NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
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Una fattoria sociale tutta… d’oro

Il bio progetto che fa riferimento alla Conca D’Oro di Pove si finanzia attraverso le risorse che derivano dai prodotti della terra e dalla generosità dei bassanesi

di Gianni Celi

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Una fattoria sociale tutta… d’oro

Tutti avranno seguito, le settimane scorse, la vicenda di Ca’ della Robinia, di Nervesa della Battaglia, quella, cioè, che sarebbe dovuta diventare in una fattoria sociale e che invece è stata trasformata in una birreria con i soldi avuti in prestito dalla Regione Veneto. Ebbene, proprio qui in città, esiste una realtà diametralmente opposta che, però, a differenza di Ca’ della Robinia, vive solo ed esclusivamente delle risorse che derivano dai prodotti della terra e dalla generosità dei bassanesi. Stiamo parlando della Fattoria sociale Conca d’oro, ch sorge a nord della città, giusto ai confini con il Comune di Pove del Grappa.

Merita una riflessione capire come e perché è sorta questa “Fattoria”, come funzioni, quante persone lavorino al suo interno e, principalmente, quanti siano i soggetti disabili per i quali questa struttura è sorta.

Ne parliamo con il presidente, dott. Fabio Comunello, già assessore al sociale con la Giunta comunale guidata dal sindaco Lucio Gambaretto, psicologo e psicoterapeuta, psicomotricista e insegnante di educazione fisica, docente incaricato per l’insegnamento di Osservazione del comportamento infantile, presso la Libera Università di Bolzano, e per l’insegnamento di Psicomotricità di gruppo, nel corso di laurea in Terapia della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva presso l’Università di Padova. Con Eraldo Berti ha compiuto ricerche sulla terapia psicomotoria e sull’osservazione e l’analisi della comunicazione non verbale.

Comunello è il fondatore della bioFattoria sociale Conca d'Oro.

Una fattoria sociale tutta… d’oro (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Come e quando è nata l’idea della Fattoria sociale Conca d’oro?

“È nata nel 1999 con la collaborazione di Margherita Marin, allora assessore al bilancio del Comune di Bassano e con altri amici. Al progetto avevamo dato il titolo “Dopo di noi”, nel senso che si voleva creare una struttura in grado di dare ospitalità a quei soggetti disabili che, con il passare degli anni, si fossero trovati senza il sostegno di una famiglia. Fu sicuramente positivo l’incontro con Bruno Martino, allora presidente della Fondazione Pirani Cremona, che ci ha messo a disposizione una casa colonica a nord di Bassano il cui affittuario aveva deciso di lasciare per andare in pensione”.

Ma la struttura era adatta al vostro progetto?

“No, bisognava adattarla alle necessità delle nostre proposte. L’architetto Andrea Todesco elaborò il progetto di ristrutturazione che ponemmo all’attenzione dell’Amministrazione comunale. Dopo alcune resistenze da parte degli amministratori di allora, il progetto fu accolto e partirono i lavori in un’operazione sinergica fra noi e la Fondazione Pirani Cremona, nonché con il territorio che ci ha “adottato””.

Avete avuto anche l’aiuto di volontari nei lavori di sistemazione della casa colonica?

“Certo e in particolar modo gli alpini che per ben due anni, tutti i fine settimana, complici il compianto presidentissimo Bortolo Busnardo e Lucio Gambaretto, misero a disposizione gratuitamente il loro tempo e le loro capacità, oltre che i materiali. Un calcolo sui costi risparmiati, grazie al loro lavoro, ci parla di una cifra di oltre 300 mila euro”.

Quando fu inaugurata la casa?

“Nel 2006 ed una parte del fabbricato la mettemmo a disposizione della Polisportiva Jonathan, un’associazione di volontariato nata nel 1992 che svolge un’attività di terapia e di educazione psicomotoria e che era ospitata in uno scantinato del Centro Giovanile”.

E i disabili quando hanno cominciato ad entrare?

“Subito con due ragazze che arrivavano dal Pirani essendo ormai maggiorenni. Il primo problema fu quello legato alla presenza di operatrici che noi non eravamo in grado di pagare. Due di loro si licenziarono dall’Azienda sanitaria per venire da noi e, a pagarle, fu l’associazione Jonathan. Abbiamo cominciato subito come comunità alloggio per quei disabili rimasti senza supporto familiare ed il numero iniziò a crescere anche se fu davvero scarso, allora, il coinvolgimento dell’Azienda sanitaria”.

Quando e con che finanziamenti avete cominciato con la Fattoria sociale?

