NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
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L’educazione nella Costituzione della Repubblica Italiana

di Italo Francesco Baldo

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L’educazione nella Costituzione della Repubblica I

Introduzione

L’Assemblea Costituente tra il 1946 e il 1947 formulò la nuova Costituzione dello Stato Italiano, divenuto una Repubblica. Il lavoro fu complesso, ma alla fine il risultato fu raggiunto e soprattutto nella prima parte (Principi fondamentali, Diritti doveri dei cittadini, Rapporti etico-sociali, Rapporti economici e Rapporti politici) si determinò il modo di essere del nuovo Stato. Tutti gli articoli rivestono grande importanza perché essi fondano la vita dei cittadini italiani. Si teme, ancor oggi, addirittura di cambiare qualche articolo per paura che si stravolga l’intiero impianto. Purtroppo la Costituzione è stata sostituita da una “materiale”, secondo la definizione di Costantino Mortati (1891-1985). Quest’ultima è la “costituzione” che si evolve nel tempo senza che la forma della stessa sia cambiata. A ciò contribuiscono vari fattori, la dinamica sociale, la giurisprudenza e l’interpretazione, in particolare quella data dalla Corte Costituzionale. In realtà la legge fondamentale dovrebbe essere compresa sulla base del dizionario della lingua italiana, come le altre leggi, non delle spinte ideologiche che sono espressione di visioni particolari. Infatti, il ruolo dei partiti non è quello di proporre validi modi di amministrare bene uno Stato e non tentare sempre e comunque di farlo propria immagine e somiglianza, questo lo facevano i partiti totalitari, che nominano lo stato in base alla loro visione del mondo, senza tener conto della complessità e varietà di prospettive presenti in uno Stato. La Costituzione come riferimento per tutti e di là dei partiti, dovrebbe essere punto di riferimento. Invece con la visione della costituzione materiale si cambia senza preoccuparsi della Costituzione stessa. Uno dei casi più rilevanti in tale direzione è il problema della scuola. I padri costituenti, volendo uscire definitivamente dalla visione della scuola del fascismo che la organizzava con il Ministero dell’Educazione Nazionale, ritornarono alla visione precedente, quella dell’istruzione, nata nel clima positivista soprattutto per la scuola elementare a fine Ottocento e che ebbe la prospettiva delineata dal veneto Aristide Gabelli (Belluno, 22 marzo 1830 – Padova, 6 ottobre 1891).

L’educazione nella Costituzione della Repubblica I (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica) 

 

Aristide Gabelli

 

 

La strada indicata del pedagogista è espressa nel suo saggio Il metodo di insegnamento nelle scuole elementari d'Italia (Torino, Paravia, 1899, dove tentava già di dare respiro europeo alla scuola italiana, secondo tre importanti a dar vigore al corpo, penetrazione all'intelligenza e rettitudine all'animo. Ciò senza il nozionismo, che si serviva soprattutto della memoria e che già Cartesio aveva criticato e ciò perché la memoria stessa non riesce a trattenere ogni conoscenza: le nozioni si dimenticano se non hanno un’adeguata direzione d’impiego e non sono continuamente richiamate alla loro operatività e ciò in tutti i campi delle scienze. Quindi una prospettiva di insegnamento nelle scuole di tipo scientifico e tecnico, capace di sviluppare lo spirito della ricerca e richiede che i docenti siano adeguatamente preparati sul piano della didattica, cosa che oggi non avviene in nessun luogo o modo, potevano preparare alla cultura e alle professioni.

 

L’educazione nella Costituzione della Repubblica I (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica) 

Giovanni Gentile Benedetto Croce

 

 

 Quest’impostazione risuona talora anche oggi, ma l’impianto della riforma Gentile messa in atto tra il 1922 e il 1923 privilegiava l’ambito “dello spirito”, inteso nel senso dell’idealismo tedesco di G. Fichte e G. W. Hegel, come voleva anche l’altro grande antagonista del riformatore, Benedetto Croce, che non amava certo le scienze. Le indicazioni del filosofo Gentile che rivestì anche il fascismo del suo pensiero (cfr. voce “Fascismo” nell’Enciclopedia Treccani), realizzarono l’impianto della s prospettiva educativa che, ancor oggi, è a fondamento della scuola italiana. La scuola educa lo spirito, la scuola educa la comunità, è essa stessa una comunità educante (i dubbi son molto leciti), tanto che essa deve essere costantemente in sintonia con la dimensione sociale, peccato che la dimensione sociale oggi lasci alquanto a desiderare, visto che educa di più internet, la televisione o la strada semplicemente. Sulla formazione critica dello spirito ha proseguito anche tutta la visione marxista italiana, che ha considerato e considera la scuola un “luogo sociale” dove imparare, ad esempio a fare lo sciopero, che poi servirà nelle fabbriche e a rifiutare, sempre come esempio, il latino perché ...lingua dei padroni. In questo “aiutati” anche da un certo cattolicesimo sociale, erede più di don Lorenzo Milani che di Gesualdo Nosengo (1906-1968). Il ritardo scientifico e tecnico dell’Italia di oggi non è forse anche dovuto a ciò? I grandi successi nelle scienze e nella tecnica di fine ottocento e metà novecento, la scuola di via Panisperna con E. Fermi, o G. Natta, o G. Michelucci, non sono invece dovuti alla formazione scientifica della scuola dell’istruzione, tanto cara al positivismo, che certo aveva anche il senso della società, tanto da ideare la solidarietà sociale.

