NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
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Un esodo da standing ovation

Grande successo a Schio per lo spettacolo di Simone Cristicchi dedicato alla "fuga" del popolo giuliano-damata

di Elena De Dominicis
elenadedominicis@virgilio.it

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Magazzino 18

Anna Cappelli (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)@artiscenichecom

 

Grande successo ieri a Schio per lo spettacolo “Magazzino 18” del cantautore Simone Cristicchi, dedicato all’Esodo giuliano – dalmata. Una pièce in forma di monologo – musical, dove Cristicchi interpreta più personaggi tra cui un archivista che si reca a Trieste per inventariare gli oggetti degli esuli conservati al magazzino 18 alternandosi ad un coprotagonista che è lo spirito che racconta le storie di alcune persone realmente esistite e trucidate o morte di stenti. Uno spettacolo commovente con delle musiche bellissime che hanno vinto il Premio Maschera d’oro nel 2014 e che è stato tributato dal pubblico scledense con una standing ovation.

 

Una parte di una canzone che canti dice: “Come si fa a morire di malinconia per una terra che non è più mia”. Il sentimento del distacco, dell’appartenenza ambigua sia al qui che all’altrove tu l’hai descritto moto bene in questo spettacolo: le città che si svuotano. Roma è una capitale multietnica da sempre, un punto di arrivo; da romano come hai vissuto le storie di queste popoli di frontiera che comunque hanno subito moltissime influenze e divisioni proprio perché in un vero e proprio crocevia slavo, italiano e tedesco?

Magazzino 18 (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Simone Cristicchi: “Non ho mai fatto un confronto tra queste cose. Ci sono dei chiari richiami ai grandi esodi che stanno avvenendo oggi nel mondo e quello che mi interessava mettere in risalto era una storia che è nascosta dentro a un cassetto, uno scheletro nell’armadio, ma sicuramente utilizzare lo strumento della memoria per parlare di quello che accade alle persone, perché noi vediamo sempre la massa che arriva ma non vediamo mai il singolo. Questo è uno spettacolo che vuole rimettere a posto questa percezione un po’ falsata che ci viene fornita dai grandi media: parlare di esodo istriano, fiumano e dalmata, raccontare che cosa vuol dire la persecuzione etnica, religiosa e ideologica. C’è un’immagine dello spettacolo, la Strage di Vergarolla, un attentato che venne fatto a Pola nel 46, vennero fatte esplodere delle mine e improvvisamente il mare si tinse di rosso. Il mare insanguinato è la stessa immagine che poi ci hanno fatto vedere questi dell’Isis quando hanno sgozzato i cristiani copti in Egitto. Ci sono dei rimandi a volte anche incredibili tra quelli che racconto io e quello che sta avvenendo oggi. È una storia talmente vasta che io l’ho definita una matrioska proprio perché dentro ogni storia ne trovi un’altra e un’altra ancora e sembra che non finisca mai”.

Nel tuo spettacolo precedente ti eri misurato con i versi e la ritmica della poesia. Qui invece hai dovuto scrivere della musica per il testo teatrale. In pratica hai dovuto creare dei ritmi e dei suoni che descrivessero e integrassero parola e racconto. Qual è stato il primo obiettivo che ti sei posto nella composizione?

“Le musiche sono state composte con Valter Sivilotti, un grande arrangiatore di orchestre sinfoniche, lui mi propose di musicare un breve monologo che avevo scritto prima dello spettacolo su Magazzino 18. Questo esperimento mi è piaciuto talmente tanto che ho convinto lo Stabile del Friuli Venezia Giulia a investire su questo impianto sonoro orchestrale e sinfonico che secondo me era la musica più adatta a questo tipo di racconto perché lo rendono quasi un kolossal, uno spettacolo epico. Inizialmente le canzoni non dovevano esserci, volevo fare un monologo perché dicevo che è una storia talmente poco conosciuta che secondo me basta raccontarla che il pubblico riesci a catturarlo comunque, invece il regista Antonio Calenda mi ha imposto di scrivere e cantare e devo dire che ha visto giusto; la grande esperienza ha trasformato questo spettacolo in un “musical civile”, così lo abbiamo definito, un misto tra teatro canzone e teatro di narrazione”.

Magazzino 18 (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Come in Li romani in Russia il pubblico è molto coinvolto nel racconto. Cos’è che permette una tale immedesimazione sia in questo spettacolo che nel precedente? Il fatto che sono memorie vicine oppure il modo in cui lo racconti o i dettagli? Tu scegli parole semplici ma molto efficaci.

“Io non ti so spiegare la magia che crea questo spettacolo, ancora oggi non riesco a crederci, anzi, io non pensavo potesse avere tutto questo successo: abbiamo avuto circa 70.000 spettatori, oggi è la 127a replica, ne mancano ancora una cinquantina, insomma un trionfo ovunque siamo andati. Probabilmente è uno spettacolo che ha un grande ritmo: ci sono canzoni, filmati, foto d’epoca, queste musiche, i vari personaggi che io interpreto cambiando abito e impostazione vocale, canto anche un brano in dialetto. La forma dello spettacolo è accattivante, prende il pubblico e lo trascina in questo magazzino, poi mettici anche il fatto che questa è una storia che poco si conosce quindi credo che il pubblico sia anche spinto a venire a vederlo anche per colmare questo vuoto di conoscenza della storia del confine orientale”.

Ci può essere una somiglianza con storie in cui l’accumulo di cose fa riferimento a delle persone, anche qua un accumulo di identità.

“Si, io l’ho definito “il cimitero degli oggetti”, la canzone che cantavo prima. Io sono sempre partito degli oggetti per i miei spettacoli, il mio primo spettacolo a teatro fu “Lettere dal manicomio”, quando sono entrato dentro al magazzino ho trovato la stessa atmosfera che si respira nel manicomio di Roma. Anche lì c’è una grande sala, si chiama la Fagotteria, dove sono custoditi gli effetti personali dei matti che entravano, venivano spogliati di tutto e quindi troviamo cataste di occhiali, scarpe, cappotti: lo stesso assembramento, le stesse cataste di vite dimenticate. Queste masserizie degli esuli hanno una particolarità, perché l’Esodo fu un enorme trasloco e in quanto tale c’erano delle ditte apposite che si occupavano di portare questi mobili e trasportarli a Trieste; ogni sedia, ogni mobile ha il marchio di questa ditta, ACOMIN, Agenzia Commerciale Marittima Internazionale. Io parto da una di quelle sedie per cominciare a raccontare”.

Magazzino 18 (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica)



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