NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
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Paolo Kessisoglu
nelle “terre di Nairi”

di Elena De Dominicis
elenadedominicis@virgilio.it

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Paolo Kessisoglu <br>
nelle “terre di Nairi”

Anna Cappelli (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)@artiscenichecom



Si avvia alla conclusione il festival Settimane Musicali al Teatro Olimpico che questa settimana ha proposto il recital “le terre di Nairì” intenso, ironico e commovente dedicato all’Armenia: la voce recitante è stato un coinvolgente Paolo Kessisoglu, celebre infotainer e comico del duo Luca e Paolo. La musica è stata eseguita da Sonig Tchakerian al violino, direttore artistico della parte del festival dedicata alla cameristica, e da Stefania Radaelli al piano. Un viaggio nella cultura armena tra musicisti contemporanei e del passato come Komitas, monaco musicologo vissuto a cavallo tra il XIX e l XX secolo che ha recuperato i canti più antichi, o la letteratura con brani di William Sorayan, scrittore armeno-americano che racconta con fierezza il suo Popolo. Il festival si conclude questa settimana con l’ultima replica della farsa di Rossini “L’inganno felice” in scena venerdì 15 e domenica 17. Info www.settimanemusicali.eu

 

Paolo Kessisoglu <br>nelle “terre di Nairi” (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)La musica che abbiamo sentito sembra molto moderna. La musica armena è diventata molto più conosciuta nel ‘900. Nei periodi precedenti abbiamo un’influenza altrettanto diffusa nella musica occidentale?

Sonig Tchakerian: “Devo dire che c’è una ricerca, un’attenzione diversa rispetto a molti anni fa, anche rispetto agli ultimi 10 anni è molto cambiato: si comincia a sentire anche il repertorio nostro, Komitas, che ha preso i canti popolari, all’inizio del’900 è stato tra i pastori del Caucaso in silenzio ad ascoltare questi canti che loro si tramandavano oralmente e li ha trascritti. Parliamo di cose antiche che comunque sono contemporanee perché tra la gene ancora si cantano e sono attuali. Poi ci sono autori come Khachaturian che fanno la storia del ‘900 e altri nuovi compositori dome Babadjanyan che abbiamo suonato all’inizio: è ancora, in Italia, poco suonato mentre all’estero si sente già di più. Sono grandi autori e compositori e ci sono molti contemporanei veramente importanti adesso".

Oggi c’è una globalizzazione che tende ad appiattire le tradizioni: in spettacoli come L’Eurovision le nazioni che riescono ancora a distinguersi per qualcosa di caratteristico sono quelle dei Balcani. In Armenia esiste una forma di evoluzione oppure si riconosce come musica armena perché l’artista lo è?

S.T.: “Beh nel Jazz ci sono personaggi molto importanti come Hamasyan: lui riprende temi di Komitas, che abbiamo suonato anche noi stasera, e li rielabora in forma jazzistica. Quindi diciamo che la musica nei secoli è sempre contemporanea, come concetto proprio, e poi viene vissuta a seconda delle aree e situazioni nei modi diversi. Poi naturalmente in tutte le culture c’è la musica “colta” e popolare, stasera abbiamo fatto l’uno e l’altro".

Il racconto parte da una specie di reminiscenza: nei racconti di popoli, soprattutto negli ultimi anni, si parte da un nipote o un figlio che ricordano o da un nonno o una madre che tramandano. È una forma molto poetica e affettiva che coinvolge il pubblico.

Paolo Kessisoglu <br>nelle “terre di Nairi” (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Paolo Kessisoglu: “Ovviamente è affettiva, emotiva perché parte da lì ma è anche mentale e razionale, nel senso che la mia memoria è piuttosto scarsa: sono armeno di origine ma non ho molti racconti da parte di mio nonno, che era la parte armena della famiglia. Poi negli anni mi sono incuriosito e sono andato a leggere delle cose ed è da tanto tempo che sono in contatto con l’Armenia, dal punto di vista sociale, politico e relazionale. Conosco bene colui che era l’ambasciatore fino a un anno fa (Sargis Ghazaryan ndr.) siamo diventati amici e ci sentiamo spesso; grazie a lui ci siamo trovati in questa idea comune del raccontare un’Armenia diversa che non fosse solo quella del Genocidio. Basta parlare di sofferenze: gli armeni sono anche scrittori illuminati, scacchisti, atleti, imprenditori, musicisti. Quindi raccontiamo anche quest’altra cosa. Su questa idea comune ho sempre voluto basare alcune letture e questi piccoli eventi che si fanno".

In uno dei testi c’è una lunghissima disquisizione tra nonni e nipote sul riso. Non un piatto tipico ma il riso. Come lo hai visto, in quanto interprete, questo simbolo, qualcosa veramente semplice?

P.K.: “Sono due le cose: il riso per loro era l’elemento principale e in tutta questa testardaggine su come cuocerlo stanno molte più cose di quello che sembra dalla scrittura. È anche, secondo me, più che altro un discorso di gerarchie: se il nonno diceva una cosa, quella era, era vangelo".

Tu sei anche musicista, ricordo con i CavalliMarci (compagnia di cabaret musicale degli anni’90 ndr). Hai ascoltato la musica con molta attenzione: quali sono gli autori di musica classica e contemporanea che ti piacciono?

P.K.: “La musica classica fa parte della mia formazione. Dai preromantici al Romanticismo ci sono un sacco di commistioni musicali, in quella musica lì c’è tutto: da Mozart a Beethoven che in qualche modo ha lambito le due, andando avanti più in là, verso il ‘900, poi tutti i francesi, Debussy, fino ad arrivare ai più moderni… Chopin…hanno creato tutto, tutto viene da lì".

Hai mai cercato una tua identità armena d’origine nella musica armena?

Paolo Kessisoglu <br>nelle “terre di Nairi” (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)P.K.: “No, non ancora, però Komitas, che è un esponente della musica armena forse dei più antichi è molto interessante ma anche gli autori che abbiamo ascoltato oggi, Khachaturian, Babdjanyan, sono autori incredibili, non sono autori semplici: bisogna ascoltare la musica che c’era prima per comprenderli perché sono molto complicati, molto sofferenti".

Nel finale l’autore richiama la fierezza del suo popolo e l’onestà: il non sentirsi soli anche se si è da un’altra parte, sentirsi parte di un gruppo, di una cultura anche se si è fisicamente soli. È una cosa che mi ha commossa, mi sono messa a piangere!

P.K.: “Sì. A ridirlo mi metto a piangere anche adesso. È una caratteristica peculiare forse anche di altri popoli, sicuramente del nostro, che ha a che fare con il non avere un posto proprio. Non so se anche gli ebrei ce l’hanno, noi sicuramente abbiamo questo: quando incontri un armeno al bar, questo dice Saroyan, loro faranno un’altra Armenia, perché c’è un senso di appartenenza, non avendo nessuna appartenenza perché non c’è un posto, c’è questa forza di crearla dove sei insieme, anche se sei in mezzo a una strada o ti incontri dall’altra parte del mondo che non ha niente che vedere con casa tua. Non abbiamo un posto comune ma abbiamo in comune tantissime altre cose che forse sono più importanti".



nr. 23 anno XXIII del 16 giugno 2018

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