NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
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Molti non tornarono

di Alessandro Scandale
a.scandale@gmail.com

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Molti non tornarono

Il titolo del libro è chiaro. Come si immagina quelle famiglie che non videro più tornare i loro figli?

Molti non tornarono (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)"Ad un secolo da quegli eventi le generazioni attuali hanno nella migliore delle ipotesi un ricordo solo indiretto della Grande Guerra, spesso aggrappato alle sensazioni trasmesse molti anni fa dai propri maggiori che loro malgrado vissero quella enorme tragedia. E questo libro nasce infatti oltre trent’anni fa proprio dal dolore e dall’impotenza che leggevo ancora negli occhi di mia nonna la quale, seppure a distanza di tanto tempo, non aveva ancora superato, come non superò mai, la scomparsa inspiegabile di uno dei suoi affetti giovanili più cari nel turbinio del conflitto. Una vita perduta della quale parlava di rado, tradendo però quel rammarico insanabile che nei più anziani prende il posto del dolore quando, dopo non aver più avuto notizie del proprio caro, restano anche senza una tomba sulla quale piangere. Per questo decise di imporre al suo primogenito il nome di quel Finanziere scomparso in guerra senza dare più notizie di sè. Questa fu la sorte che toccò a molte famiglie i cui cari svanirono in circostanze misteriose, lontanissimi da casa, a distanze allora insuperabili e in luoghi sconosciuti divenuti spesso inaccessibili; ai genitori, mogli e figli restava solo la speranza che mani pietose li avessero raccolti e sepolti degnamente, cosa che sappiamo purtroppo non sempre fu possibile. E se la vita, il lavoro e la ricostruzione risorgeranno prima o poi nonostante tutto in ogni famiglia, il dolore di quel vuoto negli affetti assumerà presto la dimensione di un lutto collettivo nella celebrazione nel funerale del Milite Ignoto, la più imponente manifestazione di massa della storia d’Italia".

Una delle cinque storie narrate la riguarda da vicino: ci racconta i retroscena?

"Di certo, e per comprensibili ragioni, quella che comunque sento più mia è la vicenda del fratello maggiore di mio nonno, Artigliere Alpino del 3° Reggimento, nato l’11 ottobre proprio come me; Vincenzo aveva una cicatrice sullo zigomo sinistro, il destino vuole che io l’abbia sul destro. Era un bracciante nato vicino al mare ma inviato tra quelli dell’Artiglieria da montagna per la sua inusuale prestanza fisica, altro elemento che ci accomuna. Arrivò in Vallarsa per essere subito travolto dalla Strafexpedition del maggio 1916: nel medesimo giorno e in quel luogo combatté proprio al fianco del nonno del mio coautore Ruggero Dal Molin. Ma mentre i Fanti dopo una strenua resistenza furono fatti prigionieri, Vincenzo riuscì a ritirarsi con la sua batteria combattendo sul Trambileno dove riceverà un encomio solenne per il suo coraggio; poco distante da lui saranno catturati Cesare Battisti e Fabio Filzi. Gli Artiglieri superstiti, giunti allo stremo delle forze, saranno salvati da due reggimenti di reclute napoletane al loro battesimo del fuoco, trasferiti per la prima volta in alta montagna dopo un avventuroso viaggio sui primi camion militari. Vincenzo Aluisini combatterà per tutta la Grande Guerra morendo stremato il giorno successivo alla sua conclusione, sentendo le campane che ne annunciavano la conclusione, certo di avere fatto il suo dovere fino in fondo. Suo fratello più giovane, mio nonno Carlo, fondatore di una società di mutuo soccorso e convinto pacifista, lo cercherà vanamente solo alla fine dei suoi giorni, arrivando a sfiorare la verità sul Grappa proprio vicino al quale Vincenzo combattè la dura battaglia del Monfenera nell’inverno del 1917. Ormai molto anziano manderà a casa nostra, lo ricordo che ero ancora bambino, una cartolina del Sacrario del Grappa con una dicitura laconica, la quale ora comprendo celava il dispiacere di aver speso l’ultima occasione per ritrovare il fratello caduto. Toccherà a me, dopo cent’anni da quella battaglia, ritrovarne la tomba poco distante, all’ombra di un chiostro e tra i due cannoni della batteria da montagna".

Che emozioni ha provato scrivendo il libro?

