Dalla biografia di Carlo Nangeroni risalta la ricchezza di incontri e di eventi e come l’esposizione attuale di opere che gli viene dedicata fra gli anni dal 1982 e 2015 appaia nell’ampio arco del tempo, quella legata alla piena maturità. Le opere rientrano nella scelta del pittore, verso gli inizi degli anni Ottanta, di dedicarsi, diversamente che dall’olio, all’acrilico e all’acquerello.
Sin dalla nascita a New York nel 1922, il rientro in Italia nel 1944 a Milano, il rientro negli Stati Uniti alla fine del 1946, gli studi a Brera e il soggiorno da rifugiato in Svizzera, la sua esperienza appare intensa. In un ampio arco di tempo a New York vive il rinnovamento della pittura americana, conosce lo scultore Alexander Archipenko ed incontra artisti dell’Action Paintig, come Willem De kooning e Kline. Le frequentazioni non gli impediscono di guardare a Delaunay e al costruttivismo russo fino ad arrivare all’astrattismo e a dei “formati” rettangolari. Torna a Milano nel ’58 ed entra nelle opere l’eleganza delle bande in dialogo fra percorsi verticali, orizzontali e centripeti; quadri poeticamente geometrici fanno propria la frase di Licini, del 1935, citata da Nangeroni: “dimostreremo che la geometria può diventare sentimento e poesia”. La ripetizione, che si sviluppa e si moltiplica in forme geometriche, diventa rivelazione raffinatissima negli acquerelli, trasparenza cromatica di forme per luce in movimento negli acrilici. Nangeroni trova una nuova progettualità nel cerchio per la forma che crea adesioni, accetta variazioni, può stabilire delle connivenze con altri cerchi, aderire a linee su una traiettoria e che più avanti, per chiarezza di pensiero, muta in forme a semicerchio.