L’educazione nella Costituzione della Repubblica I (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica) 

 

Giuseppe Bottai

 

 

La riforma di Giuseppe Bottai, ideata e promulgata tra il 1939 e il 1940 e che voleva aprirsi a tutti i ceti sociali, facilitando l’ingresso alle superiore dei meno abbienti, secondo quella prospettiva che si chiamò "umanesimo fascista". Ebbe molti estimatori, tra cui il vicentino Mario Dal Pra, che pubblicò un testo di riflessione sulla riforma (Educare, Verona, La Scaligera, 1940, introvabile), ma non giunse a compimento a causa della guerra e della sconfitta dell’Italia ad opera degli Alleati che istituirono un’apposita sottocommissione “Education” dell’Allied Military Government of Occupied Territories (Amministrazione militare alleata dei territori occupati), a Napoli nota come Commissione Omodeo nel 1944. La sistemazione della scuola nelle linee della commissione degli Alleati, organizzazione che durò nelle linee generali per la scuola elementare sino al 1955 e per la Superiore fino alla riforma L. Berlinguer quasi, se non fosse per la riforma della Scuola Media, l’introduzione nel 1974 dei decreti Delegati e per la riforma dell’esame di Stato.

 I Padri costituenti optarono per una scuola statale di istruzione, lasciando a 2 enti e privati il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione (art.33). Chiaramente la scuola della Repubblica Italiana non doveva essere “educativa”, ossia trasmettere modelli, come aveva fatto il fascismo, perché si doveva tener conto dell’importanza del pluralismo e soprattutto che il vero compito educativo era dei genitori (art.30).

 Ripercorrere come la Costituzione della Repubblica Italiana parla di “educazione” costituisce, a mio avviso, un momento di riflessione che può aiutare almeno a pensare la scuola in modo diverso da come dalla riforma Berlinguer in poi è stata realizzata. La scuola italiana manca di chiarezza di fini e di metodi, tutto è affidato alla responsabilità dei docenti, annegati letteralmente da prassi burocratiche o da dirigenti che inventano perfino figure, il coordinatore di classe, che non ha alcuna menzione nella legislazione scolastica e neppure nei contratti di lavoro per gli insegnanti.

 

La Costituzione

1.1. Diversi sono gli articoli che nella Costituzione della Repubblica Italiana utilizzano il termine educazione. Essi sono per la precisione, gli articoli 30, 33 e 38; viene anche utilizzato il termine rieducazione all’art.27. Per opportuna conoscenza e per avere un riferimento diretto, gli articoli vengono qui riprodotti, solo negli aspetti relativi al problema educazione e ne diamo un commento.

 Art.30

“ È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio.

 Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti.

 La legge assicura ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima.

 La legge detta le norme e i limiti per la ricerca della paternità.”

 L’articolo ha interesse per il problema nel primo comma, che è chiaro nell’affidare ai soli genitori il diritto-dovere dell’educazione. Ne consegue che i primi responsabili del progetto educativo di vita dei figli sono solo ed esclusivamente i genitori, come apparirà chiaro anche dalla lettura e analisi degli altri articoli. Essi devono necessariamente essere coinvolti qualora vi siano problematiche relativi ai figli e solo a loro spetta, salvo la decisione di un giudice,l’accettazione di progetti di qualsiasi tipo relativi ai figli. I genitori sono dunque soggetti attivi, non destinatari dei servizi per i figli e a loro spetta la decisione, scelta. Solo quando vi sia incapacità dei genitori, ecco in aiuto lo Stato; attraverso opportune leggi, come quella sull’affido familiare, sull’adozione.

 Art. 33

“ La Repubblica dette le norme generali sulla istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi.

 Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato.

 La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi della scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali.”

