NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
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Ma cos’è questa crisi? Un nome e una storia

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Ma cos’è questa crisi? Un nome e una storia

“Ma cos’è questa crisi” è il testo di una famosa canzone, composta da Rodolfo De Angelis, nome d'arte di Rodolfo Tonino (Napoli, 27 febbraio 1893 – Milano, 3 aprile 1965), che nel 1933 già delineava la possibilità di uscire da quella che fino alla nostra, era la più celebre dell’economia capitalista mondiale. Essa però aveva investito anche tutti gli altri settori della società, perfino le case da gioco, per non parlare del commercio e perfino della “donna bella”.

 Anche oggi viviamo una crisi e da sei anni; segnali di un suo superamento sono “gridati” appena qualche valore statistico sembra volgere al positivo, per poi, il mese successivo, ritornare al negativo, che sommato a quelli precedenti, ben evidenziano come la situazione peggiori, anziché migliorare.

 Ritorna sempre la fatidica domanda; proviamo a percorrere la storia del nome stesso.

 Il termine crisi è dell’antica lingua greca, κρίσις ed ha origine nell’ambito medico, della medicina d’Ippocrate ed indicava la trasformazione decisiva che si produce nel punto culminante di una malattia e orienta il corso di essa in senso favorevole o sfavorevole (cfr. Ippocrate, Prognosticon, 6,23-24).

 Ben è evidenziato che la situazione di crisi non è improvvisa e che non era pensabile; è l’esito di una malattia e quando appare è il frutto di una ben determinata situazione che il medico dovrebbe già conoscere e sapere quali ne potrebbero essere i rimedi.

 Ma il significato dell’ambito medico non è stato ben recepito, anzi, si ritiene che crisi sia una trasformazione decisiva che si produce in un qualsiasi aspetto della vita sociale; il filosofo francese Saint Simon, uno dei padri del socialismo, bollato da K. Marx come utopistico, sosteneva che la crisi fosse necessaria al progresso stesso della storia, quasi rilevando che senza di essa non vi può essere storia, soprattutto nell’epoca moderna. Il capitalismo, infatti, è una crisi perenne di crescita, Marx lo dirà rivoluzionario. Proprio per questo suo carattere rivoluzionario, il capitalismo, dirà il teorizzatore del plusvalore, deve trovare politicamente il proprio antagonista e sopprimendolo anche con la violenza, saprà superare il perenne stato di crisi. Ciò con la fondazione, a tappe, ossia passando per la rivoluzione, la dittatura del proletariato, del comunismo, dove non vi sarò più necessità della crisi stessa, perché la società produrrà solo quanto è necessario alla vita, instaurando un’uniformità di valori e di vita. Definito un “mito pragmatico”, in altre parole l’idea di un’epoca d’oro e felice da costruirsi, il comunismo nelle sue varie sfaccettature, difficili da enumerare, non farà più subire alterazioni alla società degli uomini. Così ogni crisi è salutata dai teorici del comunismo quasi come salutare, ossia segno di una trasformazione che sta avvenendo e nella segreta speranza che sia quella decisiva per la morte del sistema economico che l’ha generata. Per questo più c’è crisi e meglio dovrebbe essere per i politici che affermano il cambiamento epocale verso un mondo nuovo. Per questo essi operano, affinché il capitalismo esaurisca le risorse, di fabbrica e finanziarie, e sperano che la crisi sia inarrestabile; tanto inarrestabile che basterò un corteo, magari a Roma, come fece B. Mussolini, per cambiare il corso della storia.

Ma cos’è questa crisi? Un nome e una storia (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica) 

 Karl Marx

 

 La crisi ha un grande valore, perché nell’ambito economico, lo strutturale, è il solo considerato dal marxismo dell’origine e degli epigoni, perché è foriero di mutamenti. Nello studio della critica dell’economia politica, ossia i ponderosi volumi de Il capitale, Marx esamina le crisi economiche della sua epoca, 1825, 1830, 1839-40 e quella del 1867 e i loro teorici tra cui il Jean Charles Léonard Simonde de Sismondi (1773.1842) e ne evidenzia le caratteristiche sia nella produzione industriale sia in quella finanziaria. Certo sono relative alla sua epoca, ma l’analisi, che lui svolge senza troppi slogan com’è invece stato poi di moda, rileva come la crisi (cfr. Il capitale, Libro I) sia il punto culminante periodicamente percorso dall’industria moderna. Vi è quindi una ciclicità ricorrente che rende instabile l’occupazione dell’operaio. Pertanto è necessario, soprattutto di fronte alle grandi crisi, quelle che minano gli aspetti strutturali, intervenire per cambiare la situazione stessa ed avviare il processo storico della rivoluzione, preparato con l’attività delle avanguardie, dirà Lenin, che educano il proletariato alla coscienza di classe, l’unico motore del cambiamento.

