NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
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Il grillo parlante XVIII. Un nuovo orizzonte

I parte

di Italo Francesco Baldo

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Il grillo parlante XVIII. Un nuovo orizzonte

Introduzione

Ancora oggi quando si ricorda la Liberté, s’incorre nella sua errata valutazione: infatti la Liberté non va intesa come nelle precedenti elaborazione: la realtà stessa dell’uomo, il dono di Dio e di conseguenza una realtà ontologica, che lo costituisce di fronte a se stesso e al mondo con la sua coscienza di cui egli solo è il vero arbitro: è il libero arbitrio. La Rivoluzione Francese e quanto ne scaturì ha certo come emblema la Liberté, ma questa è affatto diversa dal libero arbitrio; essa è la libertà politica che ha la sua piena attuazione in quello che lo Stato afferma essere la condizione libera del cittadino. Non c’è l’uomo, ma il cittadino ed egli può agire solo all’interno di quanto lo Stato stabilisce. Solo nel caso in cui lo Stato non determinasse le condizioni dell’agire, mediante Leggi, Regolamenti ecc. egli potrebbe operare secondo il suo volere. Si tratta della libertà statuale, che, per quanto ampia, finisce sempre con l’essere limitata a quanto è prestabilito.

Fin dalla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1791 la libertà è considerata, art.2, solo un diritto, preceduto da quello dell’uguaglianza e seguito da quelli della sicurezza e della proprietà. La stessa Dichiarazione in articoli successivi (artt. 6-9) ben afferma che cosa si debba intendere per libertà come potere (diritto). Infatti, questa concezione non è propria dell’uomo in quanto tale, indipendentemente da dove egli abiti ed agisca, ma è: “Il popolo francese, convinto che l'oblio e il disprezzo dei diritti naturali dell'uomo sono le sole cause delle sventure del mondo, ha deciso di esporre in una dichiarazione solenne questi diritti sacri e inalienabili, affinché tutti i cittadini potendo paragonare incessantemente gli atti del Governo con il fine di ogni istituzione sociale, non si lascino opprimere ed avvilire dalla tirannia, affinché il popolo abbia sempre davanti agli occhi le basi della sua libertà e della sua felicità, il magistrato la regola dei suoi doveri; il legislatore l'oggetto della sua missione. Di conseguenza, esso proclama, al cospetto dell'Essere Supremo, la seguente dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino”.

Ne consegue che, ad esempio il “diritto di manifestare il proprio pensiero e le proprie opinioni sia con la stampa sia in tutt’altra maniera” è un diritto statuale come quella di “riunirsi pacificamente in assemblee”. Ben preciso sono i limiti della cosiddetta sovranità popolare, che non può esistere “se i limiti delle funzioni pubbliche non sono chiaramente determinati dalla Legge, e se la responsabilità di tutti i funzionari non è assicurata” (Art.24). Così il pensiero che sorregge la visione politica della rivoluzione diviene operante. Esiste il cittadino e la Legge; lo Stato è l’unico riferimento giuridico, datore di diritti e il suo fine non è “morale”, semplicemente quello di far sì che quanto stabilito dalle leggi sia realizzabile, tanto che non esiste la possibilità che un individuo possa operare al di fuori, come precisa l’art. 27: “Ogni individuo che usurpa la sovranità, sia all'istante messo a morte dagli uomini liberi”, ossia dagli altri cittadini e ciò rispettando anche Cesare Beccarla nel suo Dei delitti e delle pene, (§ XXVIII) che considerar possibile la pena di morte quando la sicurezza dello Stato fosse possibile ad essere compromessa”. La morte di un cittadino non può credersi necessaria, che per due motivi. Il primo, quando anche privo di libertà egli abbia ancora tali relazioni e tal potenza, che interessi la sicurezza della nazione; quando la sua esistenza possa produrre una rivoluzione pericolosa nella forma di governo stabilita. La morte di un cittadino divien dunque necessaria quando la nazione ricupera o perde la sua libertà, o nel tempo dell'anarchia, quando i disordini stessi tengon luogo di leggi".

Questa concezione d che inizia ad Affermarsi proprio con la Dichiarazione del 1791 è alla base di tutte le visioni, che considerano lo Stato come fondamento della vita degli esse umani, che sono considerabili solo in quanto cittadini. Ai cittadini appartiene la sovranità, ma questa è esercitatile solo attraverso le leggi, come è determinato dalla Costituzione della Repubblica Italiana del 1948: “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione"., ovvero solo attraverso le leggi e non un autentico “libero arbitrio”.

