NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
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Il vino nella grande guerra

di Alessandro Scandale
a.scandale@gmail.com

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Il vino nella grande guerra

Abbiamo incontrato Callegari e dialogato con lui.

Perché dedicare un libro al vino nel contesto della grande guerra?

Il vino nella grande guerra (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)"Perché il vino e la sua filiera produttiva oggi dominano il paesaggio e l’economia, nel bene e nel male. Sembra essere un elemento identitario recente, postindustriale, una nuova interpretazione manageriale della capacità veneta di trasformare e produrre, invece è radicato negli spazi più remoti dell’identità territoriale. Il libro è stato sostenuto dal Consorzio Vini Venezia con una precisa assunzione di responsabilità che forse compete proprio agli organismi che raggruppano i produttori e chi nel vino trova ricchezza e futuro: su queste terre si è combattuto, bevuto, cantato, si sono pianti i commilitoni caduti, si sono nascosti cannoni nei vigneti, si sono razziate cantine. Le vigne di oggi accarezzano con le radici nel sottosuolo sassi e schegge di granata, terra... a chi tocca raccontare queste storie se non a chi frequenta e abita il vino?"

Nel libro si afferma che il vino fu un segno di umanità in un evento disumano: in che senso?

"Perché apparteneva all’esperienza quotidiana dei soldati di allora, che lo riconoscevano più come alimento ordinario che come stordente consolazione. In una situazione di rischio vitale prolungato per anni, in cui tutte le regole sociali ordinarie furono stravolte dai sistemi militari necessariamente spersonalizzanti, il vino fu una sorta di antidoto popolare all’avvelenamento dell’anima. Di fronte a scelte, esperienze, sofferenze e costrizioni drammatiche e spesso inspiegabili alla ragione del singolo, i soldati ritrovavano nel bicchiere di vino un breve spazio di ordinarietà, di equilibrio e di relazione, a volte perfino con gli avversari. Nel bere il vino si ritornava per un attimo a casa, nella pace silenziosa che pareva non portasse futuro".

Nel Centenario e nelle tante pubblicazioni sul tema, in cosa si distingue la vostra?

"Per la trasversalità degli approcci al vino. Una trasversalità che cerca di rendere giustizia alla complessità del conflitto di cento anni fa. Analizziamo le diverse possibili espressioni e rappresentazioni del vino bellico proprio perché la Grande Guerra fu un evento di inedita complessità e per renderla popolare si è semplificato moltissimo lo schema narrativo. La specializzazione di molte pubblicazioni, per certi versi, è stata anch’essa una forma di semplificazione: raccontare puntualmente un singolo fatto d’armi accaduto in un paesino o su un cocuzzolo è certamente un’opera storica…ma il racconto andrebbe inserito nel contesto tattico e strategico, a loro volta spiegabili attraverso la conoscenza di scelte superiori e dei contesti in cui le decisioni furono prese. La Grande Guerra fu un evento sconvolgente perché così complesso e articolato da determinare ancora oggi delle conseguenze riconoscibili. Potendo fare un libro su un tema legato al conflitto, abbiamo cercato di renderlo interessante esplorando e facendo esplorare territori diversi, tutti coerenti con il tema dato".

Nel libro si parla anche di musica: che ruolo ha la presenza del vicentino Bepi De Marzi?

"Bepi ha coinvolto e sostenuto Alessio Benedetti che ha prodotto davvero un buon lavoro, preciso ed esaustivo. Il gesto del Maestro Bepi è stato un gesto importante perché generativo, aperto al futuro degli altri. Quante volte i nostri “grandi vecchi” raccolgono il giusto tributo per il loro lavoro e se lo godono per sé, senza farlo diventare semente per la comunità di domani? C’è da imparare, come sempre. Vivere in fertilità non è anagrafico: Bepi De Marzi si è posto in penombra per dare luce al futuro, in ciò brillando di bellezza. La presenza delle linee melodiche dei canti è frutto della sua ostinazione e oggi sappiamo che esse sono un plusvalore per il libro, che per la sua trasversalità può interessare gli storici, gli enologi, gli appassionati di fotografia, i ricercatori di reperti bellici. Almeno è quello che ci auguriamo, con buona ragione".

Ci racconta un aneddoto vissuto?

"Nel liberare una galleria di vetta sulle Alpi Carniche nell’ambito del progetto Friedenswege - Le vie della Pace, capitò di scoprire una stanza ipogea ostruita da un crollo di rocce. Si lavorò duramente per alcuni giorni e quando fu possibile penetrarvi ci si trovò in un piccolo dormitorio con alcuni letti a castello in assi di legno, perfettamente conservati. Pochissimi gli oggetti: una lampada a petrolio su una tavola, resti di coperte marcite nell’umidità, un rotolo di cartone catramato in un angolo. Un rosario ossidato ancora appeso ad uno dei travetti dei letti e, nel pavimento in tavola grezza della galleria, una piccola botola. Conteneva quattro bottiglie e un fiasco di vino ancora pieni, da settant’anni in attesa di essere afferrati. Dentro quel piccolo dormitorio in caverna c’erano tracce di consolazione, tracce d’umanità, non segni di guerra".

 

nr. 41 anno XXIII del 17 novembre 2018

Il vino nella grande guerra (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica)



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