Il tema è racchiuso nel titolo Il segno e il paesaggio -utopia della scrittura che caratterizza in Palazzo Fogazzaro l’esposizione di opere a partire dalla scrittura, dai suoni ai segni, dalle pitture alle sculture ed ancora alle fotografie fino a far coincidere, spiega Paolo Donini, direttore artistico, “Il paesaggio con l'impronta degli atti materiali che lo connotano e lo hanno attraversato", "ed emerge come aspirazione degli atti immateriali, progetti e sogni che lo abitano o lo hanno abitato…”. Le possibilità evocatrici rappresentate dai lavori, acquistano eloquenza in quanto segni resi dal tempo e dall’uomo. Già un esempio visibile arriva da Nanni Menetti che lascia al gelo il compito di suggerire un paesaggio in percorsi cristallizzati (crio-grafie) resi da casuali tratti ghiacciati. Il gelo reso traccia, segno, trama ed immagine, recupera dalla memoria fantasiosi scenari naturali ibernati in superfici rese vetrificate dal freddo. La memoria dell’uomo viene dai sottili rami di alcuni legni di Angelo Urbani, ricchi di un’energia ceduta alla fusione di bronzo; corpi filiformi, consumati per il loro andare sul richiamo della quotidianità. Ancora un modo di interpretare il paesaggio lo si deve agli acquerelli di Lorenzo Barani, che, attraverso il segno, traccia una propria interpretazione del paesaggio, inteso da territorio della mente e della meditazione, toccato dal colore in spazi definiti, percosso talvolta, dal rapido transito di grafie. Simili all’eco di una veduta, i segni della poesia verbo visuale di Armando Bertollo entrano in fusione con le parole sparse che creano una relazione tra il linguaggio poetico e la vista dove “il monte si fa parola, la linea dell’orizzonte suggerisce un’utopia alfabetica…”.
Anche in Paolo Lucato il paesaggio liberato dal segno fotografico sconfina in immagini inattese, sull’intento creativo suggerito da una finalità ideativa. Inoltre il paesaggio di Giuliano Dal Molin trova la sua dimensione poetica ricomposta negli elementi verticali dove il protagonismo del colore e della luce nell’intrinseco ritmo li trasforma; come un richiamo allo sguardo viene sulla distesa a terra delle opere di Anna Boschi per la sorpresa di un legame con le lastre di un cimitero, paesaggio della memoria, luogo di identità e di collettività, forte invito alla riflessione sul veloce transito della vita; mentre Renato Cogo piega l’arte poetica alle proprietà del “linguaggio” del video, sottraendolo alla sua prerogativa, nell’ accogliere la lettura sulla bellezza del paesaggio fluviale, scrive l’autore, realizzando la mimesi tra la parola e la realtà. Così i segni, prosegue, scritti dal poeta e letti ad alta voce, consentono al cosmo di emergere simile ad un dialogo tra l’io e il tutto. A sua volta Sergio Zanone deposita in tessuti batik segni, macchie e colori uniti dalla luce per arrivare a evolverli in presenze. Altri interventi vengono da Lorenzo Barani, Renata Berti, Flavio Ermini, Giorgio Fiorenzato, Angelo Gentile, Stefano Guglielmin, Antonio Noia, Ida Travi; tutti interpretano l’”ambiente” reso da scritture, voci, suoni, segni, pitture, sculture, fotografie, video e installazioni.