“La storia non dev’essere altro che un’immagine della verità e quasi un dipinto degli avvenimenti, che è sottoposta al giudizio di tutti nella piena luce del popolo”. Così Jean Bodin nel 1599 scriveva nel suo importante saggio Methodus ad facilem historiarum cognitionem, edito a Strasburgo e che segna una delle tappe miliari dello “scrivere la storia”. Siamo, purtroppo abituati fin dai manuali scolastici ad una visione della storia che si dice “critica” e in realtà è raccontata a partire da due presupposti. Il primo, di chiara filiazione marxiana: “il presente spiega il passato” ovvero con le categorie contemporaneo giudichiamo il passato. Così interpretiamo il mondo degli uomini come un continuo conflitto di classe, come spiega il pensatore di Treviri ne Il manifesto del partito comunista, scritto insieme a F. Engels. Il secondo è che per analizzare una vicenda storica bisogna avere prima una posizione, ossia una visione generale della storia, che non dipende dagli avvenimenti storici, che sono l’unico vero oggetto d’indagine dello storico, ma da una visione che dipende da una filosofia della storia, ovvero prima pongo le linee guida, indipendentemente dalla storia, e poi giudico la storia stessa. La storia dell’umanità è stata una storia conflittuale, nell’indagine storica ricerca il conflitto, ma, considerato che ritengono il conflitto, la guerra direbbe Eraclito, il motore della storia, tutto quello che non è “scontro” non assume che un valore marginale, quando nullo.
La storia è interpretata prima di conoscerla, e i documenti servono ad avvalorare la tesi assunta. Un piccolo esempio. Il proletariato italiano non ha ancora fatto la rivoluzione, ciò deriva da una chiara e precisa volontà dei potenti che intendono negare la possibilità stessa dell’emancipazione. Così nella storia rilevo i documenti che servono ad attestare tale tesi e non analizzo quando invece il proletariato sia stato incapace di fare la rivoluzione. Così il biennio che precede la Marcia su Roma, vede protagonisti solo i fascisti che picchiano e fanno ingurgitare olio di ricino agli avversari, che “quasi colombe” sembrano non reagire mai, ma essere solo vittime. Noi si narra nessun episodio nel quale i fascisti le prendano sonoramente dai socialisti. Una visione che vede i buoni, i socialisti, i comunisti da un lato e i cattivi dall’altro che sono i fascisti.
Similmente nei tragici avvenimenti dal 1943 al 1947, da un lato i partigiani, particolarmente quelli aderenti al Partito Comunista, validi, impegnati, seri e disinteressati e fautori di un vero rinnovamento politico, dall’altra i partigiani non “rossi” (si ricordino gli avvenimenti di malga Porzius) e i fascisti che impedivano ai compagni la conquista dei nuovi orizzonti per lo Stato Italiano.
Appare chiaro che questo modo di “spiegare” la storia risente di una prospettiva ideologica, frutto di necessità di partito e non di scienza. Se l’intento fosse ben chiaro, come lo è nelle agiografie, non vi sarebbero problemi. Da subito chiaro l’intento, da subito la coscienza di trovarsi di fronte ad una narrazione che tende ad avvalorare la posizione assunta priori. La storia però esige un’altra strada, quella della chiarezza, della trasparenza, il che vuol dire semplicemente che prima di tutto debbono parlare gli avvenimenti. È quindi necessario conoscerli in tutte le nouances, ossia le sfumature.
Avvertiva questa necessità A. Tasca nel suo Nascita e avvento del fascismo (Paris 1938, rist. Bari, Laterza, 1971) quando avvertiva: “ poiché ricostruire un’epoca, trasferire una grande esperienza non è possibile se gli eventi non si compongono prima nei loro fattori, nelle interferenze delle cose e degli uomini, giungendo ovunque alla cellula, a quel regno del microscopico senza di cui anche per la storia non c’è progresso possibile.” Con chiarezza Tasca ci fornisce la linea del lavoro che deve compiere lo storico. Una strada complessa e difficile, che richiede pazienza nella ricostruzione degli avvenimenti, nella loro descrizione, nella reciprocità e nella conoscenza delle cause e degli effetti. Tutto senza le due pregiudiziali che sopra abbiamo indicato e con la disponibilità ad allargare gli orizzonti di conoscenza e di valutazione. Un conto è l’affermazione contro un movimento politico per ragioni politiche e un altro è delineare la storia. La frammistione di parzialità politica e storia, produce quella ideologizzazione che finisce con il negare valore sia alla storia sia alla politica, come attesta il giudizio di P. Togliatti del 1928 sul fascismo (A proposito del fascismo, rist. in Società dicembre 1952, pp. 591 sgg.). Scriveva il Migliore: “ il fascismo è il sistema di reazione integrale più conseguente che sia esistito fino ad ora nei paesi dove il capitalismo ha raggiunto un certo grado di sviluppo. Questa affermazione non si basa sugli atti terroristici feroci, né sul gran numero di operai e contadini assassinati, né sulla crudeltà dei sistemi di tortura applicati su vasta a scala, né sulla severità delle condanne; è motivata dalla soppressione sistematica totale di ogni forma di organizzazione autonoma delle masse… Come spiegare questo lato così caratteristico del fascismo italiano? Sarebbe assurdo ed erroneo ricercarne le cause nelle intenzioni specialmente feroci del fascismo… o scoprirvi quella specie di malattia collettiva che i rachitici ideologi della democrazia pura e del pacifismo cretino hanno voluto designare col nome di psicosi bellica, malattia della violenza ecc. La soppressione totale delle libertà democratiche…corrisponde a necessità particolari del regime capitalistico italiano e della sua stabilizzazione” (testo riportato da R. De Felice, Le interpretazioni del fascismo, Roma-Bari, Laterza, 1986, pp.212-13). È questo un chiaro esempio di lettura ideologica, che riflette da una prospettiva senza considerare l’intero, ma Togliatti in quel periodo è in Unione Sovietica dove Stalin rafforza il totalitarismo comunista che ha dato il via a tutti i totalitarismo del Novecento fin dal 1917. Inoltre il protagonista del comunismo italiano vede il fascismo solo come l’alleato del capitalismo, il nemico della classe operaia per la sua ferocia e non intende riflettere sulla natura della sua visione politica che certamente “democratica” non fu fin dalle origini, perché legge il popolo solo come classe operaia e non nella sua complessità, che racchiude tutte le parti di una società, di uno Stato, come ben ha evidenziato Hanna Arendt nel suo saggio sul totalitarismo.
