NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
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Acque di Terraferma: il Vicentino

Curato dalla vicentina Sandra Vantini in coppia con Lucia Masotti, il libro mette a confronto carte storiche e relazioni dei tecnici del passato con il territorio attuale, le sue prospettive, i suoi problemi

di Alessandro Scandale
a.scandale@gmail.com

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Acque di Terraferma: il Vicentino

Nell’autunno 2010 la città di Vicenza divenne il simbolo di una esondazione che avrebbe interessato molti centri abitati, per una estensione di circa 140 chilometri quadrati. A seguito di questi eventi, la Regione Veneto ha deciso di intraprendere, insieme ai geografi dell’Università di Verona, una indagine che chiarisse le vicende dei territori che avrebbero potuto essere destinati ad area di laminazione. L’editore Marsilio ha così pubblicato Acque di Terraferma – il Vicentino, primo di una serie di volumi che si occupano del tema ed esplorano le dinamiche che nei secoli hanno segnato il rapporto tra comunità e fiumi, tra montagna e città, tra Terraferma e Serenissima, fino ai primi decenni del ventesimo secolo. Curato dalla vicentina Sandra Vantini in coppia con Lucia Masotti, il libro mette a confronto carte storiche e relazioni dei tecnici del passato con il territorio attuale, le sue prospettive, i suoi problemi. Oggi sono gli stessi esperti del settore a ricordarci che troppo spesso le cosiddette catastrofi naturali sono il prodotto dell’incuria degli uomini e di vere e proprie devastazioni ambientali i cui danni si rivelano solo nel corso del tempo. Il ripetersi, nel corso dei secoli, degli stessi fenomeni nei medesimi luoghi è sicuramente un elemento su cui riflettere. In molti luoghi è ancora vivo il ricordo dell’alluvione del 1882, la prima del Veneto post unitario, che dopo aver investito Verona e Vicenza, ha portato all’arginatura dell’Adige. Viva nella memoria dei più anziani è ancor più l’alluvione del Polesine del 1951, che costrinse migliaia di persone all’emigrazione dalle loro terre, o quella del 1966 che investì molti territori del Veneto, oltre alla valle dell’Arno, in Toscana.

Acque di Terraferma: il Vicentino (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)In queste pagine - scrivono le autrici nelle note introduttive al volume - si descrive una collaborazione tra enti e accademia e intende offrire una lettura articolata di un territorio per il quale, a seguito delle esondazioni del 2010, si cercano soluzioni per la messa in sicurezza. La suddivisione per ambiti provinciali, che determina l’articolazione dell’opera in tre volumi – Il Vicentino, Il Padovano, Il Veronese – è stata considerata utile a un avvicinamento ai cittadini, la cui percezione dello spazio vissuto più spesso si richiama alle partizioni amministrative piuttosto che a quelle geografiche. La riflessione parte dagli approfondimenti scientifici di ambito geografico e archeologico necessari alla fase di progettazione preliminare, intesi quali letture non tanto e non solo delle aree direttamente interessate dalle opere di laminazione, quanto delle regioni fluviali nelle quali i singoli territori vanno contestualizzati per intenderne l’evoluzione e la funzione. A tale impostazione scientifica hanno aderito, con sensibilità e impegno, dirigenti e tecnici della Regione coinvolti nella ricerca di interesse comune.

