Per il gioiello non esiste a livello universale una definizione (Cappelletti). Gioiello come pelle, come superficie interpretabile all’infinito in un dialogo fra le tecniche, il colore, il volume, le strutture.
Il gioiello, in particolare la spilla, appare come espressione di preziosità e di luce nella mostra “Skin: la superficie del Gioiello” che vede la partecipazione di oltre 70 artisti e designer non solo nazionali. Nelle dimensioni ridotte rivela la complessità del rapporto tra pelle del gioiello e la ricerca che si sviluppa attorno al tema della superficie. Nel rapporto complesso tra pelle e gioiello, rivela sempre la curatrice, la pelle appartiene al corpo, e può essere grinzosa, segnata dal tempo o trasmettere innovazioni e sperimentazioni. Per i gioielli avviene che la ricerca indaghi con la tecnologia anche i materiali, spiega Tenuta, portati da mondi diversi da quello del gioiello, nell’esplorare l’artigianato del saper fare con le mani e nelle nuove tecniche delle stampanti 3D. Carla Riccoboni lavora sulle superfici quando trasferisce la tipica lavorazione meccanica vicentina della lastra metallica preziosa nelle Madreforme, mentre Sanae Asayama mescola la creta a particelle di platino e oro nella spilla a forma di “nido”. Altri gioielli mutano per metamorfosi, da superfici bidimensionali in tridimensionali quando linee e piani conquistano volume come avviene per la spilla in acrilico intarsiata con resina, oro giallo e tormalina di Robert Morris. La superficie può essere interpretata in spille anche per una storia come nel Coniglio, Ciao Luca di Patricia Posada, per una scrittura nella spilla di Francesca Villa, mentre la spilla di Barbara Uderzo, in ottone brunito e acciaio, filtra una luminosità in transito resa più sensibile per il contrasto fra luce e oscurità generata dal tessuto poroso del gioiello.
Mostra a cura Alba Cappelliera e Livia Tenuta.