Anna Fabris trasforma la materia della canapa, della corda tirata, sfibrata, arrotolata, dipinta, in un organismo vitale, perfetto per entrare in unità con il dipinto. Ugualmente, altri materiali, dal vetro alla ceramica, conservano al loro interno un senso di sorprendente evidenza trattenuto nella materia.

L’energia della corda entra nell’opera in qualità di struttura integrata, ed allungata sulla superficie del quadro assumendo il valore di un segno rosso che circonda oscuri nuclei, dei gorghi, depositi di esperienze vissute, per quindi scivolare nervosamente nello spazio color vermiglio. Il fine “meditato” di Fabris in rapporto alla materia interpretata, trasformata ed arricchita di vitalità espressiva, era già stato posto in risalto negli anni scorsi da Giorgio Segato. In effetti, in questi lavori da considerare più simili a sculture da parete, il color rosso e nero appartengono all’esplosivo modo di esprimersi di Fabris anche se, in altre opere, l’attenzione rivolta alla figura umana nel cromatismo marezzato di trattenuti grigi, neri e bianchi, trasporta le immagini nel mondo del silenzio.

Forse è il tema della solitudine che pone a confronto le diverse opere e conduce lo spettatore alla sosta, quando subentra un legame nel dialogo tra la pittura e la scultura di figure di vetro tra loro isolate ed in cammino, disposte sul pavimento. Le ripetute figure identiche, rappresentano, ed è complice l’unica dimensione, un’umanità omogenea in una marcia quotidiana. Solo una scultura evidenzia con la diversità cromatica il suo stato, la distanza del gruppo dall’ “io” che lo distingue. Fabris ha partecipato a numerose rassegne nazionali ed ha esposto a New York, al Bulkie Museum of Art and Science, nel 2000, alla Uma Galery nel 2000 e 2005, al Gran Caffé Italiano Crestanello nel 2005, e nello stesso anno a Padova, alla Sala Samonà della Banca d’Italia.