cfr. ivi, p.XV)

 Ci piace da subito notare come il poema abbia un intento “illuministico”, quasi a precedere la celebre definizione kantiana, ma non a tanto è giunto il poeta, forse a quella via nova contrapposta all’antiqua che l’umanesimo intraprendeva proprio agli inizi del Trecento, quando s’udivano i suoi primi vagiti in quel di Padova dell’Albertino, il musae aptus.

 Lasciamo le considerazioni; il poema merita attenzione fin dal Proemio:

 

“L’Amore è il primo mobile, il principio

s penetrar le cose, la lor trama,

la lor natura, il fine, il loro inciprio.

 

Ma luce o perdizione quel che s’ama

Nasconde in onne cosa ch’è presente:

abisso e stelle stesso foco chiama:

 

E Come accade che confusamente

La strada ch’èin discesa par salita,

così accadde a me: che la mia mente

 

filosofando intorno a nostra vita

si spronfondasse in tal paluda dura

che scorger non potea io via d’uscita:”

 

 

Invocato l’Amore, non le Muse, nel primo canto, il poeta, invischiato in una palude, la Stigia di dantesca memoria, incontra tre fiere, il liocorno, la chimera e il leviatano, ossia metafisica, morale e politica. Per sua fortuna gli viene incontro Socrate che gli preannuncerò la venuta della nottola, quella hegeliana (?), che lo aiuterà ad uscire dalla palude.

 Iniziato il viaggio (Canto II), nonostante qualche perplessità, il Poeta inizia ad interrogarsi, appellandosi al filosofo greco, ma le sue domande son mal poste. Subito il maestro di coloro che sanno di non sapere, afferma:” Risponder puote sol chi ben domanda”. Troppo spesso ci impelaghiamo in false domande e soprattutto ad esse diamo risposte, che, in sintonia con le domande, son anch’esse confuse.

 Ben annotano i curatori, che al linguaggio poetico, aggiungono le loro esplicazioni, in numeri note, che qui appare chiara tutta la forza e l’umiltà di Socrate, ossia è’ quella concezione della filosofia come arte dialettica che nel Novecento ha in Wittgenstein, cfr. Philosophisce Untersuchungen, la sua massima esplicitazione. La filosofia è attività non dottrina. (cfr. Inferno, Canto II, pp.17-19), ma, il poeta certo intende quel che Dante scrive nel canto Inferno (IX, 61-63): “O voi ch’avete li ‘ntelletti sani, mirate la dottrina che s’asconde sotto ‘l velame de li versi strani.”e non è esoterismo, ma necessità ermeneutica per il poema.

 Intanto si delinea una delle massime contrapposizioni apparse nella filosofia, ossia quella tra idealismo platonico che è tentativo di ascesa e quindi attività e la dottrina, ossia l’aristotelismo, che definisce e definito, costruisce. Sono i due grandi poli della filosofia che appaiono ben chiari fin dagli esordi, nella contrapposizione tra Eraclito e Parmenide.

 Prosegue però il viaggio sempre con il viatico si Socrate che ben indica che gli errori dei sapienti non sono mai voluti, come afferma Platone nel Protagora (345d-e). Certo se il filosofo erra, ecco le fiere a ricordargli che una è la dritta via, che l’altra è facile per smarrirsi.

 Ecco il viaggio, Canto III, dove s’incontrano i filosofi e, anticipazione del pensiero al femminile, perfino la sacerdotessa di Mantinea e la filosofa Ipazia di cui nulla si sa, ma troppo si dice.

È nel IV canto però che si entra nel vivo del viaggio e ad incontra pensatori e i loro filosofemi che son dannati. Qui la prima differenza con il poema dantesco. Il Toscano esule nel suo IV sempre Canto dell’Inferno, parla di coloro (poeti e filosofi) che:

 “non peccaro; e s'elli hanno mercedi,

 non basta, perché non ebber battesmo,

 ch'è porta de la fede che tu credi;

 e s'È furon dinanzi al cristianesmo,

 non adorar debitamente a Dio:

 e di questi cotai son io medesmo.”

 

La filosofica famiglia per Dante non entrerà nel Paradiso, sol perché, ricorda Virgilio “non adorar debitamente a Dio/…Per tai difetti, non per altro rio,/ semo perduti, e sol di tanto offesi/ che sanza speme vivemo in disio.”. Questi grandi non avranno però le pene infernali.