Il grillo parlante XVIII. Un nuovo orizzonte (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Solo lo Stato quindi determina quasi siano i diritti umani, che, a differenza delle elaborazioni del liberalismo inglese, non sono “di natura”, ma “convenzionali, in altre parole dettate dalle condizioni delle circostanze storiche che lo determinano. Lo Stato non risponde al bene dell’uomo, ma a quanto esso stesso, attraverso i suoi corpi legislativi, ritiene essere “conveniente” per i cittadini, prescindendo da qualsiasi condizione morale, anche quando, con Hegel, sembra essere determinato uno “Stato etico”, secondo una circolarità nella quale l’etica fonda lo Stato, come lo Stato l’etica: “ Lo stato è la realtà dell’idea etica, - lo spirito etico, inteso come volontà sostanziale, manifesta, evidente a se stessa che pensa e sa sé e porta a compimento ciò che sa e in quanto sa. Nel costume lo stato ha la sua esistenza immediata, e nell’autoscienza dell’individuo, nel sapere e nell’attività del medesimo, la sua esistenza mediata, così come l’autocoscienza attraverso la disposizione d’animo ha nello stato, come in sua essenza, in fine e prodotto della sua attività, la sua libertà sostanziale. (G.F.G. Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, a cura di G. Martini, Roma-Bari, Laterza, 1987, p.195)

La radice dello Stato totalitario è proprio nella rivoluzione francese che considera solo ed unicamente l’uomo come essere politico, meglio, come cittadino e come tale lo appaga con le leggi e il cittadino si sente appagato dalle stesse. La Costituzione di uno Stato è in sé il riassunto della nazionale, anzi la esprime in tutte le sue possibili determinazioni e al di fuori non può che la negazione, ovvero il nemico, come ben fece la Francia rivoluzionaria con Robespierre, che individuava il nemico in coloro che non si riconoscevano nel nuovo Stato e successivamente quando il nemico fu individuato negli stati monarchici europei continentali e nell’Inghilterra che rappresentava l’autentico modello alternativo. Non a caso molti di coloro che temettero il Terrore, come Tayllerand, si rifugiarono negli Stati Uniti.

Lo Stato totalitario è lo Stato che eleva se stesso a realtà assoluta, a condizione dell’esistere dei cittadini, è il luogo nel quale unicamente si può vivere. Certo noi sosteniamo che il totalitarismo, con Hanna Arendt sia un tipico “prodotto” del XX secolo, ma i suoi “urli” non più antichi, quelli delle vittime del Terrore. Le successive Costituzioni, pur contemplando anche Doveri, oltre a Diritti non si discostano dall’impianto originario, ossia che esiste lo Stato e gli uomini sono solo “cittadini”. È questo il filo costituzionale francese che si espande in tutta Europa e in Italia avrà molti seguaci, fino alla Costituzione repubblicana attuale. Infatti, non bisogna ritenere che lo Stato totalitaria sia solo quello che si presenta “in armi”, ma il vero stato totalitario è quello che riduce l’uomo a solo “animale politico” sia esso inteso come citoyen o come nella Costituzione URSS “Operaio o contadino”. In ambedue i casi l’uomo è ridotto ad un aspetto che nel caso sovietico è addirittura quello della funzione lavorativa che diviene totale. Questa la radice del fenomeno totalitario e non a caso i suoi morti non sono nemmeno numerabili.

Da questa visione non siamo ancora usciti nelle prospettive dell’Europa, perché seppur si riconoscano dei “diritti naturali” solo la loro determinazione d nelle leggi consente il loro esercizio, ma questo è sempre e comunque subordinato allo Stato e alle sue necessità.

Così posso con Liberté negare perfino dignità alle fedi religiose e irriderle in tutti i modi concepibili dicendo che questo è segno di libertà di pensiero ma non posso irridere alla Republique. Forse proprio recenti episodi ci dovrebbero aiutare a comprendere che i delitti della Liberté non sono cessati e con qualche lungimiranza temiamo che non siano finiti. Infatti la Liberté si ammanta di belle forme e di risate sonore, ballando sulla sua stessa tomba, dimenticando perfino la Costituzione della Repubblica Francese del 5 fruttidoro Anno III (22 agosto 1795) art. 2. “ La libertà consiste nel poter fare ciò che non nuoce ai diritti degli altri". Certamente è un diritto quello di veder rispettate le proprie convinzioni religiose!

