NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
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Fregoléte, per far rivivere i sogni dell'infazia

"Briciole di memoria" il sottotitolo del libro scritto dal valdagnese Sandro Crosara in collaborazione con Maria Dindina Pierdicchi. Un racconto del come eravamo e non solo

di Alessandro Scandale
a.scandale@gmail.com

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Fregoléte - Briciole di Memoria

Fregoléte - Briciole di Memoria del valdagnese Sandro Crosara, scritto in collaborazione con Maria Dindina Pierdicchi (Gabrielli Editore Verona) è un nuovo libro che, con la prefazione di Stefano Ferrio, racconta di come eravamo e di come, in fondo, molti ancora sono. E racconta soprattutto di quell'eterea materia chiamata ricordi, che sono prerogativa essenziale di noi umani e forse, chissà, anche di qualche altra specie che popola questo pianeta. La scena si svolge nelle valli pedemontane della provincia veneta, nella seconda metà del secolo scorso. Detta così sembra una vita fa, ma sono trascorsi solo pochi decenni. Sullo sfondo le sfide e gli ideali per la ricostruzione e la crescita pacifica, in prossimità degli anni Sessanta. Il fermento della crescita porta richiesta di lavoro, c’è ottimismo. Le famiglie consolidano il tessuto di paesi e città. I racconti brevi di cui è composto il libro narrano della vita quotidiana fin dagli anni della gioventù di cui gli autori sono stati protagonisti: un periodo irripetibile, quello delle "braghéte curte" e dei grembiuli femminili, di ambienti, di tradizioni, musiche, mode e modi, personaggi straordinari e indimenticabili. Grande cura è stata data alla stesura degli incisi dialettali con la supervisione di Bepi De Marzi, elemento di gran pregio del libro che concorre a valorizzare queste briciole di memoria con maggior realismo. Si raccolgano queste briciole - scrive De Marzi in quarta di copertina - . Nel delicato sapore della nostalgia. Nella vivace famiglia di Sandro Crosara suonavo e cantavo a Valdagno. Sono dunque anch'io una fregoleta.

Fregoléte - Briciole di Memoria (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Un racconto che si dipana e scorre attorno ai luoghi cari all'autore - l'Oltreagno, il cinema Rivoli, la Favorita, il poggio Miravalle. Luoghi veri che fanno da sfondo al realismo, a tratti ironico a tratti più serioso, che circonda i diversi personaggi della narrazione. E poi l'uso del dialetto che "storpia" ad esempio i nomi dei cantanti e dei gruppi più in voga in quegli anni, che diventano i vari Bitless, Rollinstò, Pin Floi, Carlo Santanas... in un turbinio di gag più o meno involontarie che ne rendono la lettura godibile anche a chi non ha origini valdagnesi nè vicentine. Scriveva il sommo William Shakespera ne La Tempesta, che noi siamo fatti della stessa sostanza dei sogni, intendendo così definire l'essenza di uomini e donne, quella che molti chiamano anima. Con umiltà e riverenza di fronte a tali alte vette della letteratura di ogni tempo e luogo, chi vi scrive avanza anche un'altra ipotesi, e cioè che noi umani siamo fatti, in fondo, anche della sostanza dei nostri ricordi. Che cosa saremmo, in fin dei conti, se fossimo privati dei ricordi? E in tempi molto più recenti, lo scrittore colombiano Gabriel Garcia Marquez, premio Nobel per la letteratura, scriveva che la vita non è quella che si è vissuta ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla. Qualche suggerimento, in risposta alla domanda, hanno provato a darlo, in chiave ora seria ora più leggera, psicologi, scrittori e registi. Forse anche i musicisti. E ognuno, si sa, in questi casi dice la sua con maggiore o minore cognizione di causa. Ma la domanda è più che mai lecita e leggendo questo libro di Crosara, che si presenta venerdì 26 giugno alle 18 alla libreria Galla di Vicenza, alla presenza dei due autori e dello stesso Ferrio, qualche risposta, anche se semplice, può arrivare.

Fregolete - come scrivono gli autori stessi - nasce per far rivivere i sogni dell’infanzia che, incontaminati, ci hanno accompagnato nella vita. Per ritrarre qualcosa che c’è stato e non c’è più. Gli autori, con sorridente ironia, hanno voluto celebrare e condividere quel periodo irripetibile, quel mondo popolato da straordinari personaggi indimenticabili. La seconda metà del Novecento permeata di sfide e ideali per ricostruire e crescere pacificamente sta imboccando la decade degli anni Sessanta. Contraddizioni e ostacoli non fermano la corsa al cosiddetto progresso e alle innovazioni. La provincia veneta e la valle operosa sono teatro delle scene di vita quotidiana che, iniziando dall’ambiente scolastico, danno cadenza alle vicende di gioventù. Prendono forma dei racconti universali di fatti e conseguenti emozioni certamente accaduti in decine di altre valli nello scenario di altre regioni… Fregoléte come frammenti di memoria. Il bianco e nero del testo cede il posto alle scene illuminate della narrazione che apportano colorazioni vive, odori, suggestioni, stravaganze e dialoghi. In tutto quel daffare si manifestano i protagonisti e si armonizzano gli incisi dialettali divenendo parte integrante del testo: non potrebbero non esserci. Immersi in uno scenario onirico permeato di sensazioni e allegria impresse dagli autori si ritorna quindi al passato… Non c’è ricordo né rimpianto. Solo condivisione armonica.

