NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
google
  • Newsletter Iscriviti!
 
 

La paranza dei bambini

In scena al Teatro Remondini di Bassano del Grappa

di Elena De Dominicis
elenadedominicis@virgilio.it

facebookStampa la pagina invia la pagina

La paranza dei bambini

Anna Cappelli (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)@artiscenichecom



La paranza dei bambini (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Questa settimana al Teatro Remondini di Bassano del Grappa è andata inscena la pièce “La paranza dei bambini” tratta dal romanzo di Roberto Saviano che ne firma la drammaturgia insieme al regista Mario Gelardi, come già successe per la versione teatrale di Gomorra, che diede il via al fenomeno mediatico e di cui ci occupammo su “La domenica di Vicenza” nel numero del 21 marzo 2009. La paranza è la pesca a strascico dei pesci così piccoli che possono essere cucinati solo fritti, e i pesci piccoli sono quei ragazzini con soprannomi buffi come Briatò, Dentino, Drone, Dumbo che delinquono in gruppo,le paranze, sognando di essere dei boss con una freddezza che li porta a sparare anche a viso aperto per farsi riconoscere come se fosse una prova di coraggio. Abbiamo incontrato Ivan Castiglione, che interpreta vari personaggi, già protagonista della versione teatrale di Gomorra e Riccardo Ciccarelli, della compagnia del NTS Nuovo Teatro Sanità diretto da Mario Gelardi, che interpreta Nicolas “Marajà” il baby boss della paranza.

La struttura scenica è molto sobria ma mentre l’altra volta si vedeva un impianto urbano che poteva essere qualsiasi città, qua vediamo che i ragazzi saltano sui tetti, fanno un po’ di parkour. A Napoli non ci sono questi tetti spioventi, ci sono le terrazze. Cosa rappresentano?

Riccardo Ciccarelli: “In realtà la periferia di Napoli è fatta tutta di villette; l’idea era quella di creare un ambiente che fosse più somigliante a una gabbia in cui gli attori potessero muoversi come animali proprio come i pesci che vengono presi in questa rete. Quindi questo parallelo, questo essere animale e cercare la luce, riuscire a salire sul punto più alto, sempre in luoghi isolati e in solitudine, come i pesci che provano ad andare verso l’alto ma alla fine finiscono all’inferno”.

Mentre in Gomorra c’era una struttura piramidale eclatante, industriale, qua veramente sono la paranza, la pesca a strascico: vogliono diventare il top ma non è che diventano El Chapo.

Ivan Castiglione: “Sono passati 10 anni da Gomorra, era una città in costruzione, si parlava di business enormi fatti da rifiuti tossici immersi sotto le terre, parlavamo di una camorra più adulta. Qua parliamo di una paranza di giovanissimi, del fenomeno delle baby gang napoletane. Qui è tutto molto essenziale ma quello che arricchisce è la modernità di questi costumi quasi fumettistici, queste luci molto colorate”.

Assassin’s Creed

R.C.: “Esatto”.

Poi ci sono questi momenti coreografati, quasi da “crew” di street dance. Come mai Mario ha scelto questo linguaggio?

R.C.: “Già quando sentiamo o leggiamo questi nomi: è un mondo che appartiene ai giovani. Il parkour 10 anni fa non esisteva in Italia,non esisteva Assassin’s Creed, la cultura di oggigiorno, dei fumetti della Marvel, Frank Miller ( Sin City ndr) . Adesso c’è più attenzione per queste cose perché c’è internet ed è proprio questo che fa la differenza: 10 anni fa c’era bisogno di raccontare le dinamiche criminali,adesso quelle di questi adolescenti che vengono da genitori che sono in crisi, perché la vera crisi generazionale è quella dei genitori, che hanno figli senza punti di riferimento che cercano ovunque, nel fumetto, nel voler diventare un supereroe ma alla fine è una guerra di poveri in cui nessuno vince e gli unici che sono davvero delle vittime sono questi ragazzi: chi spara e chi viene sparato”.

A me pare che questi vogliano essere un po’ dei chiattilli (i ragazzi dell’alta borghesia e nobiltà napoletane ndr) ma non ce la fanno. ‘o Marajà va a Posillipo nei locali chic però gli altri stanno a guardare.

I.C.: “Napoli è sempre stata caratterizzata da questa forte commistione tra le zone “bene” e quelle adiacenti, molto popolari. È vero, Marajà entra nel locale con Copacabana ma hanno una mentalità criminale, che appartiene a quel tipo di estrazione, di emergere, diventare dei boss giovani. È un’ambizione cosciente, matura: Marajà non è un ragazzino che vuole giocare a fare il capetto, è un capo vero e proprio, ha un’ambizione di comando. Il fenomeno delle baby gang è una cosa spaventosa: le interviste fatte ai ragazzi veri, sono persone adulte consapevoli del loro essere, dove vogliono arrivare e se ci arrivano, bene, se muoiono, bene. Questo è Marajà”.

È una cosa radicata e sedimentata, come in tutte quelle città che hanno una realtà di gioventù delinquenziale che però chi non la conosce forse fa un po’ fatica a capire.

R.C.: “Chi fatica a capire una realtà del genere ha gli occhi chiusi e se ha un figlio teenager vuol dire che non sta seguendo suo figlio come dovrebbe”.

La paranza dei bambini (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Ma non è culturale?

R.C.: “È assolutamente culturale ma in America vanno a scuola e sparano, ragazzi ai ragazzi. È la stessa roba: lasciati senza futuro, a se stessi nella solitudine più totale da parte dello Stato, delle famiglie, delle istituzioni che dovrebbero proteggerli, degli adulti che dovrebbero accompagnarli nel mondo”.