Ci sono alternative e sono quelle che il pensiero europeo aveva elaborato fino a quando la libertà era considerata ed è considerata un bene dell’uomo e non un semplice diritto politico. Ci riferiamo alle elaborazioni nell’ambito cristiano intorno al libero arbitrio, capace di fondare attraverso la coscienza e la ragione delle persone quei vincoli sociali dove il diritto sia costituito a misura dell’uomo e non nella sua riduzione a solo “cittadino” e in ciò riferendosi ad Ermogeniano, un giurista romano del sec. 3º d. C., autore del Iuris epitomae. A questo autore è attributo l’aforisma Hominum causa omne ius constitutum est. Il diritto è stato costituito a causa degli uomini, nel senso che gli uomini originano il diritto e ne sono la causa finale, a loro competere la responsabilità delle leggi, seguendo la visione classica che è la morale, la ricerca del Bene, che dipende dalla Verità a indirizzare gli uomini alla ricerca di un bene comune, ossia una organizzazione anche di tipo statale, ma non necessariamente e di regole, leggi, per bene vivere insieme secondo giustizia nei rapporti personali (diritto penale) e nei rapporti pubblici e privati, compresi quelli economici. Così qualsiasi forma di vita comune, destinata al bene si regola sulla giustizia ossia sulla virtù che permette la vita associata ed è assicurata dalla retta ragione che non prevarica mai la libertà dell’uomo come sua naturale condizione, ma la pone in relazione al bene di tutti. Ciò è possibile perché l’uomo, in quanto tale e non perché cittadino, sa pensare la sua stessa condizione in relazione a quella degli altri esseri umani, dato che vi è, come afferma San Tommaso d’Aquino una tendenza innata nell’anima umana a dirigersi verso il riconoscimento del bene e a rifiutare il male (Summa Theologica I, I q. 94, art. 1), è la sinderesi.

Se questa è la strada “classica” che sa comprendere la coniugazione tra Verum, Bonum et Justum, non manca però un’altra possibile strada, quella che proprio nel Settecento intraprese Immanuel Kant, che vide con interesse la Rivoluzione Francese all’inizio, come tanti, che la cedettero solo una richiesta di riforme e nuove leggi per ben ordinare la Francia e non solo, ma dovettero ben presto comprendere che quella, Liberté altro non era che una visione parziale della libertà che finisce in contraddizione proprio con la LIBERTA’, riconducendosi solo a se stessa che si autopone come Stato nelle leggi di quello Stato.

I. Kant ci conduce ad una via dove la libertà è una condizione che l’uomo non può non pensare di se stesso. Il cammino è lungo.

 
Immanuel Kant il filosofo della libertà

“Nel collegamento, dunque, in un'unica conoscenza della ragion pura speculativa con la ragion pura pratica,

quest'ultima detiene il “primato”; a patto che tale collegamento non sia “casuale” e arbitrario,

bensì fondato a priori sulla ragione stessa, e, perciò, “necessario”.

 I. Kant, Critica della ragion pratica)

 

Il grillo parlante XVIII. Un nuovo orizzonte (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Immanuel Kant (1724- 1804) nasce a Koenigsberg (Prussia Orientale) oggi Kaliningrad capoluogo di un’enclave della Repubblica Russa, che quando fu URSS bombardò durante il secondo conflitto mondiale totalmente la città e allontanando dopo il 1945 tutta la popolazione tedesca. Nasce in una famiglia di artigiani e la madre è seguace del Pietismo, una corrente di stretta pratica morale nell’ambito del luteranesimo. I suoi studi sono presso l’Università della sua città, dalla quale si allontanerà solo in rare occasioni, ma ciò non gli impedì di avere adeguata conoscenza del mondo sia dal punto di vista geografico che antropologico, dissertò sul carattere degli Italiani (cfr. La Domenica di Vicenza nr. 13 anno XVI del 9 aprile 2011). La sua opera Geografia fisica è per vastità, 6 volumi, la maggiore delle sue e fu anche la prima tradotta in italiano (Milano, Silvestri, 1807-1811).

