NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
google
  • Newsletter Iscriviti!
 
 

Elementi per una riflessione sull’uomo e il suo destino

di Italo Francesco Baldo

facebookStampa la pagina invia la pagina

Elementi per una riflessione sull’uomo e il suo de

“Stabilì finalmente l’ottimo artefice che a colui cui nulla poteva dare di proprio fosse comune tutto ciò che aveva singolarmente assegnato agli altri. Perciò accolse l’uomo come opera di natura indefinita e postolo nel cuore del mondo così gli parlò:” Non ti ho dato, o Adamo, né un posto determinato, né un aspetto proprio, Né alcuna prerogativa tua, perché quel posto, quell’aspetto, quelle prerogative che tu desidererai, tutto secondo il tuo voto e il tuo consiglio ottenga e conservi. La natura limitata degli altri è contenuta entro leggi da me prescritte. Tu non costretto da nessuna barriera, la determinerai secondo il tuo arbitrio, alla cui potestà ti consegnai. Ti posi nel mezzo del mondo perché di à meglio tu scorgessi tutto ciò che è nel mondo. Non ti ho fatto né celeste né terreno, né mortale né immortale, perché di te stesso quasi libero e sovrano artefice ti plasmassi e ti scolpissi nella forma che avresti prescelto- tu potrai degenerare nelle cose inferiori che sono i bruti; tu potrai, secondo il tuo volere, rigenerarti nelle cose superiori che sono divine”. (G. Pico della Mirandola, Discorso sulla dignità dell’uomo, a cura di G. Tognon, Prefazione di E. Garin, Brescia, Ed. La Scuola, 1987, pp. 6)

 

È questa è una delle immagini più note della filosofia dell’Umanesimo nella voce di Pico della Mirandola, ha dato dell’uomo e con ciò intendiamo affrontare la centralità della questione antropologica, ovvero se esista e quale oggi l’immagine dell’uomo, quella che, nel variare del tempo storico, può richiamare, come sosteneva Giovanni Santinello (Immagini e idea dell’uomo. Introduzione antropologia alla filosofia, Rimini, Maggioli, 1984) un’idea dell’uomo, alla quale riferirsi indipendentemente dalla contingenza del tempo.

L’ antropologia filosofica, afferma sempre Santinello, “ è una parte, un problema della filosofia, ma è tale che, quasi sempre, ha concentrato su di sé le fila della riflessione maturata in tutti gli altri settori della ricerca speculativa”. Comprese quelle conoscenze oggettuali che di se stesso l’uomo fornisce attraverso le scienze.

Nel corso della storia del pensiero, proprio a partire dal socratico “conosci te stesso”, all’aristotelico “L’uomo è un animale politico, ma anche è l’unico essere che ride e piange”, l’essere umano ha costantemente elaborato immagini di sé, diceva il filosofo vicentino Mario Dal Pra, proprio quando l’uomo è a se stesso problema, che si pone. Da Platone che evidenzia il dualismo, cioè l’origine eterna e trascendente dell’anima, la sua pura e luminosa spiritualità nel pensiero, contrapponendola al mondo instabile incerto e anche tenebroso dei corpi, per cui l’uomo è anima. Aristotele, che ha invece tematizzato l’unità di anima e corpo nell’uomo, come in tutti i viventi, separa però alla fine anche lui dalla natura terrena il mondo l’intelligenza, la quale rappresenta una realtà sovraindividuale ed eterna. Così continuando Epicureo e lo stoicismo, ma anche il neoplatonismo o lo scetticismo ci hanno fornito, insieme ai cinici, una precisa immagine dell’uomo. Con l’avvento del cristianesimo la filosofia riceve la spinta a pensare a un mondo ben diverso, dove la creazione e la venuta del Figlio dell’Uomo, offre occasione per riflessioni sull’uomo ancora più vaste e precise. La sacra dottrina, cioè i contenuti della fede racchiusi nelle Scritture, è ammaestramento dell’uomo: ” anche riguardo a quello che intorno a Dio si può indagare con la ragione, fu necessario che l’uomo fosse ammaestrato per divina rivelazione, perché una conoscenza razionale di Dio non sarebbe stata possibile che per parte di pochi, dopo lungo tempo e con mescolanza di molti errori […] Per provvedere alla salvezza degli uomini in modo più conveniente e più certo fu perciò necessario che rispetto alle cose divine [gli uomini] fossero istruiti per divina rivelazione”..(S. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, Quaestio 1, art. 1).

