NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
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Carmina Burana
la grande danza

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di Elena De Dominicis
elenadedominicis@virgilio.it

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Carmina Burana

Anna Cappelli (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)@artiscenichecom

 

Prosegue la stagione della grande danza al Teatro Comunale di Vicenza con una compagnia internazionale di grande pregio apprezzatissima dal pubblico vicentino: Le Ballet du Grand Théâtre de Genève che ha portato i Carmina Burana di Carl Orff con una coreografia molto coinvolgente firmata da Claude Brumachon. Una pièce in cui si affronta il rapporto tra umano e divino con una presentazione visiva calibratissima tra minimalismo e spettacolarità. Abbiamo incontrato Philippe Cohen, già Premio Benois de la Danse e da molti anni direttore artistico della compagnia ginevrina con cui abbiamo analizzato lo spettacolo visto al TCVI. Con Cohen abbiamo anche parlato della nuova scena contemporanea arabo e medio orientale di cui alcuni coreografi sono stati protagonisti l’anno scorso al Danza in Rete festival Vicenza-Schio.

 

Il balletto ha dei costumi molto spettacolari, soprattutto quelli delle dee. Però è come se ci fosse una relazione tra le dee e gli altri danzatori che rappresentano gli umani.

Carmina Burana (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Philippe Cohen: “È esattamente così: la relazione tra le dee che sono irreali e gli uomini della Terra che soffrono, i viventi. Lo spostamento di tutto il balletto si divide così, nella differenti relazioni tra cielo e terra".

Nei paesi latini abbiamo una forte relazione con ciò che è classico, lei lavora e vive in un paese del centro Europa dove la tradizione è più germanica. Che rapporto ha il pubblico con questa musica e questo testo?

“Beh la musica è degli anni ’30 e il testo è un latino un po’ particolare e penso che ciò che è interessante della musica è la diversità dei diversi colori. Lei sa che si dice che i Carmina Burana li conoscono tutti però questo non è vero: tutti conoscono l’inizio e la fine ma quello che c’è in mezzo no. Ciò che è interessante è che il coreografo Brumachon ha seguito il testo e ogni scena racconta ciò che viene detto nel testo. Poi il pubblico non lo sa ma non è grave ma credo che questo dia una percezione a questo Carmina Burana, cioè c’è la musica e la danza che racconta qualcosa. La musica è talmente forte che si ha lì impressione che sia una lotta, la coreografia segue il testo poi c’è una distanza e la parte germanica è nella musica evidentemente. Credo che ciò dia una visione e un colore diversi a questi Carmina Burana".

Ci sono dei giochi di luce con lo scintillio dei costumi ma non c’è la scenografia. Come mai?

“In effetti la musica è già come un decoro, è talmente forte e, come lei dice, i costumi sono già decoro, le luci lo stesso e tutto si reincontra in una relazione tra le dee e gli umani. Se si fosse aggiunta una scenografia sarebbe diventato troppo pesante, con troppe informazioni".

C’è una parte dove non ci sono le dee ma ci sono delle ragazze e dei ragazzi che si aiutano in un gioco di equilibrio tra uomo e donna ma non è una relazione tra “l’uomo” e “la donna”, sono gli esseri umani che devono ricercare un equilibrio senza l’aiuto del divino.

“Beh c’è anche questo, effettivamente, perché nella vita c’è sempre un equilibrio, la vita non è semplice quindi questa relazione tra umani che affrontano se stessi ma anche nella relazione di queste sequenze che lei dice, dove gli uomini portano le donne e le donne portano gli uomini c’è anche , per il coreografo, il mostrare non una uguaglianza tra uomini e donne, perché non sono uguali ma diversi, ma che tutto il mondo è allo stesso livello".

Poi c’è una parte dove le dee non hanno le piume e quei copricapi così belli e spettacolari ma hanno solo una tuta che sembra un po’ uno scheletro, come se fossero delle anime.

“È esattamente questo".

Carmina Burana (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Diventano un po’ umane e si rapportano esse stesse con loro e alla fine ritornano dee. Qual è il legame tra gli umani e la divinità?

“Credo che in ogni caso ci sia la libertà di scelta e la cosa importante di ciò che lei dice è esattamente in quel momento in cui le dee escono e siccome diventano un po’ umane i loro costumi sono un po’ diversi dagli altri. Le dee vanno verso gli umani esse stesse come qualcosa che rimarca la differenza: veniamo verso di voi ma non dimenticate mai che siete solo umani e che noi siamo dee. Potevano ritornare con lo stesso costume invece no, per dire che in qualsiasi modo si creda si ha sempre bisogno di avere una fede e credere in qualche cosa. Questa immagine di loro che scendono ricorda agli umani che sono discese verso di loro ma che rimangono là".

Poi vediamo che è come un cerchio che si chiude: le dee ritornano dee e gli umani tornano a essere dei miserabili. Alla fine ci sono le 3 ragazze in rosso che si potrebbe dire che è rosso come il sangue, la morte ma io ci ho visto una rinascita degli umani che ritornano.

“Si perché in effetti le 3 donne che arrivano camminando molto lentamente sono delle intermediarie tra le dee che ritornano nel loro mondo ma gli umani, come li vediamo ala fine, non sono come li vediamo all’inizio dove il suono dà energia ma è il caos, lo tsunami, il disastro e quindi lo spazio come il tempo che passa, le 3 donne che passano, i 4 uomini, la bagarre che suona e lì ognuno è al suo posto: le dee restano dee, gli umani restano umani con la loro miseria e disperazione, con la violenza, la guerra e poiché in fin dei conti si resta sempre degli umani".

I danzatori sono speso in multipli di 2 o di 3. C’è un motivo per questo?

“No credo che sia veramente un’ispirazione del coreografo di costruire questi momenti, è veramente solo una composizione coreografica".

L’anno scorso ho avuto l’occasione di intervistare dei giovani coreografi di origine araba e medio orientale; c’è un progetto internazionale per i giovani coreografi dei paesi mediterranei e arabi. Un coreografo marocchino che mi ha detto che ci sono molti giovani che si organizzano e fanno molte cose nuove ma che i governi e le istituzioni non hanno soldi per aiutarli. Molti di questi ragazzi vivono in America, in Belgio ecc. In Europa si parla molto di immigrazione: secondo lei c’è la possibilità che il Nord Europa, ma anche l’Italia, riescano ad aiutare questi giovani, sia qui che da loro, tramite dei progetti con questi Paesi e una relazione culturale con questi ragazzi?

“Penso che ognuno fa quello che vuole ma io nella mia programmazione a novembre ho fatto una creazione con un coreografo di origine algerina su Mozart,nel 2020 invito un coreografo dal Sud Africa. Penso che sia molto importante questa dimensione politica ma trovo che se non si fa questo ora, il mondo finirà male perché il meticciato è sempre stato la forza e la ricchezza dell’umanità".



nr. 04 anno XXIV del 2 febbraio 2019

Carmina Burana (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)

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