Frequentò la Facoltà di filosofia dove prevaleva la prospettiva di Ch. Wolff, il grande erede della filosofia di G. Leibnitz, l’Aristotele tedesco. Una robusta elaborazione, che si distende per ben 37 volumi divisi in più tomi, era la base principale degli studi filosofici in Prussia e nel Brandeburgo, in particolare a Berlino, dove fioriva un’eccellente Accademia.

L’indirizzo filosofico nelle Università e nell’insegnamento della Filosofia anche nei Licei e nelle Realschulen risentiva della speculazione leibnitziana, che, con la riforma della logica e dell’approccio alla metafisica, riteneva che la matematica costituisse il riferimento principale.

Dopo la laurea e qualche esperienza come istitutore in case private I. Kant si dedicò alla ricerca filosofica, che per convenzione, più didattica, che teoretica, si suole suddividere in due periodi. Il primo detto “ precritico”, mentre il secondo “critico”. La ragione deriva dalla pubblicazione, dopo ben 10 anni di lavoro, dell’opera più nota del filosofo, la Critica della ragion pura cui fanno corona altre opere come la Critica della ragion pratica e la Critica del giudizio. In effetti, va precisato che i problemi affrontati nel cosiddetto periodo “precritico” sono gli stessi di quello “critico”, solo che nel secondo periodo Kant arriva a indicare la sua soluzione di quei problemi.

I temi principali che Kant affronterà sempre fino all’opera rimasta incompiuta e nota con il titolo di Opus postumum, sono quelli della metafisica, della metafisica speciale (ossia anima, mondo e Dio), quello estetico, della morale con i conseguenti aspetti relativi alla politica, al diritto e all’economia e quello della religione considerata dalla ragione e non nell’angolo visuale della fede, che è ben viva e presente in Kant, come attestano le annotazioni alla sua Bibbia (cfr. Kant e le note personali alla sua Bibbia, "Studia Patavina" 27 (1980), pp. 141-155). Accanto a questi aspetti della ricerca razionale, va ricordato l’interesse, sopra accennato, alla Geografia Fisica, all’Antropologia. Kant non fu solo un ricercatore, ma partecipò anche attivamente al dibattito intorno a varie questioni che si posero al suo tempo; celebre è la sua risposta alla domanda Che cosa è l’illuminismo?, che costituisce a tutt’oggi la più nota e precisa definizione.

La vita di Kant si suole far riassumere nella sua ricerca, che è pure circondata dal classico aneddoto sulla puntualità della sua passeggiata pomeridiana, durante la quale non parlava a nessuno, ma va ricordato che al filosofo piaceva la compagnia a tavola d’amici e conoscenti e offrire il vino, bevanda preziosa in quel di Koenigsberg. Una tavola importante, gli ospiti non meno di tre e non più di nove, conversavano sui principali problemi, ma non solo certamente. Kant fu alieno ad essere un philosoph, un intellettuale, diremo oggi, anzi aborriva che i filosofi si occupassero di politica, come i politici di filosofia (cfr. Progetto per la pace perpetua). Infatti per il pensatore, i filosofi non debbono essere sospettati di fare propaganda, il che non vuol dire non dibattere di politica ma di non essere servi del potere. Una lezione di grande attualità.

Il grillo parlante XVIII. Un nuovo orizzonte (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Non partecipò mai alla vita politica né sostenne partiti o personaggi, fu un suddito leale del re di Prussia, anche quando costui, Federico Guglielmo II, vietò la ristampa della sua importante, ma spesso dimenticata opera, La religione entro i limiti della sola ragione. Si ricorda che subito dopo la morte del re, Kant provvide a pubblicare una ristampa.

L’itinerario filosofico kantiano è, ricordano tutti gli studenti, molto complesso, ma lineare se lo si segue con pazienza, come lo stesso filosofo dirà al termine della Critica della ragion pura. Rimandiamo per un inquadramento generale L’uomo di fronte alla via critica in AA.VV., Modelli di ragionamento nella filosofia moderna, a cura di C. Natali e F. Ferrari, Roma, Aracne, 1999, pp.373-441 o a G. Reale-D. Antiseri, Il pensiero occidentale dalle origini ad oggi, Brescia, La scuola, vol II, pp. 645-699. Da precisare che studiosi italiani, come Giovanni Santinello (1922- 2003) dell’Università di Padova, hanno contribuito a fornire del pensatore tedesco una visione meno legata alle interpretazioni idealistiche, B. Croce, G. Gentile, e attenta alle vicende filosofiche tedesche del settecento. Questa precisazione aiuterà a comprendere come la cosiddetta negazione della metafisica da parte di Kant che tanto è diffusa nelle aule scolastiche e non solo, non è la negazione degli oggetti della metafisica speciale (Anima, Mondo e Dio) quando del modo con cui la filosofia leibnitziano-wolffiano intendeva potessero essere conosciuti.

