NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
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Molière tra testo e realtà

Intervista a Paolo Rossi, il capocomico, che nel suo spettacolo stile Versailles ha inserito molti riferimenti alla contemporaneità. “Ma io voglio che il mio teatro sia un momento di illusione”

di Elena De Dominicis
elenadedominicis@virgilio.it

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Molière la recita di Versailles

Anna Cappelli (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)@artiscenichecom

 

Molière la recita di Versailles (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)La stagione della prosa del Comunale di Vicenza si è aperta con il nuovo spettacolo prodotto dallo Stabile di Bolzano“Molière la recita di Versailles” tratto dal testo dello stesso Molière “l’improvvisazione di Versailles” in cui il drammaturgo mette in scena se stesso con la sua compagnia sfruttando i codici della commedia dell’arte italiana. Scritto da Stefano Massini con Paolo Rossi, che interpreta Molière,con le musiche di Gianmaria Testa e diretto da Giampiero Solari, la commedia fa molti riferimenti anche alla contemporaneità.

 

Nel suo teatro lei fonde spesso il testo letterario con la realtà contemporanea. In molti punti sottolinea spesso anche non esplicitamente quanto i problemi degli attori di oggi siano gli stessi di allora. Oggi la visibilità aiuta molto gli artisti a costruirsi un seguito ma per farlo bisogna essere molto popolari e semplici, quasi non mostrare una certa padronanza dei testi classici per poi eventualmente poter portare il pubblico verso quell’ambito. Ai tempi di Molière c’era lo stesso questo tipo di problematica?

Molière la recita di Versailles (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Paolo Rossi: “Alcuni problemi erano gli stessi, quel che mi interessava di più di Molière era l’uomo e il capocomico. Alcuni erano uguali altri si sono modificati: Il teatro (poi bisogna vedere) aveva maggior potenza magari nel quartiere dove c’era il teatro o alla corte di Versailles; non era neanche allora di massa, diciamo così, c’era ben poca cosa di massa allora. Mi interessava questo aspetto e la storia drammaturgica di Molière che era, come dico nello spettacolo, uno che rubava a piene mani e rimetteva in piedi i classici. Ora lui è un classico quindi si rimette in piedi lui”.

Noi oggi riguardo a questi testi abbiamo una percezione di imprescindibilità, di profonda ricercatezza lessicale e di grande rigore, ma all’epoca erano il contemporaneo e nella sua pièce lei dice che il re, come il pubblico, apprezza che l’attore sbagli e che ci siano delle sbavature perché così è più reale e meno noioso. Oggi si ha un po’ la sensazione che un tempo gli autori fossero dei grandi studiosi soprattutto appunto dei classici e che venissero predilette delle tematiche mitologiche o epiche, e che invece all’artista contemporaneo sia richiesta una ricerca in avanti, verso ciò che non è stato ancora detto.

“Io diffido di chi viene e mi dice che ha auto un’idea che non ha mai avuto nessuno, perché se non l’ha mai avuta nessuno un motivo ci deve pur essere. Credo che ognuno faccia teatro come crede, come pensa e come sa fare, questo è il nostro stile dove si confondono l’attore, la persona e il personaggio, un ribaltamento del concetto di rappresentazione e quindi anche di realtà. È un momento di due ore di illusione come deve essere il teatro”.

Un aspetto fondamentale del teatro del ‘600 e ‘700 è che nei casi più celebri era patrocinato dai sovrani stessi, quindi la stesura del testo era certamente condizionata. Al tempo stesso però gli artisti potevano permettersi grandi messe in scene coadiuvate dal lavoro di architetti -scenografi e di compositori celebri. Ai tempi di Molière, sotto Luigi XIV nasce la Comédie Française, il teatro di stato. Perché oggi i governi si orientano verso contenuti televisivi estremamente poveri e popolari anziché patrocinare artisti di riconosciuto valore?

“Eh, questo dovresti domandarlo a loro, non a me: hanno instaurato delle regole e una disattenzione nei confronti della cultura che va avanti da 25-30 anni, dall’avvento della tv commerciale e molti hanno cominciato con idee diverse dalla tv commerciale, sia politicamente che culturalmente, a seguire quel canone. Io sono arrivato su Rai3 ma già riempivo i teatri”.

Il “grande pubblico” l’ha conosciuta in televisione.

“Si ma il pubblico a teatro mica mi mancava eh, andavo già in puglia e in Sicilia, e non avevo problemi. Chiaramente la portinaia ha capito perché tornavo tardi la sera, tutto qui! Io ho cominciato che facevo Shakespeare a teatro e al tempo stesso lavoravo al Derby che era una palestra di originalità e di follia dove nacquero i più grandi comici delle precedenti generazioni. Poi nacque la tv commerciale che aveva delle necessità, quella di stare dentro i 3 minuti, quindi annullando il minimo comun denominatore che fa la comicità italiana unica, che è la situazione non la battuta o il tormentone. Però bisognava restare dentro quei tempi, quindi non potevi sviluppare argomenti diversi da battute e tormentoni. “Sotto i 3 minuti non vale”. Vale sia per i comici che per il sesso, per me. Non conta”.

E invece in Rai avevate più tempo?

“Si sì”.



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