L’architettura e lo spazio degli interni di antiche cattedrali, la forza delle pareti degli atri e le aperture di navate e nicchie scavate su alte mura, la presenza intuita di rigorosi profili corrosi da lontane luci, la forza simbolica e l’eleganza delle strutture, qualificano l’idea dei luoghi dedicati al sacro nelle grandi tele (m.2x250) di Saul Costa. Un obiettivo personale delle mete rincorse attraverso un nomadismo sviluppato negli anni, alla ricerca di templi dalle forme simboliche, che vivono anche in pittura del rapporto con la misura del tempo e il senso del luogo, in cromatismi memori di bagliori e splendori di luce alabastrina.
Il ritmo delle absidi monumentali conserva la profondità delle penombre e le pareti assorbono le luminosità soffuse di riti e di celebrazioni; un colore ambrato accentua la sensazione di visioni dai confini sfumati. Un pulviscolo biaccoso e la materia cromatica dello sfondo agiscono da presa per lo sguardo e così gli interni di Santa Sofia di Istanbul, della Basilica di San Marco a Venezia, della moschea del Cairo, della facciata di Notre Dame a Parigi appaiono magnifiche immagini che conducono a risonanze anche interiori.
Del tutto visionaria appare la torre di Babele, forma emergente per l’accostamento dei cromatismi tra sfondo ed immagine -verde scuro e bianco-, nel salire di rampe fino all’interrotta sommità. Alcuni segni alimentano nel percorso la vitalità della materia ed esprimono la padronanza del mezzo tecnico di Costa.
Altre tele hanno in precedenza filtrato l’immagine di facciate bizantine dall’articolato movimento di minareti e torri fra cupole centrali e laterali, di complessi edifici dedicati al sacro fra oriente ed occidente. Vibra in quelle tele il tono dominate dell’azzurro che, assieme alle dimensioni ora cede al color bruno, accentuato dal passaggio di rarefatti segni e tocchi bianchi.
Mostra a cura di Gino Prandina
Finissage 2 novembre alle ore 17 con Marcello De Boni: “Immagini e parole”.