NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
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Il grillo parlante. La nascita della tolleranza

di Italo Francesco Baldo

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Il grillo parlante. La nascita della tolleranza

 Parte XIII

 

Introduzione

 

“Dunque, peccando contro i vostri fratelli

e ferendo la loro coscienza, voi peccate

contro Cristo” Corinti, I, 8,12)

 

 La libertà di coscienza nel cristianesimo è un suo fondamento ed essa è sia interiore sia esteriore. Infatti, l’adesione al cristianesimo è libera e non soggetta ad alcun vincolo se non quello che la coscienza d’ogni persona, pone. Nessuno può impedire ad una coscienza che cosa credere o non credere, nessuna istituzione temporale e principalmente lo Stato. La chiesa, giova ripeterlo, non è un’associazione vincolante, nemmeno dopo aver ricevuto il battesimo. L’adesione è libera e ripetuta ogni domenica con la recita del “Credo” e il rinnovo delle promesse battesimali ogni anno il sabato santo. Il problema maggiore che fin dai primi tempi la Chiesa cristiana dovette affrontare fu quello delle possibili e personali visioni della fede. Fu ed è il problema dell’eresia, ossia l’affermazione che la propria interpretazione è l’unica e che è quella vera, buona e giusta e che tutti gli altri la debbano seguire, senza tener in nessun conto la visione dell’insieme e dei contenuti che l’insieme stesso si è dato. Nel tentativo di diffonderla vi furono e vi sono prospettive di erigere nuove comunità, con uno scisma, divisione, e l’autodefinirsi “chiesa”. Ciò ha comportato la necessità che il contenuto della fede che ha il suo fondamento nella Sacra Scrittura, andasse precisato e stabilito. Fu così che in diversi concili, a partire dal primo, svoltosi alla presenza di Pietro e Paolo, si decise quali sono i contenuti della fede. Essi sono principalmente riassunti nel “credo” e a questi si aggiungono altri, quelli “mariani” e quello della transustanziazione. Sono le radici del cristianesimo e soprattutto il “credo”, è adottato da diverse chiese cristiane che nel corso dei secoli si sono disunite e hanno intrapreso strade diverse, ricordiamo quella ortodossa, quella armena, quella copta, quella anglicana e il variegato campo di quelle che si riferiscono direttamente o indirettamente a quella originata da Lutero. La convivenza tra le varie espressioni del Cristianesimo non è stata storicamente facile, ognuna riteneva e ritiene d’essere l’unica vera interpretazione del messaggio cristiano. Non si tratta di “libertà di coscienza” in questi casi, perché il problema riguarda non una singola persona, ma gruppi e spesso numerosi che si dotano di una propria prospettiva comune.

 Il tema della libertà di coscienza nei primi secoli dell’era cristiana investe nell’Impero Romano la possibilità d’ogni cittadino di onorare il proprio Dio. Ciò fu reso possibile con l’Editto di tolleranza del 313, sottoscritto dai due Augusti (Costantino e Licinio). Il problema di quale “interpretazione” seguire era un problema interno alla appartenenza alla chiesa e non riguardava lo Stato. La posizione personale che non era nella prospettiva comunitaria, quando intendesse affermarsi come l’unica, poneva e pone il problema dell’eresia e come affermò già san Paolo nella lettera a Tito (3,10) “Dà all’eretico un avvertimento, poi un secondo, e solo allora lascia la sua compagnia”. Unità di fede e unità di chiesa, che non è una somma di più persone, ma una coesistenza e contestazione dove l’unicità della persona è sintonia con le altre, pur nella espressione della propria unicità e irripetibilità.

 Nel corso dei secoli il problema dell’eresia fu anche un problema di Stato, soprattutto dopo l’Editto di Tessalonica del 27 febbraio 380, sottoscritto dagli imperatori Graziano, Teodosio I e Valentiniano II (quest'ultimo all'epoca aveva solo nove anni). Il decreto dichiarava il credo niceno religione ufficiale dell'impero, proibiva l’eresia ariana (Cristo solo la creatura più eccellente di Dio, ripresa in parte dal modernismo a fine Ottocento inizio Novecento) e in conseguenza di ciò anche i culti pagani secondariamente anche i culti pagani, che continuarono ad esprimersi ancora per qualche decennio e a combattere i cristiani, come attesta il martirio dei Santi Sisino Martirio ed Alessandro, inviati da Sant’Ambrogio, in val di Non il 29 maggio 397. Per combattere le eresie si esigeva che tutti i cristiani confessassero la fede in modo conforme alle deliberazioni del Concilio di Nicea del 325 d.C. È questa la ragione per cui molti riformatori hanno sempre ritenuto che il cristiano è tale se professa il “simbolo niceno”. In realtà, bisognerebbe anche ricordare che oltre a questa “confessione”, è anche il catechismo quello che specifica l’appartenenza ad una chiesa e tra le grandi riforme sia di Lutero sia della Chiesa di Roma vi è proprio il catechismo.

