NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
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Spazio, luce e suono

Albanese, il danzautore

di Elena De Dominicis
elenadedominicis@virgilio.it

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Daniele Albanese

Anna Cappelli (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)@artiscenichecom



(FOTO DI MICHELE MEMOLA)

 

La settimana scorsa al ridotto del TCVI, per la rassegna Danza in Rete Festival Vicenza-Schio sono andati in scena due spettacoli brevi del danzautore Daniele Albanese, “In a landscape” del 2008 e “Von-solo” del 2015. Autore e interprete con una solida formazione internazionale da anni sta dedicandosi allo studio del rapporto tra spazio, luce e suono: molto attento al binomio visibile- invisibile, Albanese ricorre anche alle teorie della fisica e a riferimenti all’astronomia per poi utilizzarli nello spazio urbano.

 

Daniele Albanese (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Sentiamo questo rumore di vento, che generalmente viene collegato a paesaggi e natura e non sempre abbiamo occasione di sentire come la sua forza e rumore si modificano nello spazio urbano, per cui sono concepiti i tuoi spettacoli.

Daniele Albanese: “A me piace lavorare su forze che agiscono sui corpi; il vento è quasi una cosa magica, una metafora di una cosa che agisce sul corpo e lo stato dell’individuo, in questo caso del performer, e come lo trasforma e mi piaceva la trasformazione urbana. È nato così nel 2008 poi l’ho fatto al chiuso in spazi teatrali e non e devo dire che ora lo preferisco così".

Quando si parla di danza urban si pensa a qualcosa di poco elegante o ordinato dal punto di vista stilistico e formale, tu però sei molto decorativo e quasi barocco ma anche teatrale: ci sono dei momenti in cui inciampi per finta ma hai grande controllo di questo finto errore.

“Ho delle modalità molto precise ma ognuno ha il suo processo creativo. Questo è uno spettacolo di molto tempo fa, il secondo è molto più recente, c’è stato un grande percorso in mezzo, per questo li mostriamo insieme: è bello far vedere il cambiamento. Il personaggio un po’ ubriaco, del tossico, mi ha sempre appassionato molto per il suo non controllo perché la danza, spesso, è fin troppo controllata: mi piace quello strano luogo di confine perché penso che il linguaggio della danza funzioni così".

Ho visto una specie di crocifisso laico: ho rivisto la famosa immagine di Jim Morrison con le braccia aperte. La pubblicità, facendo parte dello spazio urbano, esteticamente ti porta a qualche forma teatrale?

“Non saprei dirti ma utilizzo tantissime immagini iconografiche, parto da lì, che poi metti in movimento, le fai agire nello spazio con delle forze e si trasformano, diventano altro però sicuramente c’è quell’elemento quotidiano e iconografico".

Lo spettacolo è nato per un luogo condiviso come una piazza o un cortile, la presenza di persone che non puoi controllare quanto incide sulla creazione?

Daniele Albanese (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)“Quando si fa in urbano può succedere un po’ di tutto, ovviamente alcune cose faccio in modo che non succedano, mi diverte molto interagire: a Taranto c’erano dei militari americani ubriachi e l’elicottero con le partenze per non mi ricordo quale orribile missione di guerra ed erano lì che mi guardavano, erano molto catturati. Oppure dei ragazzotti di Cosenza che ridevano e tu hai un personaggio abbastanza forte, ti avvicini velocemente e loro hanno paura, oppure il bambino che ti guarda da vicino. Mi diverto. Anche nella coreografia abbiamo scelto delle cose che permettessero dei rapporti: quando mi avvicino e vado oltre la luce sono nella zona pubblico e puoi mettere a repentaglio un po’ il confine".

C’è un ruolo che esce, nel momento in cui lo fai in uno spazio con dei militari, sei già uscito da uno spazio previsto perché è il personaggio, anche quello del danzatore, che porta il luogo con sé.

“Ho una partitura fissa ma se lo faccio in urbano dipende dal momento: se c’è il bambino che piange, se stanno molto attenti , io faccio qualcosa. Nasce da una interazione costante".

Il secondo spettacolo: l’orizzonte degli eventi, praticamente il principio del buco nero che inghiottisce la luce. Tu ti muovi su te stesso con un movimento che si restringe a cono. Una volta arrivato alla fine che succede?

“Mi muovo molto sul confine, gioco con le forze, qui circolari dopodiché questo cerchio inizia a interagire con lo spazio, metto a confronto delle linee, ma soprattutto mi faccio muovere da delle forze".

Lo spazio celeste per molti artisti è ancora una realtà fantastica e immaginifica. Solo il cinema riesce ad avere a disposizione apparecchiature di simulazione che avvicinano a una realtà che altrimenti non è verificabile. Secondo te la danza, proprio perché priva di questa esperienza diretta, può rimanere un po’ indietro?

“Io vengo da una famiglia di fisici, facciamo cose diverse e invece mio padre viene da me e mi dice che le cose che dico io e stanno scoprendo ora in fisica. Ci sono scoperte, anche nelle pratiche di lavoro, sullo spazio, la velocità, la comunicazione tra danzatori, non è la stessa cosa ma ci sono delle strane simmetrie di pensiero con la fisica quantistica, il principio di indeterminazione di Heisenberg: hai preparato uno spettacolo ma la prima volta che lo presenti , cambia; una cosa osservata cambia”.

Daniele Albanese (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Ci sono coreografi che collaborano con la ricerca spaziale?

“Al CERN di Ginevra fanno tantissime residenze artistiche molto ben pagate! La direttrice è un’italiana, anche musicista, molto interessata al rapporto arte-scienza. Ci sono anche danzatori che hanno fatto l’esperienza di danzare a gravità zero”.

Alla fine rimaniamo inondati di luce, che crea un contorno nello spazio dietro: lì succedono le cose che noi non vediamo perché la luce ci acceca. È come se la verità fosse nel buio.

“Eh beh si: non possiamo vedere il buco nero, ma è studiato tutto ciò che sta intorno. A teatro la stessa parte, un attore convince e un altro no, è ciò che non vedi che comunica. Con questa luce io sto scardinando la cosa perché voi siete abbagliati. C’è un altro momento di una parte lenta dove faccio delle facce strane sennò non riesco a muovermi in quel modo, io vi vedo benissimo ma voi non mi vedete. Questa cosa del si vede e non si vede direi che è fondamentale nella comunicazione teatrale".



nr. 18 anno XXIII del 12 maggio 2018

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