 Ben analizzò il francese Georges Sorel (1847-1922), il padre dell’anarcosindacalismo, tanto apprezzato sia da Lenin sia da Mussolini, nel suo scritto del 1908 Réflexions sur la violence, subito tradotto e conosciuto in Italia, grazie a B. Croce che scrisse l’Introduzione alla prima edizione italiana (Bari, Laterza, 1909), quando rilevò, a partire dal 1898 con lo scritto La crisi del socialismo scientifico, come la prospettiva indicata da Marx e dal marxismo, il crollo del capitalismo per sua stessa struttura, ossia anche le ricorrenti crisi, non avveniva, anzi il capitalismo era più forte che mai. Quindi quella via non era percorribile, meglio quella dell’anarchia, teorizzata dal russo M. Bakunin (1814-1876) che, unita alla visione radicale del sindacalismo, poteva, attraverso lo sciopero generale violento, portare il mutamento, tanto atteso. In Italia ne fu teorizzatore, durante il fascismo A.O. Olivetti (1874-1931) con il suo testo Il sindacalismo come filosofia e come politica, Milano, Alpes, 1924. Il testo ben si adattava a quel fascismo sociale che Mussolini stesso abbandonò proprio a partire dal 1924 e al quale ritornerà con il discorso del 18 settembre 1943, attraverso Radio Monaco, in cui annunciava la nascita della Repubblica Sociale Italiana (RSI).

 Le soluzioni che erano proposte e sono anche oggi proposte dalle derivazioni delle analisi di Marx e del sindacalismo radicale puntano sulla soluzione del problema economico, considerato l’unica leva per mutare lo stato di crisi. Le soluzioni indicate sono certamente anche politiche, ma individuano una visione antropologica, fondata solo sugli interessi materiali. Si ritiene che, risolti questi, anche le altre necessità dell’uomo troveranno adeguate soluzioni. La storia si è svolta in modo molto diverso sia nella Russia dove si “realizzò” (eufemismo) il socialismo con Lenin, Stalin, Krusciov e Breznev, che ne proclamò addirittura il raggiungimento. L’imposizione della visione sovietica a molti paesi europei ha dato frutti che direi fallimentari,a dir poco. Negli Stati, come l’Italia, dove un ben costrutto e articolato Partito Comunista con qualche appoggio di quello Socialista, tentò per decenni e ancora in alcune frange tenta, di indicare la via del comunismo come risoluzione del capitalismo, soprattutto nei suoi momenti di crisi, ha fallito e se ancora si cerca di illudere, il fallimento è solo negato per opportunità di vantaggi dei gestori di questa politica. La Cina, nell’estremo oriente ha seguito la via del comunismo, ma none era una nazione industrializzata, con l’industrializzazione ha seguito la più chiara via del capitalismo, ma conservando politicamente la visione della sua nascita. Quanto chiara sia questa via lo attesta la visione solo economicistica del vantaggio, che può essere riassunto nell’espressione: se hai denaro bene, altrimenti sei solo dipendente, da chi lo possiede.

 Di fronte alla crisi il fallimento delle visioni totalitarie. La Cina vorrebbe essere la dimostrazione che si possono percorrere e le vie del capitalismo e quelle del socialismo, ma nutriamo qualche dubbio e la fase di sviluppo di quel paese non ha ancor incontrato una crisi, si vedrà quando succederà.

 

Altre vie

 Ritorniamo alla domanda iniziale: “Ma cos’è questa crisi? “

 È una crisi strutturale, strutturale del sistema di produzione e soprattutto di quello finanziario, ma a questa crisi solo una prospettiva ben diversa da quella che si sta seguendo può, probabilmente, portare quale soluzione. La via è quella indicata dal grande economista Luigi Einaudi (1874-1961), che fu il primo Presidente della Repubblica Italiana.

 Durante il secondo conflitto mondiale non mancarono certo riflessioni e dibattiti intorno ai principali problemi degli uomini sia dal punto di vista religioso- spirituale- sia filosofico, in particolare in quello morale che, classicamente ispira l’elaborazione politica, giuridica ed economica. Infatti, solo con una visione complessiva ed articolate dell’uomo e della società con chiarezza dei fini cui deve tendere l’unione organizzata degli uomini, comunemente chiamata Stato, è possibile pensare a vie di soluzione delle crisi. Ma per questo è necessaria un’immagine dell’uomo, non ristretta ai soli aspetti economici, ma che sappia riguardare a tutti gli altri, individuando quelli che sono fondamentali. Il riduzionismo marxista, come tutti gli altri riduzionismi, compreso quello sessuale di S. Freud, esaltano un aspetto e dimenticano il resto, ma non è una dimenticanza, ma ad arte si ritiene che risolvendo un aspetto, gli altri, di bordone saranno risolti. È questo il frutto matura di quel relativismo che finisce sempre nel teorizzare e tentare di realizzare il vantaggio immediato, individuando solo negli aspetti apparenti, quelli fondamentali.