L’alluvione dell’autunno 2010 ha segnato gran parte del territorio della Regione e messo a durissima prova centinaia di persone, rendendo le istituzioni regionali, responsabili della difesa del territorio dal rischio idrogeologico, ulteriormente consapevoli della necessità di mettere rapidamente in opera interventi strategici in grado di ridurre al minimo il pericolo di nuove inondazioni - scrive nella premessa Tiziano Pinato, direttore del Dipartimento Difesa del Suolo e Foreste della Regione del Veneto - . La domanda a cui necessariamente si è dovuto dare con urgenza una risposta è stata: come gestire in sicurezza i volumi d’acqua che i nostri fiumi, in occasione di precipitazioni particolarmente intense, non sono in grado di convogliare? La Regione ha risposto a questa domanda promuovendo con i mezzi a propria disposizione, la realizzazione di una serie di bacini di laminazione delle piene (uno dei quali in fase di ultimazione a Caldogno, ndr) . La scelta di questa tipologia di intervento strutturale per la mitigazione del rischio idraulico è stata una scelta «obbligata» da eventi meteo avversi sempre più frequenti e da una trasformazione del territorio che nel passato ha troppo spesso dimenticato di considerare, in maniera appropriata, gli impatti sulle dinamiche dei corsi d’acqua, fortunatamente numerosi, nella nostra regione. Considerata l’importanza di queste opere, sia in termini di funzionalità che di dimensioni fisiche – si pensi che la superficie occupata da un bacino di espansione è dell’ordine delle decine di ettari – si è voluto, già in fase di programmazione delle attività di progettazione preliminare, indagare sull’evoluzione storico-geografica dei diversi siti proposti per la realizzazione dei nuovi bacini di invaso. Con il prezioso contributo del Dipartimento Tempo Spazio Immagine Società dell’Università degli Studi di Verona, è stata indagata un’area complessiva di oltre 53 km2 nelle provincie di Vicenza, Padova e Verona. Questo studio dell’evoluzione del territorio negli ultimi 500 anni ha fornito importanti e a volte inaspettati elementi a supporto della scelta delle aree più idonee alla realizzazione delle opere di invaso. Abbiamo raccolto in questo primo volume, grazie al contributo dell’Associazione degli Industriali di Vicenza, le risultanze degli studi sviluppati nel territorio vicentino.

L’occasione di questa ricerca - scrive Gian Paolo Romagnani, direttore del Dipartimento Tesis - è stata fornita da una serie di eventi eccezionali come le gravi alluvioni ed esondazioni che nel 2010 hanno investito gran parte del Veneto danneggiando territori, campagne, paesi e città, in particolare nel Vicentino, fra Astico, Tesina, Brenta e Bacchiglione. Da questi eventi, superata la drammatica emergenza, è nata l’idea di una stretta collaborazione fra Regione e Università che consentisse di affrontare nel medio periodo, grazie a una più approfondita conoscenza del passato, una più adeguata progettazione territoriale per la mitigazione del rischio idraulico. La collaborazione fra competenze diverse ha dimostrato come spesso le migliori risposte ai problemi dell’oggi si possano trovare grazie a un’appropriata indagine geografica, storica e archeologica che, a partire dai documenti del passato conservati negli archivi, ricomponga le vicende di un territorio unendone

i diversi tasselli che, se tenuti separati, renderebbero illeggibile la storia che costituisce una delle caratteristiche peculiari del nostro Paese. Per secoli, infatti, il regime delle acque è stato al centro delle oculate politiche governative della Repubblica di Venezia e poi del Regno Lombardo Veneto, fino all’unità d’Italia. Nel corso del tempo si sono accumulati saperi e conoscenze, prodotti documenti, elaborati progetti, tracciate e conservate mappe e carte assai sofisticate. Sapere che problemi analoghi erano già stati affrontati nel passato e conoscere le risposte che i nostri predecessori avevano individuato ci può consentire oggi di operare con maggior consapevolezza e

responsabilità, evitando di ripetere errori. In tempi recenti, purtroppo, si è in parte attenuata l’attenzione per il passato, come se la ricerca storica e archivistica fosse cosa da museo da lasciare ai cultori delle memorie patrie. In realtà solo uno sguardo denso e ricco consente di affrontare nell’oggi, sostenuti dalle più sofisticate tecnologie, politiche più consapevoli, in grado di evitare devastazioni mediante analisi attente e interdisciplinari. La scoperta di bacini di laminazione attivi nel passato e poi abbandonati, consentirebbe, ad esempio, un loro riutilizzo in forme nuove e appropriate alle esigenze dell’oggi. Una migliore conoscenza del nostro territorio in tutte le sue stratificazioni è la sola via per conservare al meglio e valorizzare quel bene prezioso che è l’ambiente che ci circonda e nel quale ci troviamo a vivere.

A Sandra Vantini, coautrice del volume, abbiamo rivolto alcune domande.



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