NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
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Biancaneve senza... la matrigna

La favola dei Fratelli Grimm presentata ad Operaestate nella sua versione originaria, dove la protagonista deve fare i conti con la propria mamma

di Elena De Dominicis
elenadedominicis@virgilio.it

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Biancaneve

Anna Cappelli (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)@artiscenichecom

 

Un’insolita rilettura sulla favola di Biancaneve in forma di installazione sonora e interattiva è stata presentata alla rassegna collaterale di Operaestate Bmotion teatro. L’installazione, ad opera della compagnia svizzera Trickster –p permette allo spettatore di entrare in una dimensione soggettiva del testo dei fratelli Grimm, qui nella versione originaria antecedente a quella da tutti conosciuta, in cui non c’è alcuna matrigna ma la carnefice della piccola Biancaneve è sua madre stessa. l’installazione è strutturata a stanze all’interno delle quali sono disposti degli oggetti e attraverso le quali siamo condotti da una guida sonora in cui viene recitato un testo con il l’accompagnamento di musiche e rumori. Un’operazione decisamente interessante e realizzata con un’estetica molto godibile che segue il progetto precedente dedicato ad Hansel e Gretel. Abbiamo incontrato la monzese Cristina Galbiati che insieme a Ilija Luginbühl costituisce i Trickster-p.

Biancaneve (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Questa installazione fa parte di una trilogia legata alla fiaba. Siete partiti da uno o più elementi che vi interessava indagare oppure avete fatto un altro percorso?

Cristina Galbiati: “La fiaba più o meno tutti la conoscono, possiamo allontanarci dal dover spiegare gli accadimenti e immergerci nell’ambito più immaginifico, che è quello che ci interessa di più; penso che sia un lavoro sull’archetipo: la fiaba, il mito è qualcosa che continua a tornare. Quello che ci interessa dei fratelli Grimm, rispetto ad Andersen, è la brutalità che è una cosa che adesso ai nostri tempi sleghiamo dalla fiaba, questo contrasto tra qualcosa che si pensa rivolto all’infanzia e questa cosa più brutale e viscerale".

Nella fiaba c’è un senso di altra dimensione, alcuni testi parlando di un concetto di infinito. Qualcosa che non appartiene alla realtà materiale di tutti i giorni, di esplorabile che non ha limiti. Voi avete creato delle stanze molto piccole e claustrofobiche, come mai?

“Volevamo lavorare con l’intimità dello spettatore, metterlo da solo davanti a se stesso, noi non lo controlliamo e può fare quello che vuole: la scelta è anche quella di non avere performer. Non mi interessa seguire una struttura narrativa in senso cronologico ma creare diversi mondi percorribili a livello pratico, quindi creare dei microcosmi che riflettano questo infinito di cui parlavi tu. Per una serie di casualità siamo più orientati verso il Nord Europa, i paesi germanofoni amano molto il nostro lavoro. Hansel e Gretel era la prima, è andata anche in Australia e in America ed è andata bene perché la fiaba si attacca a qualcosa che c’è in culture molto diverse. L’abbiamo portata anche in Russia, dove magari non ti sanno raccontare la fiaba di Hansel e Gretel ma l’archetipo del bosco, della strega, dei bambini risuona in molte culture. Lo abbiamo portato in India, dove torneremo a gennaio, loro conoscono la favola ma non è loro tradizione come la può essere per i tedeschi. Credo che affascini molto questa idea del percorso solitario, la relazione con lo spazio e col suono, di essere portati in un luogo e in uno spazio altri".

Biancaneve (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)I popoli anglosassoni, più esposti al “disneysmo”, come hanno recepito questo studio sull’inconscio e sul viaggio interiore?

“Abbiamo portato Hansel e Gretel al Festival di Edimburgo, dovevano essere sicuri che fosse qualcosa che non turbasse l’infanzia ed eravamo un po’ preoccupati perché i nostri lavori tendono sempre all’aspetto dell’inquietudine, non sono mai disneyani, eppure anche lì bambini e ragazzi l’hanno molto amata. Nella nostra cultura c’è l’idea che ciò che si rivolge all’infanzia debba essere colorato e molto leggero, in realtà il percorso iniziatico c’è da secoli e questo passaggio attraverso la cosa che fa paura, il superamento della prova, appartiene all’essere umano e anche i più giovani o più piccoli trovano questa cosa qui. Loro l’hanno apprezzata come l’hanno apprezzata in Germania o in Danimarca. La differenza che sentiamo di più è sul tipo di educazione: i danesi sono silenziosissimi e non toccano niente, i tedeschi interagiscono di più, sempre in maniera molto rispettosa; in Germania le persone escono molto toccate, alcuni addirittura piangono e mi abbracciano. In Italia c’è un’esternazione meno dimostrativa a livello emotivo".

Forse noi la viviamo più come un’esperienza estetica.

“Sì o forse siamo molto aperti nell’espressione verbale e nelle espressioni veramente emotive forse no. Ma è una cosa che mi ha sempre toccata questa della Germania, è successo più volte”.



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