I.C.: “L’idea di un abbandono verso una generazione giovanile c’è ovunque, sicuramente il tessuto camorristico a Napoli è forte però l’incapacità di comunicare con le nuove generazioni senza dare degli appigli è una cosa comune e questo la rende una storia universale: in America sparano, altri fanno i bulli a scuola, ognuno fa le sue ma c’è chiaramente un problema di comunicazione verso i teenagers”.

Quando si parla di Napoli e di cultura napoletana c’è sempre una grande presenza, anche immateriale, della femminilità: Napoli è una città femminile. Qui l’unico tratto femminile è il boss Don Vittorio, non ci sono donne. Che Napoli è, questa, senza le donne?

I.C.: “In “Gomorra” c’erano dei capitoli, sulle donne di camorra, molto interessanti ma facemmo una scelta proprio per non poter raccontare tutto. Qui le donne sono molto evocate, Nicolas parla sempre della madre, per questo in Gomorra non me la facevi la domanda, qui me la fai perché questa loro assenza in realtà è una presenza”.

Ma forse anche perché in mezzo c’è stata Donna Scianèl, un personaggio nuovo. Se ne è sempre parlato, c’è stata anche la canzone “Femmena boss” (canzone del cantautore hip hop napoletano Ciccio Merolla, interpretata dall’attrice Loredana Simioli ndr) però abbiamo sempre avuto l’idea di un uomo arido, spietato. La donna o il femminiello non li vedi boss spietati che sparano e uccidono.

R.C.: “Questa è una cosa un po’ culturale: millenni fa in Svezia c’erano le walkirie che andavano in guerra con gli uomini. La nostra scelta è stata che se non c’è una donna, una mamma che ti accudisce, che ti culla, questo succede”.

I.C.: “Il concetto che c’è dietro è l’abbandono anche delle donne, la non presenza femminile della dolcezza: se la donna rappresenta un nido di dolcezza, questi ragazzi non ce l’hanno”.

C’è sempre questa idea che Napoli è una città bastarda ma anche accogliente: i napoletani stessi la imprecano e maledicono però poi se non vai sul lungomare non ti riprendi. Questa cosa me la dovete spiegare. Soprattutto per noi che non viviamo sul mare.

R.C.: “Napoli è una delle città più belle d’Italia ma che ha da sempre un destino un po’ sfortunato: ci sono delle cose brutte che noi napoletani vogliamo cambiare e per questo continuiamo a parlarne”.

Lo spettacolo di “Gomorra” comincia con il discorso di Saviano che dice che in Sicilia c’è una grande coscienza antimafia. Qui nella pièce viene detto che si sceglie come essere. Però la scelta di sparare, di spacciare, a Napoli, viene accettata da quelli che non la condividono come una cosa inevitabile: io scelgo di essere una persona rispettabile, quello sceglie di non esserlo però è sempre un po’come se non fossero affari miei.

R.C.: “Io penso che sia una cosa che appartiene al passato. Ne sono testimonianza il cambiamento di quartieri come Scampia, la Sanità, i Quartieri Spagnoli, quartieri in cui 10-15 anni fa tutti avevano paura di entrare e non si poteva passare, adesso alle 4 o le 5 di mattina è molto più sicuro della stazione centrale di Milano, Roma o Torino”.

I.C.: “La problematica non è piccola, quando dicevamo in “Gomorra” dello spirito antimafia: in Sicilia hanno avuto morti importanti, la camorra si ammazza tra di loro, non fa eco, non fa paura e non crea un tessuto antimafia. Il problema è creare alternative, creare lavoro alle persone. Il camorrista ti dà mille euro a settimana, quello è accettato, è vero, ma c’è anche chi non accetta e decide di fare il panettiere e lavorare onestamente a 600 euro al mese. Quelli che accettano, è vero, sono criticabili ma il problema è MOLTO più vasto da risolvere semplicemente con “eh però a Napoli non si mettono contro”. Non è così, perché quando c’è la povertà con un tessuto molto profondo, che lo Stato conosce bene, non si può risolvere, lo Stato non ce la fa: quelle economie come vengono mantenute? La camorra produce tanto, roba seria”.

R.C.: “Tra l’altro parliamo di quartieri dove ci sono più di 50mila abitanti: quando facciamo la tournèe, dal centro Italia in su ci son città che hanno meno di 50mila abitanti, città! Lo stato divide i soldi e le risorse con le città non coi quartieri. È chiaro che c’è un’esigenza che non viene ascoltata, però mentre in passato il sistema camorristico era favorito perché c’era un codice, adesso la camorra si è indebolita ed è fatta di piccoli criminali che non hanno regole, nessuno più accetta nulla”.

Il fenomeno Gomorra è partito dalla pièce di Mario, poi ci sono stati il film e la serie. La fenomenologia televisiva ha influito sul linguaggio dello spettacolo dal vivo a Napoli?

I.C.: “Ovunque, recitare a teatro e al cinema è diventato molto simile; è vero che è molto più italiano di “Gomorra”, Mario ha italianizzato il napoletano, ha preso questa microstoria e l’ha resa epica. Siamo stati i primi e all’epoca lo potevamo fare perché non c’erano queste cose: se oggi lo facessimo come allora diventerebbe subito associabile alla serie, al film o addirittura al nostro spettacolo di 10 anni fa”.



nr. 09 anno XXIII del 10 marzo 2018

La paranza dei bambini (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)

Come installare l'app
nel tuo smartphone
o tablet

Guarda il video per
Android    Apple® IOS®
- P.I. 01261960247
Engineered SITEngine by Telemar