Cercare di evitare questa prospettiva e tentare di delineare un momento particolare in una zona delimitata, è il compito che si è assunto Fabrizio Scabio con la recente pubblicazione del volume 600 giorni di storia della repubblica Sociale Italiana a Vicenza, stampato dalle Grafiche DIPRO, Roncade (TV) 2015.
Fin dalla frase di apertura, dopo la dedica alla madre, l’Autore delinea la linea che ha guidato la sua ricerca: “ Non troverai mai la verità se non sei disposto ad accettare anche ciò che non ti aspettavi”. Un’espressione forte, che è in precisa sintonia con quella di Jean Bodin, che abbiamo posta all’inizio di questa nostra recensione.
In diversi capitoli Scabio delinea gli avvenimenti che si sono svolti nel territorio vicentino, dopo la nascita della Repubblica Sociale Italiana (14 novembre, 1943 con il congresso di Verona e l'approvazione della "carta sociale"), che ebbe a Montecchio Maggiore la sede del Ministero della Marina e fino all’inquieto dopoguerra.
Il momento centrale delle crisi del fascismo è proprio il luglio del 1943, dopo lo sbarco alleato in Sicilia. Cade il fascismo e lo Stato Italiano con il sovrano Vittorio Emanuele III riprende il potere che conservava solo formalmente. Ciò non fu senza conseguenze, anzi fece iniziare quel periodo che va sotto il nome di Resistenza o lotta partigiana o come ormai si suggerisce guerra civile o addirittura guerra tra due stati, il Regno d’Italia e la Repubblica Sociale Italiana.
Il quotidiano di Vicenza durante il fascismo
Vicenza appartiene alla Repubblica, alleata della Germania e da questa di fatto condizionata. Nel territorio vicentino dal 25 luglio 1943 al novembre vi è un gran fermento di energie spirituali, morali. Ricordiamo che Mariano Rumor si affaccia direttamente alla politica, il filosofo Mario dal Pra, docente al Liceo “A. Pigafetta” di Vicenza nel settembre si unisce alle forze partigiane del Partito d’Azione come fece Antonio Giuriolo e altri. Nello stesso tempo, Mussolini liberato dai Tedeschi organizza, con l’avvallo di Hitler, il nuovo Stato Italiano e benché non vi sia certo grande entusiasmo ed adesione, anche nel territorio vicentino si costruiscono le basi militari e civili del nuovo Stato. Soprattutto si cerca di potenziare la struttura militare con la costituzione di nuovi reparti della Repubblica che Scabio, su fonti archivistiche, ben ricostruisce, indicando le fonti del saggio; interessante la Lista dei caduti Civili e Militari tra il settembre 1943 e il maggio 1945. Successivamente l’Autore delinea i problemi che la neonata Repubblica incontra nell’ambito dell’ordine pubblico, della borsa nera e dei bombardamenti che dal Natale 1943 colpiranno la popolazione, provocando ingenti danni. Un importante capitolo, Il nemico potrebbe essere tuo fratello, è dedicato alla lotta ai ribelli o partigiani che si svolse nel territorio vicentino con controlli a tappeto e l’instaurazione di una preponderanza della polizia. Antonio Giuriolo, dopo esser stato ferito, trova un primo rifugio a Bologna anche per curarsi, probabilmente al Centro Rizzoli dove operava il grande ortopedico Oscar Scaglietti, allievo di Vittorio Putti, per poi andare sull’Appennino, dove morì, a combattere contro il fratello nemico e i suoi alleati tedeschi.
Mario dal Pra - Antonio Giuriolo
Le Repubblica Sociale Italiana terminò nel sangue, non era riconosciuta da quasi nessun Stato, neppure dalla Spagna di F. Franco, che tanto fu aiutato dal fascismo. La guerra non finì velocemente, lasciò strascichi dolorosi ancor oggi con le foibe di Tonezza del Cimone e di Monte San Lorenzo, con la rappresaglia di Monte Crocetta e l’Eccidio di Schio, forse avvenimenti che potevano essere evitati, ma ben sappiamo che la guerra, soprattutto se fratricida, è madre di lutti e rovine.
La ricostruzione che Scabio ci ha proposto fa luce sulla vicende vicentine della Repubblica Sociale Italiana ed appartiene a quella “sfumatura”, ma è un grande lavoro, del corso più generale della storia della Repubblica che vien detta “di Salò”. Quest’opera si affianca alle diverse sulla Resistenza, che è stato oggetto di molto studio e di diversi approfondimenti e ci offre un quadro più vasto che dobbiamo conoscere, per uscire dalla visione ideologica della nostra storia e nel valore della scienza storica conoscere quanto è accaduto e che ha fondato la Repubblica Italiana, che ha necessità del concorso di tutti i suoi cittadini per il suo benessere nella pace.
Bassorilievo a Vicenza, Palazzo Balzafiori: Clauduntur belli portae
nr. 12 anno XX del 25 marzo 2015