Così si trova scritto nel catalogo che accompagna la mostra dei gioielli di Gio’ Ponti al Museo del Gioiello in Basilica Palladiana: “…con ostinazione procedo dove la continua sperimentazione mi porta, fra forme, tecniche materiali della scultura e dell’oreficeria, senza separare le due discipline così vicine e intimamente legate, da sempre...”.
Siamo all’inizio degli anni Cinquanta a Milano con il fratello Arnaldo quando Gio’ è circondato dagli artisti più incisivi, da Fontana, Ettore Sottsass, Peggy Guggenheim riconosciuto e apprezzato scultore a Parigi a Londra, New York e a Bruxelles. Ed inoltre: ”In questi primi anni milanesi coniugo quanto appreso nei musei fiorentini con i valori delle avanguardie storiche”. Da qui la fluida curiosità intellettuale riflessa nella duplice figura dell’artista orafo e scultore che separa e attribuisce pari dignità alle due arti. Rappresenta la figura di umanista di memoria quasi rinascimentale che crede nella musica, nella poesia e nella geometria.
All’inizio degli anni ’50, come avviene per la ceramica, la pittura e la scultura, Gio’ assimila il linguaggio informale nei gioielli. Sono degli anni Sessanta il bracciale e la spilla di rubini fusi secondo l’antichissima tecnica della fusione in osso di seppia, movimentati da superfici irregolari, pietre preziose, sfere cinetiche che animano la composizione. Alcune forme dei gioielli riprendono negli anni Settanta elementi organico- antropomorfi che, associati al geometrismo, diventano linguaggio per il corpo, come nelle particolari collane -Feto Chiuso (1970) e Feto Aperto (1971) in oro giallo, oro bianco e smalti. Si uniscono allo stile materico informale elementi geometrici dal forte simbolismo. Un prezioso diamante centrale s’irradia su uno splendido bracciale in smalto bianco a fascia dalla superficie convessa suddivisa in quattro campiture profilate in oro simile ad un sole, topos della scultura, contornato da smalti concentrici neri e blu. Insieme a un ciondolo a forma di stella è stato scelto per l’esposizione al Guggenheim di New York, nella mostra The Italian Methamorphosis. In esposizione anche l’innovativa composizione mobile della collana in corallo, oro giallo, oro, pelle d’angelo.
Entrano nei gioielli accanto alle pietre preziose, le pietre dure e gli smalti policromi ed altri con le innovative decorazioni di lettere e scritte inserite. Nel 1967 Gio’ e Arnaldo Pomodoro avviano un esperimento di “serialità d’autore” assieme a César, Sonia Delaunay, Piero Dorazio, Lucio Fontana, sull’iniziativa di Giancarlo Montebello e Teresa Pomodoro. Una collaborazione successiva con l’azienda orafa aretina UnoAErre coinvolge una produzione di serie di gioielli in piccole edizioni per la Cesari&Rinaldi legame che più tardi porterà all’insolito bracciale Il Sasso dell’estate (1993) d’ispirazione a corteccia d’albero, una fusione in argento e oro giallo, esempio di gioiello che unisce la sensibilità per l’informale e l’attenzione per la forma organica.
Mostra a cura di Paola Stroppiana