NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
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Anelante

Al Teatro Astra in scena il nuovo spettacolo del duo Rezza-Mastrella, ambientazione surreale e ritmo travolgente e pubblico sorpreso, coinvolto e soddisfatto

di Elena De Dominicis
elenadedominicis@virgilio.it

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Anelante

Anna Cappelli (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)@artiscenichecom

 

Questa settimana il Teatro Astra di Vicenza ha ospitato il duo Rezza-Mastrella in prima regionale registrando il tutto esaurito e lista d’attesa con il loro nuovo spettacolo “Anelante”. Questa volta Antonio Rezza non è più solo o con Ivan Bellavista a vivere gli ambienti creati da Flavia Mastrella, ma con altri attori: Enzo Di Norscia, Chiara Perrini e Manolo Muoio. Dei lavori precedenti rimane la cifra surreale e spiazzante e il ritmo travolgente, ma Rezza-Mastrella riescono a sorprendere con effetti nuovi, sia della gestione della scatola scenica con effetti ottici e un nuovo approccio del concetto di spazio vuoto e pieno, non solo fisico e visivo ma anche sonoro. Abbiamo incontrato Antonio Rezza dopo l’applauditissimo spettacolo.

 

In questo spettacolo avete sfruttato la scatola scenica attraverso delle linee che creano prospettive multiple che si intersecano tra loro, creando un ritmo visivo anche senza gli attori in scena. Questa cosa mi ha molto colpita.

Antonio Rezza: “Questa è opera di Flavia, adesso non si vedono bene i cieletti, ma quando i cieletti sono asimmetrici riprendono in modo speculare il disegno del pavimento, sono in alternanza tre bianchi e tre neri e riprendono il pavimento; non tutti i teatri riescono ad avere una graticcia alta abbastanza per fare questo disegno ma quando riesce è ancora più bello".

Questa volta in scena siete più persone. Queste linee che hanno un ritmo anche cromatico, che funzione hanno rispetto al movimento e al ritmo che create in scena voi con il corpo?

Anelante (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica)“Beh non ci siamo posti il problema, nel senso che abbiamo lavorato Flavia da fuori e io da dentro. Questi elementi sono fatti per essere smontati, cioè si potevano costruire tantissime forme. Flavia li realizza per sé poi li dà a me e io ci faccio quello che voglio, non sono riuscito a muoverli quindi è diventato un muro, uno sbarramento ideologico tra quello che eravamo e quello che diventeremo, cambiando come sempre il nostro stile. Quindi viene vissuto come muro".

Questi effetti ottici che sembra che si muovano anche loro tipo effetto optical, creano appunto questa prospettiva anamorfica. Per quanto riguarda ciò che viene detto in scena, quello che vediamo è influente su quello che sentiamo? Cioè: potreste dire le stesse cose in un altro ambiente?

“Non credo proprio: sono venute quelle cose perché c’è quell’ambiente lì e, viceversa, quell’ambiente sta bene con le cose che sono state dette. Io penso che è un tutt’uno, lo spettacolo. È chiaro che uno vede la parte visiva e del detto, però una volta che l’opera è finita ed è scientifica, tutto quello che è successo è successo perché quelle erano le condizioni".

Tu spesso parli del vostro teatro come di un teatro crudele. Diciamo che è un teatro che descrive le cose così come sono, completamente spogliate di qualsiasi rilettura sociale, formale…

“…Beh c’è una lettura sociale: non è la lettura sociale dei pezzenti che usano sul palco il linguaggio comune che dovrebbe usare la politica, però la lettura sociale c’è, è pieno".

Sì però non nel senso come lo intendiamo generalmente.

“Beh, dire che la pensione è una cazzata perché stai morendo è uno scavalcamento del problema pensionistico, quindi è una cosa sociale, cioè la società come dovrebbe essere: disperata perché muore non disperata perché la pensione è bassa, cioè un’altra società, non auspicabile".

Immagino che tu stesso debba spogliarti di pregiudizi, timori o paure. Quanto ti costa portare in scena una realtà che spesso è così disturbante in quanto reale e autentica?

“Mah, non c’è una questione di… no, non mi disturba, io sono felice di fare quello che poi esce fuori. Certo che è faticoso ma non ne farei un problema sulla fatica intellettuale perché è scavalcata dalla fatica fisica. È uno spettacolo dove se non mangi prima qualcosa, io stasera non ho mangiato niente e ho fatto una cazzata: lo sforzo fisico scavalca la volontà mentale".

La crudeltà che tirate fuori o che sfruttate per portare in scena ciò che spesso non vogliamo vedere, scava profondamente nell’animo umano e nel modo in cui si formalizza il rapporto tra le persone e la società. Non sono emozioni anche quelle che sfruttate voi per portare questo scavalcamento? Il modo in cui l’uomo vive nella società non è anche quella un’emozione?

“Non lo devi chiedere a me lo devi chiedere a lui. A me non me ne frega niente dell’uomo come vive, sarei scorretto: io penso a me, l’artista pensa a sé, non pensa alla realtà. Che facciamo? Mica siamo infermieri!”.

Però create un disagio: la gente ride.

“Certo, c’è un disagio".

Perché ci mostrate quello che è come non vorremmo vederlo.

“Va bene ma non è che lo faccio apposta, ci mancherebbe. Non ci interessa, perché l’arte deve essere autoreferenziale, così ognuno si vede quello che vuole e si diverte. È la massima forma di rispetto verso chi guarda il fatto che uno lavori per sé. A noi che ce ne frega degli altri? Perché? Sarebbe una forma di ipocrisia".

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