Inoltre l’uomo è stato compreso non nella sua individualità, o come sola parte dell’insieme, ma come natura individua, cioè persona che si chiede alla luce del “natural lume” e della Rivelazione il senso della sua vita e ciò attraverso la libertà, intesa come opzione razionale al bene, non come libertà negativa che considera la volontà psicologica come la base della libertà stessa, facendola inevitabilmente coincidere con se stessa. (Cfr. D. Castellano, Razionalismo e diritti umani. Dell’anifilo0sofia politico-giuridica della “modernità”, Torino, G. Giappichelli Ed., 2003, part., p. 6 e pp. 15-21).

Ma non in questa direzione va letta la centralità, anzi il fondamento “io” che la filosofia moderna, segnatamente quella cosiddetta razionalistica, pone alla base. Cartesio non riduce la riflessione all’Io, ma sa che questo ha il suo fondamento nell’esistenza di Dio e lo stesso Locke non azzarda negazioni pur sostenendo che l’intelletto umano, quasi fisiologicamente, può raggiungere solo alcune conoscenze, derivate dal rapporto con il mondo attraverso i sensi e, pur affermando la sostanza “Dio”, ne afferma l’inconoscibilità.

Elementi per una riflessione sull’uomo e il suo de (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)

 

Immanuel Kant

 

 A partire dai cosiddetti “lumi” altre immagini dell’uomo si affiancano a quella del cristianesimo. Esse offrono svariate “immagini”, tra cui spicca certamente quella dell’uomo che non ha più necessità di Dio o di un Dio rivelato, ma è sufficiente a se stesso solo attraverso la sua propria ragione. Ragione che solo I. Kant riesce a limitare, tanto da fornirci un’immagine dell’uomo che appare dualistica, ma che invece è dettata, come vedremo, da un autentico afflato religioso e soprattutto consapevole che non si possa definire l’uomo attraverso la matematica e la fisica, ovvero la considerazione dell’uomo a se stesso solo come mero oggetto d’indagine. Le celebri parole, vanno, a mio avviso, costantemente rimeditate:

 “Che cosa sia veramente l’uomo, noi, in realtà, non lo sappiamo, benché i sensi e la coscienza avrebbero dovuto insegnarcelo; tanto meno potremo quindi indovinare quel che l’uomo sarà un giorno. Tuttavia, avidità di sapere dell’anima umano, spinta da una grande curiosità per quest’argomento, aspira ardentemente a fare un po’ di luce nell’oscurità di simili conoscenze.

 L’anima immortale, per tutta l’infinità della sua vita futura, che nemmeno la tomba può interrompere, ma solo mutare, è forse destinata a rimanere legata per sempre a questo semplice punto dell’universo che è la Terra? Non le sarà concesso dunque mai di vedere le altre meraviglie del creato? Chi sa se non è invece destinata a conoscere da vicino, un giorno, quelle lontane sfere dell’universo e l’eccellenza del loro ordinamento, che già da queste infinite distanze suscitano la sua curiosità? Forse si stanno già formando nuove sfere del sistema planetario, destinate ad accoglierci in altri cieli, quando il tempo assegnatoci per il nostro soggiorno sulla Terra sarà scaduto. Chi sa, forse un giorno godremo della luce dei satelliti di Giove.

 È lecito, anzi è conveniente dilettarsi con simili pensieri; ma nessuno fonderà la propria speranza in una vita futura nei frutti così incerti dell’immaginazione. Quando la fragilità umana avrà pagato il tributo alla propria natura, lo spirito immortale si librerà, con un colpo d’ala, al di sopra di ogni cose finita e inizierà un’esistenza diversa, in cui, grazie alla maggiore vicinanza all’Essere supremo, occuperà una posizione nuova nei confronti di tutta la natura. Da quel momento lo spirito, che racchiude in sé la fonte della felicità, non cercherà più il proprio appagamento dissipandosi tra gli oggetti esteriori. Tutto l’insieme delle creature, che devono necessariamente trovarsi in armonia per il piacere dell’Essere originario, arriveranno a goderne anche loro e in essa si placheranno come in una beatitudine eterna.