Per Kant la filosofia ha “ due oggetti, la natura e la libertà, e abbraccia, quindi, tanto la legge naturale quanto anche la legge morale, da prima in due separati, ma da ultimo in un unico sistema filosofico. La filosofia della natura si rivolge a tutto ciò che è; quella dei costumi, soltanto a ciò che deve essere” (I. Kant, Critica della ragion pura, tr. it. G. Gentile, G. Lombardo-Radice, rev. V. Mathieu, Bari, Laterza, 1965, p.647). L’indagine fin dai primi scritti riguarderà in Kant sempre questi ambiti, cui aggiungerà il problema della religione entro i limiti della ragione e la risposta, mai data, alla domanda: Che cosa è l’uomo?

 Fin dal periodo precritico Kant, in relazione alle conclusione della filosofia wolffiana, che si serviva nell’ambito di tutte le conoscenze della matematica, di precisa: “ La smania del metodo, l’imitazione del matematico che si avanza sicuro su ben costruita strada, ha, sullo sdrucciolevole terreno della metafisica, causato una moltitudine di passi falsi che, per quanto presenti continuamente ai nostri occhi, pure lascian poco a sperare che si apprenda da essi a star sull’avviso e ad essere più accorti". (I. Kant, L’unico argomento possibile per la dimostrazione dell’esistenza di Dio, in ID, Scritti precritici. Roma. Bari, Laterza, 1982, p.112).

Quale allora, si chiederà Kant, la via per una conoscenza certa del mondo? Dopo 10 anni d’intenso lavoro il filosofo traccia la via, è sarà quella critica, capace di rispondere alla domanda fondamentale. Che cosa posso sapere? Posso conoscere, attraverso la struttura dell’intelletto, i fenomeni naturali e ciò non empiricamente, mediante la semplice osservazione, ma nella determinazione del giudizio sintetico a priori, che non è, come ahimè si spiega, la sintesi, nemmeno hegeliana, di quello razionalista (analitico a priori) e quello empirista (sintetico a posteriori), ma l’utilizzo da parte dell’Io penso delle forme a priori (categorie) in una schema che, secondo principi a priori, formula la condizione universale con la quale ciò che si presenta (fenomeno) nello spazio e nel tempo può essere conosciuto. È la possibilità della matematica e della fisica. La prima, nell’esempio kantiano giunge alla formulazione di 7+5=12; la seconda a Il grillo parlante XVIII. Un nuovo orizzonte (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)

Questi sono giudizi sintetici, esistono poi quelli empirici, dettati dalla osservazione mediante i sensi, ma non hanno la caratteristica della universalità e delle necessità. È la differenza che aveva già introdotto Aristotele tra la scienza, che fornisce conoscenze universali e necessarie e le scienze, che descrivono i fenomeni nel mondo sensibile.

Quando l’intelletto applica lo stesso procedimento ad enti pensati, ma non esistenti nella realtà empirica, ossia non cadono sotto i sensi nella dimensione dello spazio e del tempo, ossia agli enti reali della ragione, che nell’ambito metafisico sono tre (anima, mondo e Dio), allora l’intelletto cade in contraddizione e il tentativo di applicare il procedimento conoscitivo non è legittimo. È come se si applicasse la legge del moto uniformemente accelerato per comprendere la nozione pensata di creazione. Esiste una differenza tra il pensare un oggetto e conoscere un oggetto. Per Kant la via della conoscenza non nega mai la possibilità di un oggetto pensato, ma la difficoltà consiste nel trovare quale sia la strada per conoscerlo senza “pasticciare” per così dire con la matematica.

È una lezione che molti dovrebbero tener presenti, ossia non scambiare gli ambiti conoscitivi senza darne effettiva ragione. Così dimostrare l’esistenza di Dio non è dimostrare che esiste l’evoluzione: ad oggetti diversi, insegna la ragione, si debbono applicare vie diverse di conoscenza e magari riconoscere che gli strumenti che si possiedono non sono atti a conoscere tutto. La presunzione scientifica di certe correnti di pensiero è proprio qui. Seguono la via che Kant contestò, quella wolffiana della matematica, ma ciò vale anche per coloro che ritengono che solo la biologia o le scienze empiriche, sappiano spiegare il mondo, ovvero tutto quello che l’uomo è capace di pensare.

