NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
google
  • Newsletter Iscriviti!
 
 

Musica, dialogo tra le culture

Intervista al maestro Giovanni Battista Rigon direttore artistico delle “Settimane Musicali al teatro Olimpico”

di Elena De Dominicis
elenadedominicis@virgilio.it

facebookStampa la pagina invia la pagina

Petite Messe Solennelle

Anna Cappelli (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)@artiscenichecom

 

Petite Messe Solennelle (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)È in corso al Teatro Olimpico la rassegna di musica classica “Settimane Musicali al Teatro Olimpico” giunta alla XXV edizione. Questa settimana è andato in scena il concerto “Petite Messe Solennelle” di Gioacchino Rossini, nella versione originale per 12 voci soliste. Abbiamo parlato con il direttore artistico della rassegna M° Giovanni Battista Rigon, che ha diretto il concerto di Rossini e l’opera lirica di quest’anno, “Le nozze di Figaro” di Mozart e Da Ponte.

 

La Petite Messe Solennelle è del 1863, è pieno Romanticismo, però in alcuni movimenti ci sono degli elementi davvero contemporanei, addirittura sembra di sentire un ragtime. Nel ‘700 è l’area ottomana a ispirare in grandi musicisti, Mozart in primis: quali sono le influenze folkloriche di questo periodo storico che hanno incuriosito di più Rossini?

Giovanni Battista Rigon: “Qui c’è un po’ tutto perché l’ultimo Rossini è modernissimo, esteticamente sembra Satie, Parigi 1925: questo distacco e laicismo di osservare le cose da fuori, ironico, ci sta che abbia questo ritmo così giocoso che ritroveremo in Satie. Attraversa il periodo romantico ma in realtà ne rimane al di fuori: era un conservatore nonostante fosse figlio di un rivoluzionario, sarà che col successo era entrato subito in contatto coi potenti quindi il suo mondo era un po’ quello, ha un atteggiamento distaccato e autoironico: nelle annotazioni della partitura autografa, quando parla dei cherubini, dei tre sessi dei cantori dice che nell’Ultima Cena c’è chi canta fuori dal coro, si riferisce a Giuda, e spera che nessuno stoni, alla fine la dedica a Dio, dice che ha scritto una piccola messa, e che lo faccia andare in Paradiso. Nella messa però c’è anche tantissimo di antico, all’inizio sembra di sentire Monteverdi o Gesualdo, questa è la cosa meravigliosa, è un capolavoro fuori dal tempo".

Lui parla dei tre sessi nelle voci.

Petite Messe Solennelle (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)“Si riferisce ai castrati, che nel ‘700 erano dei veri e propri divi. Questi bambini, come tanti musicisti, venivano su in orfanotrofio, i conservatori di musica napoletani o gli ospedali veneziani si chiamano così per quello, e a quelli particolarmente bravi gli facevano questa operazione così mantenevano la vocalità dei bambini con la cassa toracica degli adulti. Una curiosità: le uniche registrazioni di un castrato che esistono sono del 1902, l’ultimo castrato della Cappella Pontificia, perché in Vaticano sono rimasti anche nell’800 perché le donne non potevano cantare in chiesa e tra i piccoli pezzi che lui canta c’è anche il “Crucifixus” della Petite Messe Solennelle. Sicuramente Rossini era molto affezionato ai castrati, anche se in realtà non ha più scritto perché sono spariti, mi pare che solo “Aureliano in Palmira” sia stato scritto con protagonista castrato e anche il fatto stesso di avere dei ruoli en travesti come Tancredi, con questi contralti con personaggio maschile e voce femminile, probabilmente fanno pensare alla figura del castrato".

E le influenze folkloriche? È il periodo in cui gli Stati Uniti cominciano ad avere un peso politico perché c’è il mercato degli schiavi e un flusso di gente. Chiaramente non era così semplice raggiungere gli USA però può essere che qualche musica etnica girasse perché gli africani partivano e si fermavano nel Sud Europa".

“Non ho mai rilevato così precisamente, ma può essere sicuramente questo: la musica popolare è sempre stata una fonte primaria per la musica colta, ogni volta che la musica colta vuole scollarsi di dosso l’accademia per trovare un suo spirito più vero, si va a riferire a qualcosa di popolare. Questo vale per Tchaikovsky, dopo nel ‘900 per Ravel, Bartok e il suo lavoro sui canti contadini slavi, ma anche nella musica italiana, c’è sempre questa che non chiamerei contaminazione. È chiaro che quello che si sente a livello di popolo, cioè quello che la musica veramente significa nella vita di tutti, viene in qualche modo preso e rielaborato in qualcosa di colto. Sicuramente c’è sempre un riferimento a un immaginario folkloristico musicale forte: non dimentichiamo che l’opera lirica e il contesto in cui lavoravano i musicisti era un tutto, non c’erano a radio e il cinema e l’opera era lo spettacolo per eccellenza per cui doveva assumere un po’ tutto l’immaginario di un mondo, non soltanto nella musica ma anche nei personaggi e nella drammaturgia".

Questo lavoro rossiniano risente ancora di influenze settecentesche: quand’è che l’ ‘800 abbandona completamente l’influenza del secolo precedente?

“Non vedo tante influenze settecentesche quanto una linea continua che riguarda la musica sacra, a parte l’influsso tedesco, c’è tutta una linea italiana: lo stesso Mozart, quando viene a Bologna e fa l’esame per essere ammesso, si rifà a una scuola contrappuntistica italiana, che è quella che poi sottende a questa linea continua che rimane nella musica sacra che ha una radice più lontana, qui in Italia, coi madrigalisti del ‘500. È un linguaggio che i compositori coltivano, una specie di enclave semantica che poi viene utilizzata anche in altri generi: se tu pensi a “Il Flauto magico”, la comparsa dei due armigeri ha uno stile arcaico che dà proprio un senso di sacralità".

Però la messa sua Messa da Requiem è già romantica per cui forse abbandona queste cose più antiche.

“Coesistono".



continua »

Come installare l'app
nel tuo smartphone
o tablet

Guarda il video per
Android    Apple® IOS®
- P.I. 01261960247
Engineered SITEngine by Telemar