 In realtà, quando si è nutrito il proprio animo con riflessioni di questo genere, basta uno sguardo al cielo stellato, in una notte chiara, per provare quel senso di rapimento di cui solo le anime nobili sono capaci. Nel silenzio universale della natura, nella quiete dei sensi, la segreta facoltà di conoscenza dello spirito immortale parla una lingua impronunciabile e suscita pensieri inespressi, che si sentono, ma non si lasciano dire. Se tra le creature pensanti del nostro pianeta vi sono degli esseri abbietti, che nonostante il grande fascino di un argomento così importante preferiscono rimanere attaccati alla schiavitù delle cose vane, allora la Terra, per aver generato creature così miserabili, ci appare all’improvviso come un luogo molto infelice. Ma, viceversa, come ci appare felice, quando vediamo aprirsi in essa la sola via degna d’essere percorsa, quella che conduce alla suprema felicità dell’anima, che nessun corpo celeste, anche quello dotato delle condizioni più eccellenti e vantaggiose, potrà mai offrire”. ([1] I. Kant, Storia universale e teoria del cielo, tr. Di S. Velotti, a cura di G. Scarpelli,Roma-Napoli, Ed. Teoria, 1987, pp.173-74).

Elementi per una riflessione sull’uomo e il suo de (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica) 

  G.W. F. Hegel

 

 L’idealismo tedesco considera l’uomo come io, un’attività di per sé creatrice di sé e del proprio mondo nella storia, che diviene l’unica realtà nella quale l’uomo esiste ed esiste in virtù dello Stato, che “è sostanza etica consapevole di sé, riunione del principio della famiglia e della società civile; la medesima unità che è nella famiglia come sentimento dell’amore, è essenza dello Stato; la quale però, mediante il secondo principio del volere che sa ed è attivo da sé, riceve insieme la forma di universalità saputa: ” (.W.F. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, tr. Di B. Croce, Roma-Bari, Ed. Laterza, 1984, p. 503). Non ci soffermiamo troppo su due corollari dell’idealismo tedesco, cioè L. Feuerbach e il suo: “L’uomo è ciò che mangia”, e la cosiddetta filosofia di K. Marx. Proprio il pensatore di Treviri sia nelle Tesi su Feuerbach, particolarmente l’undicesima, sia nell’ Introduzione a Per la critica dell’economia politica del 1859, rifiutò il pensiero filosofico, considerato allo stesso livello di qualsiasi altra sovrastruttura, anche se poi nacque una filosofia marxista, che ha una visione ed un’immagine dell’uomo e della società ben diversa dal cristianesimo (cfr. la dottrina sociale della Chiesa e Giovanni Paolo II, Sollecitudo rei socialis) . Questa visione del mondo, questa “filosofia disumana” come la definisce il papa Benedetto XVI nella sua enciclica Deus caritas est (cap. 31, b) concepisce l’uomo solo nell’orizzonte della materia, dei rapporti di produzione e dei rapporti sociali di produzione, negando qualsiasi dimensione spirituale.

 A questa visione dell’uomo si affianca anche quella del positivismo, meno incentrata sulle questioni materiali, ma affermando che è possibile parlare di uomo solo dal contesto delle scienze e in questa direzione l’ipotesi evoluzionistica sembrò dare la spiegazione definitiva. Da questa prospettiva nascono diverse prospettive antropologiche che hanno solo sfumature diverse, ma tutte tendono a considerare l’uomo solo come un essere –animale- della terra, d a studiarsi attraverso la psicologia, ecc. Basti pensare ai risultati dell’antropologia strutturale di Levi Strass, della psicoanalisi freudiana e della psicologia comportamentistica.