Las via critica è aperta, ma essa esige dall’uomo correttezza d’impostazione, di utilizzo dei mezzi e anche la rinuncia, meglio la presunzione, di poter conoscere sempre e comunque tutto. La famosa negazione della metafisica, ossia la risposta a: Se e come è possibile una metafisica come scienza, trova Kant fin dalla giovinezza per accorto. Il filosofo sostiene: “la metafisica non è altro che una filosofia sui principi primi della nostra conoscenza “ (I.Kant, Indagine sulla distinzione dei principi della teologia naturale e della morale, ivi, p. 227). La metafisica come conoscenza degli enti in sé, non può essere compiuta con la prospettiva indicata da Leibnitz e Wolff, sosterrà Kant. Ci potrà essere un’altra via oppure quella che Kant stesso indica. Nell’Appendice alla Dialettica trascendentale de la Critica della ragion pura, il filosofo sostiene che essa è quella dell’analogia, ossia si può pensare anima, mondo e Dio con le modalità dell’intelletto, ma sempre con l’avvertenza che non si analizzano fenomeni che appaiono nello spazio e nel tempo, ma sono enti di ragione (noumeni) che non si possono “eliminare” dalla problematica della ragione stessa. Non sono phantasmi o illusioni, queste derivano dalla dimensione empirica, come il fenomeno della fata Morgana, o sono produzioni che assemblano elementi empirici attraverso la fantasia, come per la Medusa o per Biancaneve. Gli enti di ragione, realtà intelligibili sono IDEE ovvero pensieri che servono per l’unità del tutto nell’uomo (idea di anima), nel mondo (idea di cosmo), del tutto in quanto tale (idea di Dio).

La metafisica dunque se scienza di enti, conosciuti per via matematica, erra, ma se la metafisica è scienza dei principi primi allora essa è valida,come attesta proprio un’opera di Kant stesso: Primi principi metafisici della scienza della natura (Abano T.(PD), Piovan, 1988), che costituisce il modello per qualsiasi scienza che voglia costituirsi come tale. Questa tesi sostenuta dall’epistemologo francese Jean Petitot (Rationalisme scientifique, connaissance et humanisme, Paris,Marseille: Centre d'analyse et de mathematique sociales, 1990) ha trovato, a cura dello scrivente, esemplificazione per quanto riguarda la scienza dell’educazione nel volume Essere volontari, Vicenza, As. Genitori de “La Nostra Famiglia”, 2012.

L’impossibile conoscenza, come quella dei fenomeni, delle Idee della ragione non ne nega l’esistenza, anzi ne rafforza la grandezza semmai, perché “ La metafisica – come riflessione su anima,mondo e Dio e scienza dei principi primi – è il complemento di ogni cultura della ragione umana; complemento indispensabile, ancorché si metta da parte il suo influsso come scienza su certi fini determinati” quelli della possibilità della conoscenza degli enti di natura. “Essa, infatti, considera la ragione nei suoi elementi e nelle sue massime supreme, che devono essere, a loro volta, a fondamento della possibilità di alcune scienze e dell’uso di tute. Che essa come semplice speculazione, serva più a impedire gli errori, che ad estendere la conoscenza, ciò non pregiudica il suo valore, ma le conferisce piuttosto dignità e autorità per l’ufficio di censore che assicura l’ordine pubblico, l’accordo e perfino il benessere della repubblica scientifica, a’cui lavori animosi e fecondi impedisce di deviare dal fine principale, della felicità universale.(Critica della ragion pura, op. cit. p.654)

Così le tre idee assolvono ad una funzione fondamentale, che è la possibile felicità che non si raggiunge mediante la conoscenza scientifica, importantissima, ma non risolutiva dell’esigenza dell’uomo nella suo prospettiva speculativa.