 Invece. Se vi è crisi economica, questa è contemporaneamente anche una crisi giuridica, politica e quindi ha come proprio fondamento la crisi morale, ovvero quella del fondamento stesso con il quale riflettiamo sull’uomo e la sua vita individuale ed associata.

Ma cos’è questa crisi? Un nome e una storia (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)

  Luigi Einaudi

 

 Su questi temi rifletteva L. Einaudi e nel 1942, nell’anno che preparava la fine del fascismo, proprio a causa di quella guerra che con insipienza il Presidente del Governo, aveva intrapreso, affermava con la chiarezza che contraddistingue il suo lavoro scientifico: “Chi cerca rimedi economici a problemi economici è su falsa strada; la quale non può che condurre al precipizio. Il problema economico è l'aspetto e la conseguenza di un più ampio problema spirituale e morale” (L. Einaudi, Economia di concorrenza e capitalismo storico. La terza via fra i secoli XVIII e XIX, in "Rivista di storia economica", giugno 1942.)

 Infatti, la crisi quando si presenta in tutta la sua potenza, non è mai solo economica, è crisi di una visione e di un’immagine dell’uomo, di un uomo ridotto a solo homo oeconomicus.

 Proprio per questo risolvere l’attuale crisi è difficilissimo, non vi sono riflessioni complessive sull’uomo e la società. Ci s’illude che gestire la crisi, sia superare lo stallo economico e che questo sia la struttura della crisi stessa. Bisogna avere molto più coraggio delle istituzioni sia italiane sia europee e mondiale. Dopo la crisi, il malato se riesce a superarla non è più quello di prima, deve fare convalescenza e questa che getta le basi della sua vita futura. Curare solo gli aspetti della malattia che si è manifestata, è buona cosa, ma se non si ha presente tutto il corpo, la soluzione può essere solo apparente. Ad esempio la medicina di aumentare il prelievo fiscale non fornisce alcun vantaggio, anche perché la produzione diminuisce e con questa l’introito delle gabelle. Fornire qualche denaro in più non accresce la possibilità di spendere, ma solo di ripianare, in minima parte, quello che si è già speso o quello che è in riscossione, come la nuova TASI in Italia.

 In queste condizioni non si accentua né il valore dell’uomo e della persona, né quello dello Stato, ma solo l’appetito egoistico, del “io cerco di salvarmi”

Ma cos’è questa crisi? Un nome e una storia (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica) 

 Mario Dal Pra

 

 Sempre negli anni di guerra il filosofo vicentino Mario Dal Pra (1915-1992) in una sua importante conferenza, Ordinamenti economici e coscienza morale, tenuta a Todi affermava: “ lo sforzo morale della persona è appunto quello di accrescere il numero ed il valore delle istituzioni morali, di accrescere il contenuto della dignità da riconoscere alla persona umana, e di trasformare in istituzioni morali il maggior numero possibile d’istituzioni di mera prassi.” Dobbiamo quindi dare concretezza all’atto morale e ciò vale “naturalmente anche per il campo economico.”.

 Egli indicava una via, quella della costante tensione morale per prospettare soluzioni e anche quando fu vicino al mondo del socialismo la affermava e ciò poco prima della sua morte. Di fronte alla piega intrapresa dalla sinistra italiana a Milano denuncio in Pensare Milano del 1992, anno della sua morte, l’estenuarsi della cultura della città in una visione di stalinismo ideologico, imbrigliata nelle angustie dello hegelomarxismo miniaturizzato in linea De Sanctis-Croce-Gramsci. Ma propositivo, come lo fu sempre, apprezzò le direzioni d’uscita da questo contesto con il tentativo di percorrere da parte della Casa della Cultura, retta da Rossana Rossanda, nuove strade come il neopositivismo di Giulio Preti o la via fenomenologica di Enzo Paci, ma vide con dolore il restringersi contemporaneo della visione politica in lotta per interessi, che certamente non aprivano ad una prospettiva politica di più ampia visione, come fin da giovane, ancora legato al mondo e alla visione cristiana aveva sperato.