Elementi per una riflessione sull’uomo e il suo de (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica) 

  Giovanni Santinello

 

 Solo nel pensiero di alcuni filosofi si afferma un’immagine dell’uomo non ridotta al suo vivere sulla terra. Certamente A. Rosmini con la sua Antropologia, caratterizzata dalla centralità dell’Essere e della persona individua e S. Kierkegaard si affacciano visioni dell’uomo fondate e dirette alla dimensione del divino. Ma le vicende anche personali del Roveretano contribuirono a non dare molto seguito alla sua riflessione; maggior fortuna ebbe invece nel Novecento il Danese, ma dalla sua riflessione si sono generati immagini esistenzialistiche dell’uomo che trovano in M. Heidegger o J.P. Sartre il loro sviluppo. Come ben nota Santinello: ”La soluzione da lui [Heidegger] proposta non è nella direzione di un approfondimento del valore della razionalità nell’uomo, nella realtà personale come in quella comunitaria, quanto invece nella direzione opposta di un antiumanesimo irrazionalistico e nichilistico”. Il secondo finisce in un umanesimo votato al niente e si rifugia in un astratto utopismo. (G. Santinello, Immagini e idea dell’uomo, cit. p. 96. A Tale proposito cfr. proprio la Lettera sull’umanismo di Heidegger stesso).

 

 Tra tutti coloro che dopo Hegel hanno tentato di dare “immagini” dell’uomo, si elevano due filosofi, il primo misconosciuto e di cui parleremo alla fine, cioè Max Stirner, e il secondo F. Nietzsche con la sua affermazione che l’uomo non è che un ponte tra l’animale e l’Oltreuomo (dizione corrente Superuomo). È l’uomo che va superato, cioè la stessa definizione data e possibile. Non vi è più Dio quindi non vi è più l’uomo. Entrambi sono morti, perché entrambi sono “modello” da imitare, immagine irrisolte della autentica realtà dell’uomo.

Elementi per una riflessione sull’uomo e il suo de (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica) 

 Max Stirner

 

Proprio da questa ultima immagine possiamo partire per pensare l’uomo oggi, ovvero egli non esiste più, al suo posto il singolo, come ben avverte Max Stirner.

 Ogni singolo è assoluto a se stesso. Le condizioni, caratteristiche, ecc. d’ogni singolo non sono l’accidente di un’essenza, ma il tutto. Il singolo è la sua proprietà d’essere singolo e di mostrare un’assoluta identità con se stesso. Ciò è più evidente propria quanto entra in relazione con l’alterità sia essa la natura, quando la descrive o cerca sempre più di manipolarla sia un altro singolo, che non è più riconosciuto come identico nemmeno in quella che, un tempo, i filosofi chiamavano essenza o almeno concetto.

Io sono il proprietario della mia potenza; e tale divento appunto nel momento stesso in cui acquisto la coscienza di sentirmi Unico. Nell’Unico, il possessore ritorna nel Nulla creatore dal quale è uscito. Qualunque essere superiore a me, sia esso Dio o Uomo, deve inchinarsi davanti al sentimento della mia unicità, e impallidire al sole di questa mia coscienza. Se io ripongo la mia causa in me stesso, l’Unico, esso riposa sul suo creatore effimero e perituro che da se stesso si consuma; quindi potrò veramente dire: “Io ho riposto la mia causa nel nulla”. Non si tratta nemmeno più di relativismo, ma di puro e semplice nichilismo. Lo stesso ‘io’ non ha alcuna determinazione, né è possibile fornirla o in qualche modo precisarla. L’io è identico a se stesso: oltre questa affermazione non è possibile procedere, né vi è un qualche criterio che consenta la definizione o qualche sorta di ragionamento nel quale l’alterità, rispetto all’io, possa ricorrere per la comprensione. Ogni tentativo di stabilire un’identità al di sopra dell’io o relazioni nelle quali la stessa dimensione dell’io possa apparire in qualche modo sminuita o relativizzata è dichiarato nullo fin dal suo possibile esordio. Non si tratta nemmeno più di un’intersoggettività, perché se ogni soggetto – io – è assoluto, ne risulta che ognuno con la sua arbitrarietà, oscillazione delle propensioni sensibili causali o dirette, non fa capo che a se stesso e così non esiste più nemmeno la responsabilità che lega la possibile mia libertà a quella degli altri, perché il principio adottato è quello della autodeterminazione assoluta priva di responsabilità. Il consenso all’azione è esercitato sulla base di individuali vedute, prive spesso di confronto. Così la stessa prospettiva di un’etica, seppur come orientamento degli usi e costumi e di un’etica frutto delle circostanze e delle situazioni, è dichiarata impossibile. L’apertura ad un radicale ed assoluto nichilismo porta il pensiero stesso a rinchiudersi in se stesso, come un mero esercizio cerebrale, chiuso nel circuito dell’individuo che pensa a qualche cosa. Non è dato determinare quale possa essere l’oggetto. La distruzione di tutti i concetti, la fine della filosofia come ricerca del vero o anche più baconianamente del generale è morta. Tentare di far assumere al nichilismo veste filosofica è puro esercizio singolare, ovvero pensiero che pensa se stesso. Così l’identità del soggetto con se stesso, ovvero l’io è io in quanto io, è essa stessa negata, perché non si può né si dovrebbe dare possibilità di determinazione concettuale. La prospettiva, se proprio vogliamo indicarla, è quella di nuove formulazioni di pensieri e di concetti. Se la libertà è equivoca nelle sue definizioni, se non è possibile un’identità né una relazione, allora solo termini nuovi, con linguaggi nuovi, potranno costruire una comunicazione tra individui che la riconosceranno se la vorranno, ma sopra questo dominerà sempre e incontrastato il senso che è nulla.