Non a caso è proprio quanto Kant espone, nel periodo precritico la sua teoria del Big-Bang, detta di Kant Laplace. Nell’opera Storia universale della natura e teoria del cielo il filosofo distingue ciò che le uomo può conoscere nel mondo empirico e ciò che invece egli pensa, anzi si diletta di pensare. Tanto che un uomo incapace di pensare oltre la dimensione corporea è un “essere abbietto”, perché l’uomo ha a che fare, sempre, con la quarta idea, quella della libertà sulla quale lungamente il pensatore soffermerà la sua riflessione e che costituisce la realtà primaria dell’uomo.

Ripercorre ancora una volta le parole che Kant nel 1755 scrisse nella Conclusione allo scritto citato sopra, ci aiuta ad entrare in quell’atmosfera nella quale un uomo deve sempre essere, perché non è solo natura né riducibile alla sola corporeità. Poco importa se non vediamo tra le stelle Dio, come pretendeva una celebre ed importante astronoma, che usciva dalla sua scienza per fingersi teologa, ciò che necessita all’uomo è di vedere con gli occhi della mente e riflettere sul suo destino.

I. Kant, Storia universale della natura e teoria del cielo, tr. it. di S. Velotti, a cura di G. Scarpelli, Roma. Napoli, 1987, pp.173.174: Conclusione: Il destino dell’uomo nella vita futura

Il grillo parlante XVIII. Un nuovo orizzonte (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Che cosa sia veramente l’uomo noi in realtà non lo sappiamo, benché i sensi e la coscienza avrebbero dovuto insegnarcelo; tanto meno potremo quindi indovinare quel che l’uomo sarà un giorno. Tuttavia, l’avidità di sapere dell’anima umana, spinta da una grande curiosità per questo argomento, aspira ardentemente a fare un po’ di luce nell’oscurità di simili conoscenze.

 L’anima immortale, per tutta l’infinità della sua vita futura, che nemmeno la tomba può interrompere ma solo mutare, è forse destinata a rimaner legata per sempre a questo semplice punto dell’universo che è la Terra? Non le sarà dunque mai concesso di vedere le altre meraviglie del creato? Chi sa se non è invece destinata di vedere a conoscere da vicino, un giorno, quelle lontane sfere dell’universo e l’eccellenza del loro ordinamento, che già da queste infinite distanze suscitano la sua curiosità? Forse si stanno già formando nuove sfere del sistema planetario, destinate ad accoglierci in altri cieli quando il tempo assegnatoci per il nostro soggiorno sulla Terra sarà scaduto. Chi sa, forse un giorno godremo della luce dei satelliti di Giove.

 È lecito, anzi è conveniente dilettarsi con simili pensieri; ma nessuno fonderà la propria speranza in una vita futura nei frutti così incerti dell’immaginazione. Quando la fragilità umana avrà pagato il tributo alla propria natura, lo spirito immortale si librerà, con un colpo d’ala, al di sopra di ogni cosa finita e inizierà un’esistenza diversa, in cui, grazie alla maggiore vicinanza all’essere supremo, occuperà una posizione nuova nei confronti di tutta la natura. Da quel momento lo spirito, che racchiude in sé la fonte della felicità, non cercherà più il proprio appagamento dissipandosi tra gli oggetti esteriori. Tutto l’insieme delle creature, che devono necessariamente trovarsi in armonia per il piacere dell’essere originario, arriveranno a goderne anche loro e in essa si placheranno come in una beatitudine eterna.

 In realtà, quando si è nutrito il proprio animo con riflessioni di questo genere, basta uno sguardo al cielo sellato, in una notte chiara, per provare quel senso di rapimento di cui solo le anime nobili sono capaci. Nel silenzio universale della natura, nella quiete dei sensi, la segreta facoltà di conoscenza dello spirito immortale parla una lingua impronunciabile e suscita pensieri inespressi, che si sentono, ma non si lasciano dire. Se tra le creatura pensanti del nostro pianeta vi sono degli esseri abietti, che nonostante il grande fascino di un argomento così importante preferiscono rimanere attaccati alla schiavitù delle cose vane, allora la Terra, per aver generato creature così miserabili, ci appare all’improvviso come un luogo molto infelice. Ma, viceversa, come ci appare felice, quando vediamo aprirsi in essa la sola via degna d’essere percorsa, quella che conduce alla suprema felicità dell'anima, che nessun corpo celeste, anche quello dotato delle condizioni più eccellenti e vantaggiose, potrà mai offrire".

 Il grillo parlante XVIII. Un nuovo orizzonte (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)

Continua

 

nr. 15 anno XX del 18 aprile 2015

 

 



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