 La Chiesa cristiana, suddivisa in orientali e occidentale ebbe fino al 1517 fenomeni anche rilevanti di eresia, ma non disgregarono, anche perché lo Stato sia quello bizantino sia quello del Sacro Romano Impero aiutarono la conservazione dell’unità contro le varie prospettive ereticali, contro le quali era lecito andare allorché minassero l’unità della chiesa. Il codice di Giustiniano, elaborato a partire dal 534 d.C.che ebbe quasi per 1000 anni vigore accettava di essere “ la mano morta” del potere ecclesiastico e in particolare contro gli eretici, che potevano venir abbruciati.

 Una sostanziale unità delle Chiese orientale e occidentale anche se non fu, quest’ultima, mai monolitica, soprattutto in Europa, basti ricordare il pauperismo dei dolciniani, l’eresia hussita, e altre.

 Con il 1517 e la rottura della Chiesa in occidente a causa di Lutero inizia a porsi nuovamente il tema della libertà di fede, e con essa quello della libertà di coscienza che investe il tema della libertà come abbiamo cercato di delineare nelle parti precedenti. Non si tratta più di un’eresia, ma di nuove prospettive del cristianesimo, dove ciò che conta non è più la chiesa come unità dei fedeli, ma la posizione di ogni singolo che esprime da se stesso la propria relazione con la divinità. È un ambito teologico e morale nuovo, dove la coscienza di ogni persona è in se stessa e chiede che essa non sia assoggettata a nessuna possibile discriminazione. Non sarà un percorso facile, basti ricordare il rogo di Michele Serveto voluto da Calvino a Ginevra il 27 ottobre 1553 che non “tollerava” posizioni teologico morali che non fossero quelle da lui professate.

 Nasce però proprio qui il tema della tolleranza moderna; esso non riguarda più un insieme (chiesa) e nemmeno lo Stato. Si tratta di accettare la libertà della coscienza e di non sottometterla a nulla. Nemmeno lo Stato può intervenire e ciò soprattutto quando a differenza delle concezioni medioevali, lo stato non è più l’organizzazione terrena della legge di Dio, ma quella dei diritti degli esseri umani, che lo Stato deve salvaguardare e garantire. Non esiste un diritto naturale “libertà di coscienza”, ma questo deriva dal fatto che lo Stato non ha che determinate competenze e tutto ciò che non riguarda appunto le competenze proprie è “libertà” del singolo uomo.

 Questa la visione del liberalismo ha in John Locke il suo primo e forse anche più importante pensatore; ben diversa la situazione negli stati continentali europei, dove la tolleranza diventa un problema solo politico, si pensi alla Pace di Augusta del 1555 ad opera di Carlo V con il cuis regio eius religio ossia “di chi è la regione, di lui (il sovrano) la religione o alla successione dei Valois in Francia che vide coinvolti gli ugonotti (i calvinisti francesi detti “congiurati” dal termine tedesco Eidgenossen) cui apparteneva il possibile re, Enrico di Navarra. John Locke pone invece il problema nella sfera individuale e della libertà.

Il grillo parlante. La nascita della tolleranza (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica) 

 John Locke

 

La tolleranza in John Locke

 Diversi sono gli scritti che il filosofo inglese dedica alla tolleranza; il più noto è il Saggio sulla tolleranza cui seguono le quattro Lettere sulla tolleranza, (Scritti sulla tolleranza, a cura di D. Marconi, Torino, Utet, 1977, da cui citeremo), frutto, in parte, della sue riflessioni nel soggiorno olandese a contatto con i Rimostranti, nome dei seguaci di J. Arminius (1560-1609) che nel 1610 indirizzarono agli Stati d’Olanda la Rimostranza contro la proibizione delle loro dottrine teologiche, e nel 1630 ottennero di poter praticare liberamente il loro culto, pur non conforme ai Canoni di Dordrecht che regolarono la Chiesa riformata olandese.

