NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
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Coltivare la vite è coltivare il paesaggio

È questa considerazione che ha ispirato il libro “Veneto. Terre e paesaggi del vino” scritto da Gianni Moriani e Diego Tomasi con le fotografie di Cesare Gerolimetto. Un volume di 180 pagine che porta il lettore ad attraversare il veneto a… grappoli

di Alessandro Scandale
a.scandale@gmail.com

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Coltivare la vite è coltivare il paesaggio

Veneto. Terre e paesaggi del vino, 180 pagine arricchite dalle splendide fotografie del bassanese Cesare Gerolimetto con testi anche in inglese è una recente e preziosa pubblicazione dell'editore Terra Ferma. Presentato nei giorni scorsi alla biblioteca La Vigna di Vicenza alla presenza degli autori Gianni Moriani, Diego Tomasi e lo stesso Gerolimetto, nell'ambito della mostra storica dedicata alle macchine enologiche Machinare e torciare, storia e tradizione delle macchine per il vino, visitabile fino al 7 novembre 2015, il volume illustra la grande diversità di paesaggi che si incontrano partendo dai confini dei territori che si affacciano al Lago di Garda fino a quelli che si specchiano sulla laguna veneta, per salire poi i colli fino ad arrivare alle quote più alte che d’inverno si imbiancano. Il paesaggio è diventato in questi anni un potente strumento di comunicazione, e questo libro vuole meravigliare presentando la numerosità e l’unicità dei paesaggi viticoli veneti, emblema del saper fare dei viticoltori di questa terra. In questo volume il vino viene presentato e proposto attraverso i suoi paesaggi, nella sua dimensione visiva ed emozionale. Il paesaggio si fa quindi portavoce e memore di comunità di uomini e donne che hanno costruito e tramandato una natura più bella e più ricca.

Coltivare la vite è coltivare il paesaggio (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Coltivando la vite - si legge nell'introduzione - l’uomo coltiva il suo paesaggio; facendo ciò, l’uomo incide sul suolo il racconto della propria esistenza, cosicché in un territorio le storie di ogni vignaiuolo diventano storia collettiva. I filari di viti, come fossero righe sulle pagine di un diario, nelle loro varie forme di allevamento, scrivono sulla terra con la calligrafia del singolo contadino i tratti peculiari del rapporto che una specifica comunità ha con la natura. I singoli elementi che compongono il paesaggio diventano allora punti di riferimento e tratti distintivi per chi vive all’interno del luogo, ma anche per chi impara a conoscere, apprezzare e relazionarsi con i siti e con la loro bellezza. L’uomo ha operato sulla natura, abbellendone i tratti e creando dei riferimenti senza i quali viene meno la capacità di orientarsi. Ciò diventa ancor più tangibile quando accostiamo al paesaggio esteriore anche quello interiore, composto di emozioni e di stati d’animo. È quindi difficile separare le due facce del paesaggio, quella esterna e quella intima: entrambe concorrono a formare un tutt’uno che non si identifica solamente con qualcosa di fisico, ma si concreta in un dialogo fatto di sentimenti, ricordi, percezioni visive e cultura. Tanto che il buon vivere poggia sul radicamento e sullo stabilire dei legami significativi e duraturi con i luoghi di appartenenza, in quanto senza punti di riferimento l’uomo “perde l’anima”, ovvero perde la capacità di ricondursi alle sue origini e alle sue memorie.

Innanzitutto un dato fondamentale: il Veneto è la prima regione italiana in quanto a produzione di vino; il vigneto copre circa il 6% della superficie pianeggiante e collinare, ma quasi il 10% della superficie agricola utilizzata. In molte realtà viticole regionali però il vigneto è parte ancora più attiva, tanto che in alcuni comuni delle province di Treviso e di Verona arriva a coprire anche il 50-60% della superficie comunale. È quindi facilmente intuibile che l’attività viticola è stata ed è la maggior artefice di gran parte del paesaggio agrario regionale e ancor oggi imprime ad esso un aspetto esclusivo e spesso di grande attrazione: il paesaggio è quindi il risultato di generazioni di viticoltori che lentamente, con costanza nel fluire del tempo, hanno svolto la loro attività. Negli ultimi decenni, questo patrimonio è stato privato di alcuni dei suoi elementi caratteristici come ad esempio le alberate, ma comunque il paesaggio viticolo ci consegna ancora un’idea di comune impegno e di stretta armonia tra uomo e luoghi di vita. Il paesaggio non è un bene soggettivo e neanche di pochi, tutti dobbiamo contribuire alla sua salvaguardia per un tornaconto comune, combattendo le pressioni speculative che vorrebbero una piatta omologazione culturale e territoriale. Bisogna ricordare che il paesaggio è un bene comune e proprio per questo deve crescere una sensibilità collettiva nei confronti della salvaguardia dei segni della nostra identità, come quei vigneti, generati da tramandati saperi che, pur dentro processi di innovazione, si esprimono attraverso resistenti e tradizionali forme di coltivazione, fonte di riconoscibilità territoriale, dove il singolo si fa comunità in un paesaggio elevato a specchio del proprio operare.

