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Interventi

La nuova provincia e la democrazia negata

di Mario Giulianati
27 settembre 2014

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Interventi

La nuova provincia e la democrazia negata

 

Dopo gli appelli rivolti ai partiti, ai sindaci e ai consiglieri elettori per la nuova provincia, da parte di autorevoli esponenti del mondo economico e finanziario vicentino, di operare con unità e in unità di intenti, pur con la stonatura di un presidente della Camera di Commercio che parla affermando che “ora la politica non c’entra più”, dichiarazione per lo meno sorprendente in un paese che si dichiara democratico, pare che la soluzione sia avvenuta proprio come veniva richiesto. Però, e spesso vi sono i “però”, pur apparendo essere una voce stonata del coro, penso che questo assemblaggio di così tante parti politiche diverse attorno ad un nome e non ad un programma che sia stato prima approvato e poi consegnato ad un leader, assomigli molto ad un grande pasticcio destinato, come quello accaduto in città di Vicenza 22 anni or sono e che nulla di buono abbia recato alla città se non una legislatura singhiozzante, quella del 1990 al 1995, seguita da un terremoto istituzionale purtroppo, per lui, gravato soprattutto sulle spalle del buon Marino Quaresimin. Si dice sempre che la storia è maestra di vita. A me sembra che sia piuttosto un archivio dove si pongono le pagine delle cronache, che il tempo trasforma in storia, ma che ben pochi si azzardano di rispolverarle e rileggerle per trarne insegnamento. Il Ministro Giannini e i suoi collaboratori hanno scritto un libro chiamato “La buona scuola”. La nuova provincia poteva essere l’occasione per scrivere una pagina di buona politica. Certamente anche con spirito unitario, ma non per salvare la sedia a qualcuno e tanto meno per alimentare l’ego di qualche altro. Ma per il bene della cosa pubblica, questa è la missione della buona politica, che significa cercare il bene delle persone. Nulla di questo è avvenuto. I media locali hanno, coscienziosamente e lodevolmente registrato l’affanno di questi giorni di trattative mezze carbonare e più spinte a calcoli personalistici che a definire linee programmatiche di comune interesse. Tutto l’impianto di questa nuova provincia italiana è ambiguo. Se non servivano, e io sono del parere che ve ne fossero non poche di eccellenti e utili al proprio territorio e queste meritavano di proseguire nella loro onesta fatica, andavano cancellate. Se servivano non potevano essere ridotte a semplice contenitore di un qualche cosa di indefinito, ancora, alla vigilia della loro entrata in funzione, da precisare e impostare. Perfino la formula della elezione degli organismi affidata a un voto di secondo livello e tradotta in una circolare ministeriale che è un trattato di incomunicabilità, non coincide con un impegno assunto dal Governo di fare bene e presto. Ma tornando alle cose vicentine da quello che si legge e da quello che raccontano alcuni bene informati, o meglio presunti bene informati, se ne deduce che le idee, politiche, chiare, pare proprio che nessuno degli attori le abbia. Magari le hanno su altri sentieri, ma non certo quelli della politica saggia e rispettosa della sostanza della democrazia, che è sopratutto rispetto del bene comune e del rapporto/confronto tra i vari indirizzi politico-amministrativi. Non bastano le interviste colme di bei propositi (promesse) per convincere quei cittadini che sono attenti alle cose della amministrazione pubblica, che quello che non si è fatto nella propria casa amministrativa, in diversi anni, venga fatto nella nuova casa, e che, al contrario, non si persevera nel fare rumore e combinar pasticci.

Una unità esclusivamente formale, priva di un convincimento ideale (parola che a tanti oggi non piace ma che è l’essenza della democrazia) porta a formule più vicina al centralismo democratico, triste memoria del passato, che al rispetto dello spirito della nostra Magna Carta. Se questo quasi unanimismo si formalizzerà con il voto, dovrà essere riconosciuto ai così detti dissidenti, a qualsiasi partito o movimento appartengano, al M5S e alla Lega e anche quelli di Forza Italia che non si sono piegati a scelte personalistiche, il fatto di porsi in posizione di contrasto a questo disegno, garantisce almeno sul terreno formale, la sopravvivenza del concetto di democrazia.

Il processo di unità durevole e proficua, in politica, non si forma per l’appello dei maggiorenti, pur importante e significativo, ma per il convincimento del popolo che, in una democrazia ha lo strumento del voto per esprimere la sua volontà, seppur delegato a soggetti terzi. Ma questi hanno il dovere morale di rispettare il mandato ricevuto. Non di ritenerlo proprietà privata.

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