 Negli scritti è chiara la visione che Locke aveva dello Stato e dei suoi compiti anche nell’ambito della libertà di coscienza, che egli dichiara esplicitamente di voler analizzare, perché senza disamina complessiva non può apparire chiara la questione della tolleranza.

Infatti: “ nella questione della libertà di coscienza, che per alcuni anni è stata tanto agitata in mezzo a noi, ciò che ha massimamente complicato il problema, tenuta viva la disputa e accresciuta l’animosità è stato, a parer mio, questo: che entrambi i partiti, con uguale zelo ed errore, hanno troppo esteso le loro pretese: da una parte si predica l’assoluta obbedienza, dall’altra si pretende che la libertà universale nelle questioni di coscienza, senza determinare quali sono le cose che hanno diritto alla libertà, né mettere in evidenza i limiti dell’imposizione e dell’obbedienza” J. Locke, Saggio sulla tolleranza p. 89.

 Il primo è fondamentale punto, in sintonia con la concezione politica, è che ” la fiducia, il potere e l’autorità di cui il magistrato (il potere legislativo intende Locke) è investito non ha altro scopo che quello di essere usata per il bene, la conservazione e la pace degli uomini che fanno parte della società alla quale egli è preposto, e che perciò questo soltanto è e deve essere il canone e il criterio a cui egli deve commisurare e adattare le sue leggi e su cui deve modellare e organizzare il suo governo.” (ivi, p.89). Per realizzare ciò “ il magistrato non deve fare o immischiarsi di cose che non siano intese al solo fine di garantire la pace civile e la proprietà dei suoi sudditi “ (Ivi, p.91). Su ciò che riguarda “le opinioni e le azioni che in se stesse non riguardano affatto il governo e la società: che sono tutte le opinioni puramente speculative e il culto divino” (Ibidem) “ sono le sole cose che godono di un diritto di tolleranza assoluto ed universale” (ivi, p. 92) e ciò particolarmente per la speculazione e il culto divino, sempre a condizione che tutto ciò c sia fatto per Dio, sinceramente e in coscienza, con la miglior conoscenza e persuasione a cui può giunger” (ivi.p.95). Per Locke Dio esiste e non è possibile negarlo; infatti, la religione è prima di tutto religione naturale, quella dei culti e considerata più come una realtà storica costruita dagli uomini su dato naturale. Così il magistrato “ in quanto tale, non ha nulla a che fare con il bene elle anime o col loro interesse in un’altra vita; al contrario, egli è ordinato e il suo potere gli è affidato soltanto al fine della tranquillità e della sicurezza della vita degli uomini in società nei loro rapporti reciproci” (ivi, p.102).

 Lo Stato non entra nelle opinioni che spesso, soprattutto in materiale religiosa, si formano (ivi, p.104) “all’ingrosso” e spesso senza vera verifica. Dato che sono opinioni che non debbono riguardare la società; esse sono nell’arbitrio di ogni individuo e pertanto vanno tollerate.

 La tolleranza per Locke però non si estende a tutti i sudditi indistintamente dalle loro opinioni; due non possono essere tollerate e sono quelle “ dei papisti …perché, dove essi hanno il potere, si ritengono in obbligo di rifiutarla agli altri” ed “essi debbono essere considerati “come nemici irriducibili” (ivi, p.111).

La situazione inglese da Enrico VIII in poi, nonostante il tentativo di restaurazione cattolica di Maria Tudor, era molto anticattolica, cosa che si era accentuata durante il regno d’Elisabetta I e ancor più successivamente. Il papista era considerato ubbidiente a Roma e pertanto nemico dello Stato inglese che è nella visione del filosofo “una società umana costituita unicamente al fine della conservazione e della promozione dei beni civili. ” ovvero “ la vita, la libertà, l’integrità fisica e l’assenza di dolore, e la proprietà di oggetti esterni, come terre, denaro, mobili, ecc.” (I Lettera sulla tolleranza, p. 135). La salvezze delle anime, ossia il problema religioso è solo della coscienza di ogni uomo e della sua relazione con Dio. Le opinioni su Dio, varie, non interessano al magistrato che non può proibirle. (III lettera sulla tolleranza, p.323).

 Con precisione analitica, soprattutto nella terza lettera, Locke analizza la natura della credenza religiosa e nell’affermazione costante della sua importanza avverte anche che mai è compito del magistrato intervenire. Lo Stato che è un’unione per determinati scopi, non prevede quello dell’unità di fede e dei contenuti religiosi e pertanto questa, frutto della coscienza di ogni singola persona, è nella persona e non può essere considerata nell’ambito politico.