Coltivare la vite è coltivare il paesaggio (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Il Veneto ha una singolare ricchezza di paesaggi e la loro bellezza giustifica gli oltre otto milioni di turisti che ogni anno visitano i nostri luoghi. Ma da dove prendono origine queste invidiate scenografie? Senza dubbio dall’indiscusso stretto legame tra attività umana e natura. Quest’ultima crea le basi su cui l’uomo nel tempo costruisce i paesaggi, tanto che la storia dell’uomo condiziona la storia del paesaggio costruito sui bisogni e il saper fare dei suoi abitanti. Nell’età delle palafitte si produceva vino, ciò è testimoniato dagli scavi archeologici che hanno rinvenuto semi della Vitis vinifera L., così come falci da vite sono state rintracciate presso Schio e Isola Vicentina; mentre a Cà Quinta di Sarego nella zona di Monte Berico sono stati trovati in buono stato di conservazione perfino chicchi d’uva antichissimi. Vinaccioli della stessa epoca sono stati ritrovati anche a Peschiera e Pacengo. Nella zona limitrofa al lago di Garda, sono stati rinvenuti vinaccioli di Vitis vinifera sativa risalenti all’età del ferro. Un rilevante reperto archeologico di carattere enologico è la situla, un grande vaso sacrale usato anche per contenere vino, in bronzo, del VII-VI secolo a.C. rinvenuto nel 1933 a Valeggio sul Mincio; così come dei mestoli, portati alla luce a Peschiera e databili al V secolo a.C. Come per moltissime attività umane, in ogni contesto, anche la vite e la produzione di vino hanno subito delle vicissitudini altalenanti in funzione di numerosi fattori dipendenti dall’ambiente e dall’agire umano. Dopo l’importante parentesi romana, interrotta dalle invasioni barbariche, l’ambiente naturale ha conservato le sue forme e le sue linee originarie fino a quando l’uomo, a partire dalla fine del XII secolo, ha iniziato ad appropriarsi di spazi sempre più estesi sotto la continua spinta demografica che lo ha obbligato a estendere i villaggi e a mettere a coltura nuove superfici. L’ambiente naturale, con il passare dei secoli, si è quindi trasformato in un ambiente “antropizzato” e gli ecosistemi naturali si sono lentamente evoluti in paesaggi. L’opera dell’uomo è diventata però via via sempre più pervasiva e lentamente si è imposto un radicale mutamento nella concezione dello sfruttamento della terra: non più intesa come mero appropriarsi di ciò che la natura offre, essendo stati nel XXI secolo attivati metodi più attenti alle rese, alla qualità e ai profitti.

Machinare e torciare, esposizione di macchine, attrezzi e documenti storici in collaborazione con l’Archivio Storico Pietro Laverda di Breganze, è una mostra aperta fino al 7 novembre alla biblioteca La Vigna a Vicenza e riunisce attrezzature enologiche e documenti storici di una delle operazioni più importanti della vita contadina, qual è la vendemmia con la successiva vinificazione. Gli ultimi due secoli hanno visto l'affermarsi di importanti innovazioni sia nella pigiatura delle uve che nella successiva torchiatura delle vinacce. Di grande interesse sono i libri, le fotografie e i documenti esposti nelle teche delle sale interne, a testimonianza di un patrimonio di materiali non solo tecnici, ma anche commerciali e pubblicitari, in grado di fornire una singolare ricostruzione di un periodo fondamentale per la moderna enologia.

In occasione della presentazione abbiamo incontrato il fotografo bassanese Cesare Gerolimetto.

Coltivare la vite è coltivare il paesaggio (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica)

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