 Con chiarezza lo Stato afferma che a lui competono solo obblighi di istruzione non di educazione che svolge nella scuole statali. Oltre ad evitare la confusione, ormai solita, che chiama le scuole statali..pubbliche, afferma che solo enti e privati possono istituire istituti di educazione. Ciò afferma che lo Stato, contrariamente all’epoca precedente, quella del totalitarismo del Ministero dell’Educazione nazionale, non adotta una prospettiva predefinita di educazione. È importante questo principio, perché, oltre a ribadire, seppur indirettamente che sono i genitori i responsabili dell’educazione dei figli, afferma che solo nell’ambito privato, quindi con scelta opportuna da parte dei genitori vi può essere prospettiva educativa. Lo Stato con i Decreti Delegati del 1974 ha stabilito che nella scuola italiana parte attiva fossero i genitori per le scelte e anche nelle Superiori gli stessi alunni. Non vi è quindi possibilità autocratica per Dirigenti Scolastici e insegnanti, ma deve esserci un clima di reciproca responsabile collaborazione. Principio affermato dagli ultimi provvedimenti (Decreto Berlinguer) sul Piano dell’Offerta Formativa (P.O.F.) che non è di competenza degli insegnanti, ma dei genitori, degli alunni e delle forza del territorio coinvolte, come potrebbe essere La Società del mutuo Soccorso di Vicenza. La libertà degli insegnanti non è quindi assoluta, ma è sempre in relazione ai progetti formativi oggi!

 Coloro che sostengono una dimensione educativa della scuola statale, lo possono fare solo e soltanto in relazione al P.O.F. e con indirizzi concordati anche a livello di Consiglio di classe e non secondo prospettive proprie e magari ideologiche!

 

 Art. 38

L’articolo appartiene al Titolo III della Costituzione che riguarda i Rapporti Economici, all’interno dello Stato. La parte relativa al termine educazione (terzo comma):

“Gli inabili e i minorati hanno il diritto all’educazione e all’avviamento professionale”.

 Un tema scottante, che coinvolge i genitori, ma anche tutti gli apparati dello Stato (scuola, Regioni, Province, ULSS, e altri, come, ad esempio, “ La Nostra famiglia”(ci riferiamo alle sue esperienze a Conegliano Veneto e a Bosisio Parini), e che i disabili, un tempo chiamati “minorati” non siano parte di sola assistenza, ma che essi siano anche possibilmente parte attiva dell’economia della Repubblica Italiana. Rendere anche la persona con disabilità protagonista del mondo del lavoro e ciò attraverso inserimenti lavorativi opportuni, preceduti da avviamento (si può leggere anche formazione) professionale, che metta in luce le capacità possedute e attivabili, in modo che si realizzi anche l’articolo 4:”La repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettiva questo diritto (appunto l’avviamento professionale). / Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, una attività o una funzione che concorra al progresso materiale e spirituale della società.” In particolare possiamo ritenere chela dimensione lavorativa, appena sia possibile debba essere la caratteristica per ogni cittadino, anche se disabile. È questo uno dei fattori reali di integrazione, intesa come partecipazione “alla pari” con tutti gli altri cittadini.

 

Riportiamo anche la parte dell’articolo che parla di rieducazione per completezza d’informazione.

 Art. 27

“ le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.

 Il termine fu molto discusso anche nella Costituente; il prof. Giuseppe Bettiol, uno dei massimi esponenti del Diritto penale italiano, e docente a Padova sottolineava ancora nel 1981(Verso un nuovo codice penale in ID, Gli ultimi scritti e la Lezione di congedo, Cedam Padova, 1984, pp.78-79.) che la strada da percorrere era un’ altra quella che afferma:”Il diritto penale appartiene all’uomo serio e responsabile il quale sa che pagare il suo debito verso la società che ha offeso è un dovere. Pagare un debito è riacquistare un onore. Basta con le pene accessorie e gli effetti penali della condanna. Ciò umilia l’uomo che ha pagato e gli rende impossibile il reinserimento nella vita. Senza dar fiato alle trombe della risocializzazione, della rieducazione, dell’emenda (e chi più ne ha più ne metta), il senso dell’onore riacquistato attraverso un’espiazione di largo respiro fa sì che una coscienza morale decaduta possa ancora risplendere di ben in una società di uomini onesti. Questo è il mio diritto penale.” Ben altra è stata la via del diritto penale in Italia!, ma ciò, come discussione, compete a ben altra sede. Al nostro scopo il ricordare il termine rieducazione serve solo a informazione.

Non vi sono altri luoghi dove compaia il termine:

1.2.

 Una riflessione attenta e partecipe della Costituzione, prende atto di quanto essa stabilisce e non frappone ad essa le proprie opinioni, semmai le discute, perché ciò contribuisce all’elevazione e al progresso dello Stato, ma non impone, perché responsabile di una settore come la scuola statale, la propria visione. Occorre opportunamente ricordare l’art. 28 della Costituzione che recita:”I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione dei diritti.In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici.” Norma chiara che dovrebbe essere ricordata propria quando funzionari e dipendenti interpretano, secondo le ragioni di un serenissimo Principe, leggi e decreti.

 Il tema dell’educazione è importante perché è diritto doveri dei genitori e coloro che con essi collaborano a vario titolo non dovrebbero mai dimenticarlo, perché in gioco non è solo il cittadino, ma la persona la sua dignità e libertà.



nr. 32 anno XIX del 20 settembre 2014

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