 La tolleranza è tra i sudditi che si riconoscono nello stesso stato valida ed auspicabile, tranne che per i cattolici e per gli atei. Costoro, al pari dei papisti, “Infine, non sono assolutamente da tollerare che negano che esista una divinità. Per un ateo, infatti, né la parola data, né i patti, né i giuramenti, che sono vincoli della società umana, possono essere stabili o sacri; eliminato Dio anche soltanto col pensiero, tutte queste cose cadono. Inoltre, che elimina dalle fondamenta la religione per mezzo dell’ateismo, non può in nome della religione rivendicare a se stesso il privilegio della tolleranza” l’esistenza di Dio. Promesse, impegni e giuramenti che costituiscono i vincoli fondamentali di una società umana non hanno valore per un ateo. L’escludere l’esistenza di Dio, anche solo nel pensiero, li scioglie tutti; inoltre coloro che, con il loro ateismo, minano e distruggono la religione, non possono avvalersi di alcun argomento religioso per rivendicare il privilegio della tolleranza. Per quanto riguarda le altre opinioni pratiche anche se non del tutto esenti da errori, se esse non aspirano al potere o all’impunità nella società civile, non si può dare nessuna ragione per cui le chiese in cui sono insegnate non debbano essere tollerate” (I Lettera sulla tolleranza, p.172, cfr. M. Lussu, Hobbes, Locke e l’intolleranza verso l’ateo, “Riv. di Storia della filosofia”, 2000, fasc. 4, reperibile nel web).

 Una prospettiva di tolleranza che inquadra la piena libertà di coscienza nel rispetto necessario di un riconoscimento dell’esistenza di Dio. Coloro che non “godono del privilegio della tolleranza”, ossia i cattolici e gli atei, non sono considerati sudditi. Lo Stato non entra nel merito delle idee professate; ogni persona e ogni gruppo religioso possono seguire quelle che ritiene più opportune, purché non danneggi le relazioni reciproche.

 È la tolleranza liberale, essa non si preoccupa della verità o falsità delle opinioni religiose, ma degli scopi dell’unità statale, che non sono mai identificati con quelli di una particolare visione religiosa.

 La tolleranza nata per far sì che le varie opinioni religiose potessero convivere tra loro, si è via via trasformata in un’affermazione piena della libertà di coscienza in ogni campo, escluso chiaramente quello del possibile danno reciproco. La tolleranza è un modo di salvaguardare lo Stato, non entra nel merito delle opinioni o “idee” professate. Ognuno può ritenere le proprie o quelle del gruppo/setta, chiesa, club, associazione ecc., cui appartiene come assolute. Nessun vincolo per le idee e le concezioni del mondo, esse sono tutte valide e tutte tollerate, con la condizione che non nuocciano all’insieme. Con il tempo la chiusura all’ateismo si è quasi del tutto attenuata, resta quella contro il mondo cattolico che è per certo mondo inglese ancora un “atteggiamento” che manifesta intolleranza, che è poi quella che manifestano tutti coloro che temono che le proprie idee possano cadere nel confronto. Ma qui si tratta di un nuovo ambito di tolleranza, quella che si apre al dialogo, e rifugge le proprie idee erette ad idola ossia a pregiudizi, stereotipi derivati dalla propria mente, frutto di scarse e o imprecise letture e meditazioni, dalla famiglia, dall’appartenenza politica e soprattutto dalla paura di driver fare “fatica” a mutare o perlomeno mettere in discussione le proprie opinioni.

 

Con John Locke si afferma una tolleranza nello Stato, che non coincide certo con quella tra gli uomini, è un modo per salvaguardare le finalità dello Stato nei confronti dei diritti naturali.

 È un’affermazione della libertà di coscienza che non ha più alcun dovere o valore in comune con le altre, ma solo l’affermazione di se stessa. Un’etica comune è solo in relazione ai comportamenti reciproci, non nella riflessione sulla finalità del bene e quindi è tendenzialmente una negazione dell’etica stessa, che comporta anche la negazione di un possibile diritto comune, lasciando ad ogni singolo l’arbitrio di se stesso e delle relazioni, soprattutto quando nemmeno un fondamento di rispetto è considerato valido.

 

 nr. 13 anno XIX del 5 aprile 2014

Il grillo parlante. La nascita della tolleranza (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)

 

 

 



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