 La filosofia... all’Inferno (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)A differenza dell’Alighieri che pone i filosofi con i profeti, che ne uscirono dopo la resurrezione di Gesù Cristo, nel Limbo, cancellato dall’autorità di papa Benedetto XVI, il poeta ritrovato nel medesimo canto pone i filosofi che “non presero mai alcuna decisione e che per questo motivo non sono accolti nemmeno nell’Inferno. La pochezza di molti che millantano d’esser filosofi e lo fanno non con coloro che potrebbero dirgli dei loro pasticci teoretici che nascono nel mentre parlano, come diceva Proust, ma con spauriti ragazzini dei licei cui ammantano per un anno intiero la loro filosofia, frutto spesso della collazione di manuali, non sempre all’altezza della disciplina che espongono.

 Ciò è ben illustrato nel V canto del poema rinvenuto, là dove si parla di color che non hanno istrumenti filosofici, dove nonostante i competenti studiosi, continuano ad attribuire ai filosofi quello che loro mai dissero e soprattutto scrissero. Qui non si tratta nemmeno di errori, ma di mancanza di strumenti, di aggiornamenti talora, come ad esempio i docenti che continuano a sostenere che la parti della Critica della ragion pura, senza leggere nemmeno l’Indice dell’opera, sono tre (Estetica, Analitica e Dialettica); oppure che lo Hegel parlerebbe di una figura, che mai teorizzò, ossia il servo-padrone.

 

 Ma continuiamo, errori derivano dal linguaggio, lo sosterrà pure secoli dopo il grande Bacone da Verulamio quando parlerà degli idola fori, che ben accompagnano altri idoli. Anche i sensi ingannano, tanto che tutto viene dai sensi, tranne i diritti. Non meno grave è l’errore degli idealisti vuoti, ossia di coloro che attribuiscono al pensare la strana facilità di dare realtà anche empirica a ciò che si è pensato, senza chiedersi mai se sia vero e buono quando si riflette e si agisce. Ben lo faranno i totalitari che prendono un piccolo pensiero, magari il proprio, è lo ritengono universale, talora perfino divino, quasi che il pensiero loro fosse l’ecceitas del pensiero stesso.

 Tra nominalisti e realisti più di un eccesso, e si combattono, ben lo diceva Erasmo da Rotterdam nella Querela Pacis: “il tomista combatte con lo scontista, il nominalista con il realista, il platonico con il peripatetico, a tal punto che l’uno e l’altro non convergono nemmeno in piccolissimi particolari, e di frequente combattono in modo assai aspro per questioni di lana caprina, finché il calore della disputa si inasprisce e si passa dagli argomenti agli insulti, dagli insulti ai pugni e anche se la disputa non viene condotta con pugnali e lance, si trafiggono con penne intinte nel veleno…”(ed. a cura di I.F. Baldo, Roma, Salerno, 2004, p 75).

Ben meritevoli tutti dell’Inferno, sosteneva l’anonimo autore del poema, precedendo Erasmo.

 

 Altri ancora sono gli esponenti degli errori in filosofia; sono coloro che danno realtà agli spettri della loro mente, ritenendo che basta pensare per essere filosofi e si sforzano di credere che ciò che loro pensano, sia sempre vero: Di tal fatta son pure i matematici (cfr. canto XI)? Parrebbe di sì, secondo il poeta, dato che non colsero il valore delle delizie materiali, ma si ricorda, a tale proposito, la poesia di un Anonimo toscano (Rime piacevoli, Como, C.A. Ostinelli, 1836², p.202):

Cartesio a tavola

 

Stava Cartesio a tavola

Con davanti un pranzetto saporito

E, anzi che no, squisito;

Quand’ecco un gran signore

Entra da lui, degnandosi

Della presenza sua fargli onore,

E dice: anche i filosofi

Mangiano così bene? In fede mia

Or non può più ripetersi

“Povera nuda vai, filosofia.!

Ma, rispose Cartesio”

Con gran disinvoltura,

Vi date forse a credere

Che la madre natura

Abbia i buoni bocconi tutti quanti

Creati sol per cibo agl’ignoranti.

 

 Ma quanti errori, lo scetticismo, che teme la verità anche quella del dubitare stesso, o degli idealisti di cui son piene le elucubrazioni leviatane, ma ci son anche i relativisti, in realtà essi riducono tutto ad un solo aspetto e sommano gli aspetti, credendo di avere spiegato il tutto. Vi son poi pure gli irrealisti che son prammatisti, ma di loro poco si sa, dato che il Canto, per l’esattezza il XVII non è pervenuto; i curatori azzardano ad affermare che costoro sostengono che la realtà non abbia nulla da dirci e che i criteri che si adottano per scegliere un sistema sono spesso solo prammatici. Prosegue l’Inferno, dove la filosofia, meglio gli errori, han trovato giusta sede con i nichlisti, tanto studiati dal vicentino Franco Volpi, Il nichilismo, Roma-Bari, Laterza, 2009. Son costoro quelli che vivono solo l’attimo, ovviamente fuggente e si dicon talora anche esistenzialisti e come pena han il piangersi addosso, autocommiserandosi.