"Dopo una ricerca così lunga, più volte abbandonata e poi ripresa fra mille incertezze, posso dire come in fondo tutte le storie che sono state anche solo in parte ripercorse mi hanno toccato molto da vicino; per esempio nei momenti in cui tra soldati austriaci e italiani, nonostante la ferocia della guerra, la pietà riusciva comunque a prevalere sull’odio. Sicuramente l’emozione dei continui ritrovamenti, l’incrociarsi dei destini degli umili con quelli dei potenti di allora e i non rari colpi di scena durante le ricerche di questi anni hanno fatto sì che la passione si rafforzasse sempre più portandomi spesso in luoghi per me sino ad allora ignoti. Ma oltre alla passione, ancor più incredibilmente e a distanza di tanto tempo, mai sarei potuto arrivare a chiudere il cerchio senza l’aiuto decisivo di alcune persone, sia in Italia che in Austria. La cosa più bella che per sempre porterò nel cuore è stato il trovare nelle circostanze più imprevedibili uomini il cui generoso e caparbio contributo si è rivelato determinante. Penso ad esempio al Maresciallo Stefano Mura nel ritrovamento della lapide spezzata del Finanziere Ettore Neri o a Ruggero Dal Molin per la clamorosa fotografia del cimitero austriaco dopo la battaglia del Monte Chiesa, dove due croci portano gli elmetti degli italiani saliti sino a quota 2056 e per il loro coraggio sepolti fra gli stessi austroungarici. In questo senso ci sentiamo innanzitutto di aver onorato con questo libro un debito di riconoscenza, ricordando attraverso quelle cinque storie tutti i seicentomila caduti che lottarono fino all’ultimo senz’altro sperare che un futuro migliore".

È appassionato di montagna e di storia: oggi percorrendo quei sentieri sente ancora aleggiare lo spirito di quei fatti o il tempo ha cancellato tutto?

Molti non tornarono (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)"Già durante il servizio militare avevo avuto la possibilità di vivere a lungo in montagna, cosa che ha ulteriormente rafforzato la mia passione; certo, lungo tutto il fronte Dolomitico erano e sono ancora visibili molti segni della Grande Guerra sia per le ferite inferte all’ambiente che nei reperti non di rado recuperabili. Ma quello che negli anni mi ha maggiormente colpito è proprio la possibilità di risentire e rivivere quei momenti anche in luoghi assai più accessibili e altrettanto affascinanti come le Prealpi del Veneto, che personalmente considero un vero e proprio museo a cielo aperto, in particolare sull’Altopiano di Asiago. Il tempo ha cancellato molto da allora ma specialmente laddove la cura dell’uomo ha preservato la memoria di quegli eventi, esistono tutt’oggi autentici luoghi della memoria dove nella pace di una natura incontaminata è possibile ritrovare ancora quei ricordi e, in fondo, un po’ anche noi stessi. Penso ad esempio al silenzio delle gallerie dei forti abbandonati, ai cimiteri Britannici dell’Altopiano, al maestoso Sacrario del Leiten di Asiago o alla zona sacra dell’Ortigara. Anzi, proprio perché lo spirito di allora, ne sono certo, vi sopravvive, credo sia soprattutto qui che si debba insegnare la Storia ai nostri giovani, almeno una volta nella vita, e non solo nelle aule scolastiche".

Crede sia giusto ricordare e perché?

"A distanza di cent’anni possiamo rileggere e comprendere la Grande Guerra senza condizionamenti ideologici e nella sua accezione più completa, quindi direi proprio attraverso la Storia con la S maiuscola. Purtroppo in Italia siamo invece inclini a sbarazzarci di interi periodi storici con eccessiva facilità, cosa che è toccata a gran parte dell’epopea risorgimentale e alla stessa Grande Guerra. Poter ripercorrere oggi quegli eventi consente innanzitutto di comprendere come spesso la Storia non sia altro che l’infinita sommatoria delle singole vicende umane legate da un comune destino travolto dalla guerra. E da questo nasce forte il grido della pace, uno per ogni vita allora perduta, da qualsiasi paese d’Europa provenisse. La memoria della Grande Guerra dovrebbe aiutarci anche a completare l’unificazione europea bloccata dalle priorità finanziarie dei mercati. Non possiamo infatti dimenticarne i principi di solidarietà che la videro nascere. Solo allora potremo dire, ricordandoci di quei ragazzi nelle trincee del 1914-18, che non sono morti invano".

 

Stefano Aluisini è laureato in Economia ed è fotografo, appassionato di montagna e ricercatore storico per passione. È stato ufficiale istruttore alla 3° Compagnia della Scuola Alpina della Guardia di Finanza di Predazzo fra il 1992 e il 1993. Dalla fine del 2013 è socio della Associazione Storico Culturale Fronte Sud Altopiano 7 Comuni di Cesuna. Coordina con Ruggero Dal Molin le principali attività operative dell'Archivio Storico Dal Molin di Bassano del Grappa. Nel giugno 2014 porta al Convegno di Cesuna "L'Altopiano di Gianni" il tema: "Tre storie per tre battaglie: sulle tracce dei soldati caduti nella Grande Guerra”. Insieme all'Archivio Storico Dal Molin e in collaborazione con il Museo Storico della Terza Armata ha realizzato nel novembre del 2014 a Padova la mostra fotografica "1914-2014: la guerra che verrà". In occasione del centenario ha organizzato nel marzo 2015 con Dal Molin e Bruno Cerutti l'incontro "Altopiano, Europa: un crocevia nella Storia della Grande Guerra". Al Convegno di Cesuna nell'aprile 2015 interviene con Dal Molin nella sezione dedicata alla scuola sul tema "Internet e la Grande Guerra: la letteratura attraverso le nuove tecnologie".

 

nr. 22 anno XX del 6 giugno 2015



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