NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
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Cremazione sì, ma di chi sono le ceneri?

La Socrem di Vicenza solleva il problema puntando il dito sulle condizioni poco dignitose del servizio che cominciano dalla possibile dubbia identificazione dei resti - C'è il nuovo impianto e funziona per 26 Comuni associati e serve ora a più della metà delle 2013 persone che muoiono ogni anno - Dal 2008 la scelta della cremazione ha superato il 50 per cento

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Cremazione sì, ma di chi sono le ceneri?

Cremazione sì, ma di chi sono le ceneri? (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)(g. ar.)- C'era una volta l'angolo della cremazione del cimitero di Vicenza: una sala riservata ai parenti che lì potevano attendere il tempo necessario per l'operazione e ricevevano alla fine l'urna contenente le ceneri del caro estinto. Nessuna eleganza e nemmeno un particolare in più dello strettamente necessario, ma almeno un rispetto non forzato se non dalle circostanze, cui si adeguava anche la sempre onnipotente burocrazia.

C'era una volta ma non c'è più, sostituito da un nuovo meccanismo che a fronte dell'impianto realizzato da poco non tiene più in alcun conto le sfumature. Per questo mentre si sviluppa questo nostro racconto derivato da esperienza diretta pubblichiamo alcune immagini che servono a stabilire la distanza evidentemente molto importante esistente nel trattamento del momento del commiato con altri città come Milano, Torino, Genova, Verona, Padova, ecc.. Per rimanere alla situazione più vicina, quella di Padova, basti dire che la famiglia del defunto viene oggi accolta in un ambiente dignitoso e adatto alla circostanza, può controllare direttamente lo svolgimento della cremazione, nel senso che assiste all'ingresso del feretro nel forno, deve attendere forse meno di un'ora prima che le venga restituita l'urna con le ceneri. Nessuna possibilità di equivoco e rispetto completo della situazione complessivamente intesa, dalla quale una famiglia già sufficientemente provata dalla morte di una persona cara ricava almeno il sollievo di vedere che tutto si è svolto con chiarezza e civiltà.

Le fotografie che pubblichiamo riguardano nell'ordine un momento della cerimonia di cremazione con la famiglia che viene ricevuta dal personale comunale addetto (Torino), il salone dei dolenti (Milano) così come si presenta normalmente prima e dopo la cerimonia, e poi due immagini di Vicenza con la benedizione della salma prima della cremazione in un contesto evidentemente poco adeguato, all'aperto, ed infine l'area di cremazione dalla quale vengono consegnate le ceneri un giorno dopo la consegna dei feretri, il tutto in compagnia di quel che rimane dei vari funerali: corone di fiori ormai abbandonate e altro materiale destinato alla discarica.

C'era una volta il vecchio impianto, dunque, che faceva appunto capo a quella vecchia sala ottocentesca, un meccanismo che ormai da tempo ansimava vistosamente per l'intensificazione della scelta della cremazione verificatasi negli ultimi quindici anni con particolare riguardo agli ultimi sei: dal 2008 al 2013 più del 50 per cento dei funerali hanno avuto come conclusione proprio la cremazione.

Per questo era urgente passare ad un nuovo impianto ed è stato fatto, così come si è verificata la utile convergenza di ben 26 Comuni della provincia su questa iniziativa. Il fatto è che se per quanto riguarda questa ultima parte del discorso le cose hanno preso la giusta strada, per il resto a quanto pare siamo piuttosto lontani da una buona e dignitosa organizzazione perlomeno alla maniera che facilmente si può verificare in altre situazioni come Milano, Torino, Verona, ecc. Nel cimitero monumentale è sparita la saletta di attesa e ora tutto quel che rimane, in altra posizione del cimitero, è una porta attraverso la quale passano le bare destinate alla cremazione seguendo un turno. I parenti dopo questo ultimo passaggio non hanno che da attendere il giorno dopo per la consegna delle ceneri.

Questa situazione non soddisfacente è ora sottolineata dalla Socrem di Vicenza (3575 iscritti) che lamenta una singolare falla nel sistema considerato nella sua generalità: è stato chiesto ma non ottenuto di inserire un chip in ciascuna bara per avere garantita l'identificazione certa del defunto e quindi delle sue ceneri. Diciamo che il sistema del chip è largamente utilizzato anche dove l'evidenza del meccanismo di cremazione è così chiara che forse non ce ne sarebbe neppure stretta necessità data la verificabilità delle varie fasi che si svolgono tutte sotto gli occhi della stessa famiglia del defunto. In alternativa al segnalatore elettronico che risponde alla fine ad una trasmittente con la codifica corretta del feretro, viene utilizzato anche il sistema della placca di metallo refrattario che può essere collocata all'interno della bara venendo poi recuperata al termine dell'operazione e testimoniando così in modo altrettanto chiaro la corretta identificazione della persona appena cremata.

Ancora più evidente poi, sottolinea la Socrem di Vicenza, ottenere al più presto un trattamento ed una immagine nettamente più dignitosi dei locali utilizzati e di tutte le fasi della cremazione a cominciare appunto dalla completa chiarificazione dell'identità. Il che non è poi un punto tanto aleatorio come si potrebbe pensare specie in presenza di un meccanismo che esclude la famiglia ad eccezione della consegna del feretro e del ricevimento dell'urna con le ceneri. Basta tornare al non lontanissimo gennaio di quest'anno per ricordare il caso di Padova (Padova, però prima del rinnovamento totale dei locali e dei meccanismi oggi poco meno che esemplari) dove due degli impiegati di una società privata sono finiti in tribunale con l'accusa di soppressione e vilipendio di cadavere dopo che i parenti di cinque differenti persone cremate si erano rivolti ai Carabinieri perché i loro sospetti si erano fatti pesanti.

Infatti erano fondati, come dimostrarono nel corso delle indagini le dichiarazioni degli stessi imputati che confermarono la confusione di resti e il rimescolamento degli stessi con la deposizione nella stessa urna di persone diverse. I due si erano giustificati con il fatto che all'origine di tutto c'era il meccanismo di pulizia del forno, sul quale si interveniva una volta alla settimana, e il grosso problema della grande quantità di ossa che finivano sotto il ponte di appoggio della bara e che venivano recuperate dagli addetti del Comune con destinazione non precisata, ma ogni quindici giorni. Questo pasticcio oltre a procurare la condanna dei due inservienti ha visto la richiesta di risarcimento per oltre un milione di euro da parte delle famiglie che hanno chiesto anche provvisionali per 250mila euro. Nel meccanismo giudiziale si è inserita la doppia posizione di costituzione di parte civile da parte del Comune di Padova nei confronti dei due imputati finendo però esso stesso obiettivo della costituzione di parte civile da parte delle famiglie.

Una vicenda, insomma, che ha messo in mostra tutte le incertezze legate ad un certo modo di eseguire le cremazioni se non ci si ripara doverosamente ed in tempo dietro provvedimenti molto semplici da adottare ma senza i quali il pericolo di un lavoro fatto sommariamente è assolutamente possibile, perfino prevedibile per la stessa complessità della materia. I Carabinieri di Padova hanno trovato oltre alla situazione irregolare generale anche due casse piene di resti che dovevano andare allo smaltimento per cui l'entità del reato è risultata del tutto evidente fin dai primissimi momenti dell'indagine conclusa poi col rinvio alla magistratura di due persone ritenute responsabili dei fatti accertati.



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