Ma cos’è questa crisi? Un nome e una storia (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)

 Edmund Husserl

 

 Proprio la visione fenomenologica, proposta da Edmund Husserl, il maestro di Santa Edith Stein (come Carmelitana Suor Teresa Benedetta della Croce martirizzata ad Auschwitz), invitava a considerare prima di tutto l’autentico ed universale fondamento in sé connessione organica delle parti, ciascuna avente valore, ma non avulsa dalle altre, dell’uomo, per poi, sulla base di questo, pensare alla società. Infatti, ogni uomo non è mai solo l’apparenza delle sue manifestazioni, ben lo sapeva Franco Basaglia che al filosofo tedesco si richiamava in parte.

Ma cos’è questa crisi? Un nome e una storia (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)

 

Massimo Cacciari

 Fino a quando la via è quella dell’individualismo, del solipsismo e dell’egoismo non avremo che un pensiero negativo, di tipo nichilista, di fronte all’uomo e alla società, contrapposto dialetticamente a quello pseudouniversalistico delle ideologie. Queste sono entrate in crisi, come ha indicato M. Cacciari fin dal 1976 nel suo volume Krisis (Milano, Feltrinelli, 1976).Nel saggio si assumeva la “funzione demistificatrice di quanto di metafisico è presente ancora nelle filosofie razionalistico-dialettiche, tra le quali il marxismo.”(ivi, pp. 7-8.), ma il pensatore non ha dato indicazioni prospettiche con una nuova “immagine dell’uomo”.

 L’uomo è un’unità complessa che richiede lo sforzo della chiarezza nel suo conoscere, nel suo agire morale e nel suo sperare, affermava il grande filosofo critico I. Kant. Solo quando daremo la risposta a questi tre importanti campi, potremo tentare di uscire dalla crisi, altrimenti le soluzioni tampone, che funzionano per il breve tempo, ma poi ripropongono la crisi, o meglio le vere cause delle crisi. Chi considera la vita dell’uomo solo nell’arco della proprio temporaneo respirare, le cerca, chi invece ricerca e tende a vivere con quel senso, indicato da Kant, che mai dimenticò il valore dello spirito e di Dio, pur sostenendo che non lo si poteva conoscere con la matematica e la fisica, come affermavano altri filosofi, forse mangerà meno, ma avrà più coscienza di se stesso, d ella sua dignità e valore.

Italo Francesco Baldo

 

Addenda

Ma cos’è questa crisi? Un nome e una storia (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica) 

 

Ma … cos'è questa crisi?

    di Rodolfo De Angelis

 

Si lamenta, l'impresario,

che il teatro più non va,

ma, non sà rendere vario,

lo spettacolo che dà:

"Ah... la crisi!"

Ma cos'è questa crisi? (due volte)

Metta in scena, un buon autore,

faccia agire un buon attore,

e vedrà...

che, la crisi, passerà!

 

Un riccone, avaro e vecchio,

dice: "ahimè, cosi non và...

vedo nero nello specchio...

chissà come finirà...

Ah... la crisi!"

Ma cos'è questa crisi? (due volte)

Cavi fuori il portafogli,

metta in giroi grossi fogli,

e vedrà...

che, la crisi, finirà!

 

Si lamenta Nicodemo,

della crisi, lui che và...

nel casino di San Remo,

a giuocare il baccarà:

"Ah... la crisi!"

Ma cos'è questa crisi? (due volte)

Lasci stare il gavazzare,

cerchi un pò di lavorare,

e vedrà...

che, la crisi, finirà!

 

Tutte quante le Nazioni

si lamentano cosi!

Conferenze, riunioni,

ma si resta sempreli:

"Ah... la crisi!"

Ma cos'è questa crisi? (due volte)

Rinunciate all'opinione,

della parte del leone

e chissà...

che, la crisi, finirà!

 

L'esercente, poveretto,

non sa più che cosa far...

e contempla quel cassetto,

che riempiva di danar:

"Ah... la crisi!"

Ma cos'è questa crisi? (due volte)

Si contenti di guadagnare,

quel ch'è giusto e non grattare...

e vedrà...

che, la crisi, passerà!

 

E perfin la donna bella,

alla crisi s'intonò...

e, per far la linea snella,

digiunando sospirò:

"Ah... la crisi!"

Ma cos'è questa crisi? (due volte)

Mangi un sacco di patate,

non mi sprechi le nottate...

e vedrà...

che, la curva, tornerà!

 

Per finire

 

Ma... cos'è questa crisi?

chi ce l'ha, li metta fuori...

circolare! miei signori...

e, chissà...

che, la crisi, finirà!

 

nr. 37 anno XIX del 25 ottobre 2014



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