Al momento di farle sparire in un cestino, quelle “fregoléte” tutto sembrano tranne che inutili - scrive Ferrio nella prefazione - . Anzi, un pochino dispiace perderne un contatto così miracolosamente gravido di senso, così ammiccante a un’altra realtà, il cui incanto nulla sembra spartire con grigiori e afrori di una più ruvida quotidianità. Salvo poi accorgersi che – lezione nota, ma mai troppo ripetuta – se c’è vita, c’è necessariamente memoria. E che quelle briciole vivono dentro di noi proprio perché, una volta svanita la loro dispersa consistenza fisica, permane la “manna” soave e feconda da cui provengono. Fino a scoprire che basta trovare il tempo per scuotersi un po’, perché da rado pulviscolo si trasformino in pioggia scrosciante e benefica. Così da varcare una fatidica soglia spaziotemporale, simile a quella di cui si legge nel racconto “Il bar pasticceria in Centro”: “Scostata quindi la porta si era raggiunti da una calda folata di aria aromatica, dolce, accattivante, spessa, quasi sfacciata...”. Crescendo di definizioni adottato per le meringhe e i bignè appena indorati dal forno, ma eventualmente applicabile, parola per parola, a una Ines, a una Domenica, o a un’Emanuela la cui avvenenza, in quegli stessi anni, si scamiciava un bottoncino alla volta, uno shake dopo l’altro. “Tóse” a cui, durante festini consumati in affumicate taverne di Maglio di Sotto, avvinghiare il proprio destino per i quattro, proibiti minuti di una venetizzata “Xé tèm... muà-non-plù”, frantumata più dalla puntina del mangiadischi che dai fulmini scagliati da un’imbelle censura democristiana contro la coppia quanto mai di fatto Birkin- Gainsbourg. Da qui la convinzione che Fregoléte sia almeno da raccomandare a qualsiasi docente di scuola dell’obbligo animato dalla sacrosanta mission di svelare a scolaresche multietniche il più semplice e promettente dei “Come eravamo” applicato alla valle dell’Agno. Siamo infatti di fronte alla rarità di un volume così eroicamente demodé nella rappresentazione dell’eterno effimero a cui sembriamo destinati. Ecco perché valdagnesi e “affini”, animati dal bisogno di tramandare qualcosa di sé, possono andare a colpo sicuro nell’aprire pagine a piacimento di questa guida turistica al tempo perduto, da raccomandare non solo ai piccoli Rashid, Nong e Dimitri di classi sempre più globali. L’esortazione vale infatti anche per i Nicola e le Giulie di quegli indigeni cresciuti quando il mondo intero misconosceva le meraviglie della Città Sociale realizzata dai conti Marzotto per i cittadini della loro Valdagno.

Fregoléte - Briciole di Memoria (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Indizi sulla soluzione dell’enigma vengono accumulati dai due autori nella sezione “Le arti, le mode, i sogni”, in assoluto una delle più godibili del libro. Pagine dove si attribuisce agli anni Sessanta e Settanta la funzione di una catarsi epocale, ma rinvenuta nella fisicità di un idioma locale contaminato e infettante nello stesso tempo. Da cui “Kesstìve” per Cat Stevens, “Peri Mezo” per Perry Mason, “loplèi” per long playing, Giòan Bàees per Joan Baez, “Proccolàrum” per Procol Harum, “Gièin Bèrkin” per la già citata Jane Birkin di “Je t’aime moi non plus”, “giù-bòss” per juke box, “ciùinga” per chewing gum. Tutti spunti che ravvivano ulteriormente la necessità, nonché la bellezza, di un filò ispirato da Fregoléte, dove proporre l’ascolto di quei classici del rock che anche a Pianalto e Castevecchio fecero piazza pulita di Claudio Villa e Nilla Pizzi... Chissà se qualcuno ha ancora il coraggio di dire “Sembra ieri”, e con quale cognizione di causa, di fronte a questi nostri oggi così dissolti, prima ancora di profilarsi, in un perpetuo chiasso fatto di tweet, gossip, news, brand, app & spread.

Abbiamo incontrato l'autore a Vicenza, in vista della presentazione.

Fregoléte - Briciole di Memoria (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica)



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