NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
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Moni Ovadia, le rovine di Delfi
e la volgarità dei turisti

Lo spettacolo al teatro Olimpico

di Elena De Dominicis
elenadedominicis@virgilio.it

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Delfi cantata

Anna Cappelli (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)@artiscenichecom

 

Delfi cantata (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Si è concluso questa settimana il festival “Conversazioni- il teatro e le Arti- LXIX ciclo di spettacoli classici al Teatro Olimpico e alla Basilica Palladiana” con l’applauditissimo spettacolo “Delfi cantata” di Moni Ovadia e Studio Azzurro in un nuovo allestimento ideato per il Teatro Olimpico.

Delfi cantata (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Tratta dal poema di Yannis Ritsos, l’opera racconta del vecchio custode delle rovine di Delfi che si lamenta con un collega giovane di quanto sia esasperato dalla noncuranza e dalla volgarità dei turisti.

La pièce è divisa in due parti: la prima dominata da una performance di danza con due ballerini la cui coreografia, fortemente ispirata alle statue classiche, viene eseguita aderendo al suono di rocce che si rompono e che si sgretolano e la seconda parte, dedicata alla narrazione (in greco e italiano) e al canto, interpretata da Moni Ovadia. Studio Azzurro, uno dei collettivi più famosi di arte visuale contemporanea, ha caratterizzato l’allestimento coprendo la prospettiva dello Scamozzi con dei pannelli semitrasparenti sui quali sono stati proiettati dei video ma che hanno permesso un effetto quasi stereoscopico delle immagini sfruttando la struttura prospettica retrostante.

 

Un testo in un’altra lingua, senza sottotitoli, non crea distacco?

Delfi cantata (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Moni Ovadia: “Non c’è una sola parola del greco che non sia detta anche in italiano. Una è la lingua del significato, l’altra è la lingua del senso. Una lingua è fatta di due cose: significato e suono, solo allora il senso è compiuto. Lei crede che ascoltare Dante in inglese sia la stessa cosa? La stessa cosa in greco. Uno che pensa di aver ascoltato Pushkin in italiano è pazzo da legare, conosco il russo e posso dirlo. Faccio queste cose anche fuori dall’Italia e il mio invito al pubblico è prendere in carico questa consapevolezza: il suono di una lingua non è un accessorio ma è fondamentale. Io faccio questa cosa, il significato ti arriva, poi ti dico: adesso abbandonati al suono, l’emozione, il sentimento. Le racconto un episodio. Sono salito sul palco professionalmente che avevo 15 anni, ne ho70: ho visto un solo spettacolo che ha provocato tafferugli di piazza, 300 posti e migliaia di persone che volevano vederlo, la gente si è picchiata, è intervenuta la polizia, due volte, a Milano e a Cagliari. Uno spettacolo tutto in polacco di un genio della storia del teatro mondiale, Tadeusz Kantor, e le migliaia di persone che volevano entrare non erano polacchi ma italiani. C’è un grande equivoco: che il teatro sia analisi logica. Io non vado mai a teatro per sentire un testo, se voglio capire un testo me lo leggo, non ho bisogno di un teatro. Il teatro è suono, gesto, luce, costume, movimento, canto, voce. Questo è il teatro. Ho fatto questo spettacolo con pubblici greci, italiani, francesi, sostituisco la lingua della comprensione, non ho mai avuto problemi. Lei ha visto la reazione del pubblico”.

Certo, molto contenti. Ha fatto l’inizio dello spettacolo in giardino.

“Sì questo prologo era proprio perché l’Olimpico è un teatro con una struttura molto particolare e volevo dare al pubblico una sorta di benvenuto, poi lo abbiamo ripetuto perché il poema è integro anche un po’ per graduare la struttura molto particolare di questo teatro con l’ingresso del pubblico”.

Il prologo tra le statue reali, fisiche, e poi dentro vediamo delle foto di statue.

“Questo poema parla del custode di un grande luogo monumentale, della bellezza costruita dall’uomo, che si rende conto che il turismo sta distruggendo tutto: ascoltano ma non sentono, guardano ma non vedono. Lui in questo sente la sofferenza delle statue, come se fossero ferite da questa cosa. Le statue sono pietre elaborate dall’arte dell’uomo ma in quella forma ci sono le mani degli uomini, non sono materia inerte, sono materia che ha assorbito l’arte e le mani innamorate, come dice il testo, che hanno plasmato la bellezza”.

Il rapporto tra statua reale e statua mediata…

“…fotografia, filmata”.

Esattamente: oggi possiamo fruire di questo. Il messaggio arriva lo stesso?

“Il problema di come noi ci rapportiamo alla bellezza che abbiamo ereditato, dipende dalla nostra educazione. La grande massa di turisti della globalizzazione non sa niente di quello che vede, va perché si va, vado a Venezia, poi Atene poi New York. Il viaggiatore vuole conoscere e per conoscere si prepara un viaggio, ha letto, ha studiato, ha pensato; può viaggiare da solo poi chissà dopo quanto tempo lo racconta. Il turista vuole portarsi le foto nel cellulare, va per dire che è andato. Noi non abbiamo più lo spazio del viaggio, è stato cortocircuitato: i grandi viaggiatori per arrivare in un posto ci mettevano mesi e in quel frattempo tu vivevi un’esperienza straordinaria con te stesso e nella relazione con il luogo e la gente. Io ho studiato la poesia neoellenica, la cultura greca e parlo correntemente il neoellenico e quando vado lì sono in relazione con i luoghi e le persone. Il turista che sa dire al massimo parakalò, cosa vede? Cosa sa?”.

Però non si possono sapere tutte le lingue del mondo.

“Molto giusta l’osservazione. Secondo me si sceglie e si va dove si ha scelto, perché non ha senso la bulimia vedo tutto ma non vedo niente, che senso ha, mi dica? Io voglio veramente avere una relazione, allora faccio delle selezioni: parlo 8 lingue, vado nei posti solo se ho una ragione per andare. Sono nato in Bulgaria e sono arrivato a Milano all’età di 3 anni. Sono entrato per la prima volta nel Duomo di Milano a 60 anni perché dovevo fare un recital, prima non avevo avuto occasione di andarci. Poco dopo ci sarei entrato per i funerali del Cardinal Martini: sono ebreo non credente ma Martini è stato anche il mio cardinale, come cittadino di Milano. Sono andato per rendere omaggio al mio cardinale, non per dire “Oh bello!”, “Oh cathedral!” e via: che roba è? Adesso poi, poveri turisti, seguono uno straccetto su un bastoncino…”.

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