 

Ecco il quadro attuale, e per questo che è difficile porre una questione antropologia, e ci si rifugia o nella negazione o nella constatazione che vi sono “immagini” pluralistiche e che l’unica strada è quella della politica, intesa come mediazione tra diversità, ma ben presto ci si accorge che questa non può mediare, ma deve finire solo con il riconoscere che lo Stato non può che accettare quante posizioni vi sono e che ogni singolo non richiede altro che sia accettato e giustificato quanto egli richiede, apparentemente anche quando si parla di comunità religiose (islamico, buddista, scintoista ecc.) o di identità gruppali (antiproibizionisti, omosessuali, ariani, pacifisti, neo- o veterocomunisti ecc.) ognuno dei quali agisce come se fosse un unico singolo.

 Se prima si poteva parlare di “immagini” che rimandavano ad una “idea” dell’uomo, quasi inconsapevole, in ognuno, come sosteneva anche lo stesso Kant nel celebre passo citato della Conclusione de Storia naturale e teoria del cielo.

 Ma oggi è proprio tutto da ripensare? Non bisogna forse far veramente nostre le parole di Giovanni Paolo II nella Veritatis splendor: ” Lo splendore della verità rifulge in tutte le opere del Creatore e, in modo particolare, nell'uomo creato a immagine e somiglianza di Dio (cfr. Gn 1,26): la verità illumina l'intelligenza e informa la libertà dell'uomo che in tal modo viene guidato a conoscere e ad amare il Signore. Per questo il salmista prega: "Risplenda su di noi, Signore, la luce del tuo volto" (Sal 4,7) e nella Fides et ratio:”più l'uomo conosce la realtà e il mondo e più conosce se stesso nella sua unicità, mentre gli diventa sempre più impellente la domanda sul senso delle cose e della sua stessa esistenza”. Secondo l’indicazione evangelica dell’amore che è l’autentica idea dell’uomo e della sua vita, come afferma Benedetto XVI nella sua enciclica Deus charitas est”. L’amore è possibile, e noi siamo in grado di praticarlo perché creati ad immagine di Dio. Vivere l’amore e in questo modo far entrare la luce di Dio nel mondo, ecco ciò a cui vorrei invitare”.

 

Elementi per una riflessione sull’uomo e il suo de (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Ci stiamo avviando a una nuova immagine dell’uomo, in essa solo l’orizzonte terreno, la indistinzione con gli altri esseri animali. In realtà la specificità dell’uomo, la sua intelligenza razionale e non mnemonica come quella degli animali, e soprattutto la sua anima è negata, in favore di una visione che ha nell’utile l’unico parametro di misura. È questa la vittoria del materialismo, mascheratosi dapprima come “storico”, ma penetrato nei cervelli come sola prospettiva di vita, che finisce quando non si è appunto più utili e ciò anche prima di nascere se questo viene ravvisato.

 

Per gentile concessione de Il Sileno edizioni-Vicenza

 

nr. 38 anno XIX del 1 novembre 2014

Come installare l'app
nel tuo smartphone
o tablet

Guarda il video per
Android    Apple® IOS®
- P.I. 01261960247
Engineered SITEngine by Telemar