“Dopo qualche anno, con l’aiuto determinante di Raffaele Grazia, assessore regionale al sociale, abbiamo vinto un bando europeo che ci ha permesso di finanziare un progetto di formazione orticola per soggetti in difficoltà. In un paio d’anni siamo riusciti a formare alcuni disabili e quattro operatori, cominciando così a coltivare la terra, passando dalle colture tradizionali a quelle biologiche”.

Perché questa scelta?

“Per tre motivi: anzitutto per la salvaguardia del territorio, quindi per garantire sicurezza ai ragazzi che lavorano nei campi senza che sia fatto uso di pesticidi ed infine perché il biologico continua ad avere mercato”.

Una fattoria sociale tutta… d’oro (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Quindi la “Fattoria” produce verdure coltivate grazie all’aiuto dei disabili?

“Non solo. Con la fattiva collaborazione dell’ex sindaco Stefano Cimatti, abbiamo avuto la possibilità di cambiare la destinazione d’uso di alcuni locali creando dei laboratori di lavorazione dei prodotti, realizzando il forno per la panificazione, aprendo un ristorante ed un punto di vendita, tutto questo per permettere all’istituzione di contribuire, con il lavoro dei disabili, a coprire una parte delle spese che incontriamo per la gestione dell’intero complesso”.

Ma quanti sono i fruitori di questo progetto attualmente?

“Adesso abbiamo otto giovani ospitati nella comunità alloggio, oltre a 27 che arrivano dalle famiglie del territorio al mattino e tornano a casa alla sera. A loro diamo una borsa lavoro che ci impegna per una cifra di circa 45 mila euro l’anno. Riteniamo giusto gratificare gli ospiti della Fattoria con un esborso economico sia perché il loro è un lavoro a tutti gli effetti, sia per dare un senso maggiore al loro impegno”.

E quanti sono gli operatori che seguono i disabili?

“Dalle prime due operatrici dell’avvio dell’attività, siamo passati a sedici operatori a tempo indeterminato più due a progetto. È personale impegnato come educatori, come operatori socio sanitari o nei lavori agricoli”.

C’è un riconoscimento istituzionale come “bioFattoria sociale”?

“Sì, ora esiste la legge regionale 24 del 2013 che, personalmente, ho contribuito a redigere e che, anche se non offre contributi economici, quanto meno vale a delineare una nuova filosofia d’azione che va sicuramente a beneficio di realtà come la nostra. Siamo quindi inseriti anche noi nella rete delle biofattorie sociali del Veneto, una quindicina in tutto”.

Quanta terra lavorate?

“Quattro ettari qui alla Conca d’oro e poi sono stati affittati altri otto ettari a Sacro Cuore, sempre di proprietà della Fondazione Pirani Cremona”.

Come fate a far quadrare i conti della vostra attività? Avete contributi regionali o statali?

“Non abbiamo contributi pubblici, ma soltanto quelli dovuti per legge per gli otto ospiti della comunità alloggio. Un trenta per cento delle entrate proviene dalla rette a carico, in quota parte, di Regione e Comune, un 60 per cento dalla vendita dei nostri prodotti (ortaggi di nicchia come gli asparagi bianchi biologici, pane, dolci, marmellate, creme di verdura) e la parte rimanente dal cinque per mille (diecimila euro lo scorso anno) e da donazioni di privati (dai 30 ai 40 mila euro annui)”.

Avete dei debiti?

“No, la nostra filosofia d’azione prevede che non vi siano né mutui né debiti. Se dobbiamo fare qualche intervento aspettiamo ad avere le risorse altrimenti non si fa nulla”.

Che prospettive avete per il futuro?

“C’è un importante progetto che sta per nascere e che ci vede coinvolti, con la Cooperativa sociale Adelante, che “si pone nel territorio quale soggetto promotore di cultura sociale, opportunità di incontro, occasioni di riflessioni e dialogo tra protagonisti diversi del contesto locale”, nella gestione di Villa San Giuseppe dopo la partenza degli ultimi gesuiti. “Pictor” è il nome di questo progetto che vedrà presenti, in quella struttura, soggetti con disabilità grave, da impegnare con attività ancora allo studio. Oltre a questo Villa San Giuseppe potrebbe diventare centro di turismo sociale e nuova realtà di agricoltura biologica. Sono molte le idee di utilizzo di questo complesso che daranno veramente dei buoni risultati”.

 

nr. 20 anno XX del 23 maggio 2015

Una fattoria sociale tutta… d’oro (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)

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