Francesca Belgiojoso si muove agevolmente negli anni cinquanta del secolo precedente; li sbircia per ricavare, armata di forbici e riviste patinate, delle immagini per adattarle a dei collage concentrati su un pensiero di bellezza aderente alla sua sensibilità. Sceglie degli stereotipi di grazia femminile adatti all’atmosfera sospesa di certi ambienti quotidiani della classe media americana. Preleva da questi oggetti d’uso legati all’arredo, mobili di legno; introduce un’immagine maschile resa di spalle ed ingentilisce il messaggio della composizione con la presenza di un folto mazzo di fiori; sposta l’attenzione su degli orologi a segnare il legame con il tempo; ancora, amplia la scelta dall’interno verso l’esterno quando sposta lo sguardo dal compatto insieme d’immagini d’interni, che nelle scontornate forme di suppellettili dell’epoca, confermano l’ottimismo di quegli anni verso le forme urbane, rigide, chiare e svettanti di alcuni grattacieli.
Conferma il mutare dei costumi la figura femminile in tailleur maschile che, disinvolta, siede sui braccioli di una poltrona. Belgiojoso delimita e concentra le immagini nel messaggio di un unico insieme; quindi sente la necessità di sommuove la tranquillità delle immagini quando ne fora con precisione la superficie così da condurre alla visione dello sfondo chiaro del quadro: transita da qui la luce fra il collage a illuminare e dilatare il senso della totalità fra gli elementi visivi dell’opera. La piatta superficie della carta, lontana dall’arte della pittura, conduce al contesto esistenziale dell’uomo, al valore d’uso degli oggetti con i quali egli trova un rapporto nei “segni” consolatori della propria esistenza. Con la mostra di Francesca Belgiojoso nella sede di Mirror si un’augura un nuovo spazio in città dedicato all’arte.