 

Ci son le pene, infatti, altrimenti che Inferno sarebbe!

Così la pena per i fedeli del linguaggio, consiste nel parlare in modo insensato, i dualisti del mentale che considerano anima e corpo come sostanze separate son trasformati in zombi. Ma non andiamo oltre, perché il cammino del poeta sta per concludersi e si conclude con la Bolgia più infima, quella dei Fraudolenti, che ha ben tre categorie, quella degli adulatori, dei Plagiatori e dei cialtroni. Questo Canto è pervenuto in parte, quella finale. I versi mancanti, ricordano i curatori Varzi e Calosi, “dovevano essere dedicati alla descrizione della terza Bolgia, sede di dannati meritevoli soltanto dell’appellativo di « cialtroni ». Purtroppo non sappiamo che diceva di loro il Poeta, ma guardandoci attorno, troveremo anche oggi tanti cialtroni del pensiero, tanto che possiamo farci una precisa idea e soprattutto comminare, almeno a parole, pene infinite. Tra tutte piacerebbe quella che nel mentre li si ascolta, per dovere di studente o perché non si può fare a meno, li manderebbe a usare dello straccio per pavimenti, perché il pensiero cialtrone è quello che ben si può definire anche “strazzone” (lingua veneta) ed imperversa un po’ dappertutto e si spaccia per filosofia le catene verbali aperte.

 Infine il poeta esce dall’Inferno e Socrate lo rassicura, perché finalmente, al termine del cunicolo, vedrà un immenso ed illuminato deserto, quello che si apre alla vera ricerca, che è redentiva. Qui incontrerà la Donna del Cielo che innalza il Poeta verso le stelle, che, belle, invitano al bene e al vero.

 

 Si chiude il peregrinare, che fa comprendere gli errori e invita a lasciarli alla loro stessa dannazione, perché l’anonimo poeta ben aveva inteso Dante e forse fu mosso all’amore di sapienza, alla filosofia ben ripetendosi le parole che riferiamo a Danti Antigerio, uno dei 28 grandi considerati da Federico da Montefeltro:

 

“O insensata cura dÈ mortali,

 quanto son difettivi silogismi

 quei che ti fanno in basso batter l’ali! 

 

 Chi dietro a iura, e chi ad amforismi

 sen giva, e chi seguendo sacerdozio,

 e chi regnar per forza o per sofismi, 

 

 e chi rubare, e chi civil negozio,

 chi nel diletto de la carne involto

 s’affaticava e chi si dava a l’ozio,   

 

 

 Dante Alighieri diviene per l’anonimo poeta, fonte di ispirazione e di sollecita cura a denunciare gli errori dei filosofi e i filosofi stessi. I filosofi non salvati da Dante, ad un’ulteriore analisi, quella compiuta dall’anonimo poeta, sono colpevoli e pertanto la condanna all’Inferno è congrua per simili delitti, perché questi hanno nuociuto e nuocciono all’umano consorzio che dovrebbe, invece, seguire “virtute e canoscenza”. Le pene previste dal poeta remunerano e dovrebbero esser sempre tenute presenti da coloro che oggi s’interessano alla filosofia e alle sue questioni. Costoro, infatti, sempre dovrebbero camminare alla nell’amore che move il sole e l’altre stelle.

 

Alla fine

 

 Fatica importante quella dei due curatori Achille C. Varzi e Claudio Calosi nel darci quanto sembrava perduto e nostra nel leggere; merito l’averci dato modo di rileggere e farci ripensare agli errori della regina delle scienze; per non commetterne più…illusione; dubbio che forse non solo Dante li ha ispirati, ma anche Manzoni, che trovò anche lui un manoscritto, noi speriamo di non trovarne; indizio: i curatori han “redatto”il poema ritrovato, ma redigere vuol, anche dire “stendere” e quindi svelata è l’identità degli anonimi poeti/filosofi.

 Non facciamoci però coinvolgere dal problema, sarà risolto come per il Manzoni con un Claudio Povolo studioso di storia, godiamoci invece le terzine e meditiamo a seguir l’alta via, quella delle ultime terzine:

 

 “la luce che sta ne la piccolezza,

che scioglie ne le stelle il suo biancore,

che abbaglia tra la cecità e salvezza

 

la luce si raccolse nel mio cuore.

Sì onne verità, onne bellezza

Ha il suo principio e muore ne l’amore”.

 

Italo Francesco Baldo

 

Anonimo, Le tribolazioni del filosofare. Commedia metaphysica ne la quale si tratta de li errori & de le pene dÈl’Inferno, scoperta, redatta e commentata da Achille C. Varzi & Caludio Calosi, Roma-Bari, Laterza, 2014, euro 19.

 

nr. 29 anno XIX del 26 luglio 2014  

 



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