NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
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Il mio 25 aprile

di Mario Giulianati

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Il mio 25 aprile

Si sono svolte anche quest’anno le commemorazioni legate al 25 aprile. Un 25 aprile che ha compiuto il suo 71° anniversario che però ancora non riesce ad affidare alla storia gli avvenimenti che l’hanno generato e alla memoria di ognuno il sentimento che lo ha fatto nascere. Con quello che significa per quanti si sentono ancora coinvolti e per ognuno di questi quale insegnamento ha costruito entro il suo animo. Personalmente, con tristezza, giorno dopo giorno trovo che ancora oggi tanta gioventù, ma non solo i giovani, in tante parti del mondo, in tante guerre di ogni genere, nella nostra Italia dove si è riaffacciato il terrorismo, la novella barbarie, troppe bellissime vite bruciano nel rogo della follia umana. Oggi registriamo ancora una volta che per molti la vita umana non ha alcun valore. E nel ricordare l’anniversario della fina del grande conflitto, il 25 aprile del 1945, ci soffermiamo sui ricordi, ci confrontiamo e ci scontriamo sulle valutazioni e non ci chiediamo se era questo l’obbiettivo a cui aspiravano i padri e i fratelli caduti.

Il mio 25 aprile (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Non credo che basti ricordare con belle parole i nostri morti, cantare le canzoni di guerra e rinnovare giuramenti purtroppo assai spesso disattesi, per compiere onorevolmente il nostro dovere di eredi. Non credo che basti rammentarli così come facciamo, pur lodevolmente, per rendere onore alla loro memoria e al loro sacrificio. Non credo che tutto quello che è accaduto più di settanta anni or sono sia stato fatto, e pagato assai caro, solo per dare a noi una lunga stagione di pace, la libertà, la democrazia. Sono convinto che tutti i nostri morti ci abbiano impegnato in un patto d’onore che ci obbliga ad onorarlo combattendo la nuova barbarie, affermando la supremazia del vivere civile, del senso della giustizia, la supremazia di una società costruita per la vita e non per la morte. Temo che non abbiamo sempre rispettato questo impegno. Ma se riteniamo che la Resistenza sia qualche cosa di più di una battaglia con le armi in pugno, allora dovremmo convenire che essa fu una battaglia per la democrazia, un cambiamento epocale nella storia della nostra Patria. Ma un cambiamento che per essere tale e duraturo, una volta conclusa la lotta armata, tutto un popolo, o almeno la stragrande parte degli italiani, a qualsiasi credo politico si affidassero, dovevano, e fu fatto, diventarne i protagonisti. La conquista della democrazia, seppur generata da un particolare avvenimento, pagato con un tributo enorme di vite umane, di sacrifici, di distruzioni, fatto di lotte anche terribili, ma anche di errori e orrori, non poteva diventare un patrimonio comune di tutto un popolo se questo popolo non lo esige e se nel pretenderlo non lo costruisce quotidianamente, faticosamente anche, ma con determinazione e volontà politica e culturale.

In questi decenni, durante i quali si intrecciarono momenti di straordinaria solidarietà popolare e di avvenimenti terribili, quali i vecchi e i nuovi terrorismi, le crisi economiche e quelle dei valori fondamentali di una società civile, anche con contrapposizioni politiche e ideologiche, comunque il sentimento democratico ha messo radici e ha costruito l’impalcatura della identità democratica del nostro Paese. Un Paese, una Patria che hanno ora il dovere di completare questo disegno di libertà, di democrazia, di giustizia, di solidarietà. Spesso, in questi anni, specie nel mondo della scuola ma non solo, è stata calata una cortina di silenzi, che non servono affatto a far crescere la coscienza nazionale, il reciproco rispetto e la conoscenza collettiva, chiara e trasparente, la più oggettiva possibile che è ciò che consente il superamento cosciente delle divisioni, la crescita culturale, morale, etica di tutto il Paese. Ritengo che la conclusione della guerra civile, che il 25 aprile 1945, al di la di ogni steccato politico e ideologico, fu l’irrompere sulla scena politica italiana della gente, di tutto un popolo, di quei tanti italiani, generazioni di italiani che furono, per motivi diversi e nelle più diverse maniere, penso al voto dato solo dopo la guerra alle donne, tenuti praticamente lontani dalla possibilità di incidere sulle scelte riguardanti il nostro Paese. Finalmente una amplissima parte dei cittadini poterono essere partecipi di due grandi avvenimenti: la nascita della Repubblica e la sottoscrizione della Magna Carta, la Costituzione. Ma con il tempo tutti ne divennero protagonisti. Quello che ora, in questi anni, in queste circostanze, nelle commemorazioni, dovremmo fare è il chiederci se abbiamo saputo utilizzare al meglio lo strumento della democrazia per dare uno sviluppo saggio all’Italia, per combattere la miseria morale, culturale, economica di tanti, per eliminare le sacche di povertà, per far sì che tutti potessero godere del comune benessere, dare al Paese una dimensione moderna, combattere efficacemente la bramosia di pochi, la corruzione e l’indifferenza verso i deboli. Tutto il resto dovremmo veramente affidarlo alla storia e indirizzare le nostre energie nel rispettare l’impegno d’onore.

 

nr. 16 anno XXI del 30 aprile 2016

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