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Interventi

Patteggiamento? Ovverossia il silenzio

di Mario Giulianati
18 ottobre 2014

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Interventi

Patteggiamento? Ovverosia il silenzio

 

mose (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica)È questa la stagione del “patteggiamento”. Solo in relazione alla vicenda, tristissima, del Mose, i “patteggiamenti” mi pare siano, a tutt’oggi circa una ventina. Per l’immaginario popolare, patteggiare è una ammissione di colpevolezza. Per la Legge non è così. Il patteggiamento è un istituto “del diritto processuale penale italiano disciplinato dal punto 45 dell'art. 2 della legge delega 16 febbraio 1987, n. 81 ("Delega legislativa al Governo della Repubblica per l'emanazione del nuovo codice di procedura penale") e dall'art. 444 c.p.p. come modificato dalla legge 12 giugno 2003, n. 134.”(Wikipedia). In effetti è una richiesta di concludere una fase pre processuale con un accordo tra l’imputato e il Pubblico Ministero che rivolgono al giudice una richiesta di applicazione di una pena sostitutiva al carcere e/o di una pena pecuniaria rispetto a quella che potrebbe essere una vera condanna pronunciata, appunto dal giudice e da un tribunale. Ma la formulazione di una sentenza di patteggiamento dice la legge che “per quanto equivalga a una sentenza di condanna, non è una condanna” e la richiesta di patteggiamento “non equivale a confessione di una responsabilità penale”- Le persone, quindi, come nel caso Mose hanno ottenuto dal giudice di chiudere la loro vicenda giudiziaria con il patteggiamento, in effetti hanno posto una pietra tombale su tutto quello che riguarda il contenuto, riservato, del patteggiamento stesso e non per questo posso essere definiti con epiteti vari. Naturalmente, sempre per l’immaginario popolare, tutto questo non GALAN (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica)significa gran ché. Il popolo ritiene che chi ha messo le dita nella marmellata, e se l’è poi mangiata, è comunque un lestofante indipendentemente dal fatto che abbia patteggiato o pure no. Per il patteggiante le ragioni possono essere tante. Personaggi legati alla faccenda del MOSE, in negativo si presuppone, a sentire qualche avvocato, hanno patteggiato per uscire da una situazione di disagio tale che intaccava sia lo spirito che la carne. Certo che starsene in cella non è come viaggiare su auto di lusso, vivere in ville eleganti, brindare con vini pregiati ecc.ecc. – La mancanza di queste cose ed altre ancora può far nascere la depressione e perdere qualche chilogrammo di troppo. Ma uscendo dalla mia superficiale illustrazione del patteggiamento, ci ritroviamo di fronte a un interrogativo che riguarda proprio gli imputati di vari reati che ricorrono al patteggiamento. Ne cito uno, proprio quale esempio. Mi riferisco all’on. Giancarlo Galan che, dicono i suoi avvocati, insiste per dichiararsi innocente e che la richiesta di patteggiamento è stata decisa solo per ragioni di salute, sia psichica che fisica. Un patteggiamento che ha una dimensione sul piano dei prezzo da pagare da parte dell’on. Galan di due anni e sei mesi di reclusione, il che lo terrebbe fuori da carcere ma lo SEVERINO (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica)impegnerebbe in servizi sociali, e di una pena pecuniaria di 2.600.000 euro che con tasse e affini potrebbero toccare quasi i 4 milioni. Cifra ragguardevole ma che si trascinerebbe dietro molto probabilmente, in base alla Legge Severino, anche la decadenza da deputato. Basta pensare al caso Berlusconi. L’interrogativo, duplice, è questo: accettando la tesi degli avvocati dell’on. Galan (ma questo vale per tanti altri patteggiatori) ci si trova di fronte ad un innocente che paga un prezzo altissimo per poter uscire di prigione e ritornare a vivere, pressappoco, come una persona normale. Altrettanto avviene se non si da credito alla tesi innocentista. Il patteggiamento mette la parola fine alla vicenda giudiziaria e quindi non si saprà mai, con assoluta certezza, se l’on. Galan è una vittima oppure un colpevole. Nel primo caso il prezzo pagato dall’onorevole diviene enorme, perché ci sarà sempre tra lui e la gente, l’incubo del dubbio. In caso contrario le vittime saranno proprio tutti gli altri che mai potranno conoscere quello che è scritto nel libro della verità, chiuso ermeticamente e inviolabile da chicchessia. Penso che nei casi in cui si prospetti che il danno è stato fatto nei confronti del bene pubblico, sia cosa positiva che venga svolto comunque il processo. Magari facendo in modo che i tempi del giudizio non siano infiniti. Ritengo che noi tutti, e in primo luogo l’imputato, si abbia il diritto di conoscere cosa in realtà è avvenuto. Di misteri i Italia ve ne sono anche troppi. 

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