NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
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Con scienza e coscienza

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Con scienza e coscienza

Ippocrate

 

Con l’espressione “con scienza e coscienza” si suole riassumere il giuramento che i medici pronunciano da secoli, ossia, secondo la tradizione, dal medico greco Ippocrate, all’atto di iniziare la loro vita attiva nell’ambito della medicina e oggi anche della chirurgia e dell’odontoiatria. In Italia esso si richiama a quello antico, di cui non si conosce la data di stesura, ma è considerato non precedente il IV secolo a.C. La sua importanza emerge dalla lettura del giuramento stesso e ciò consente la comprensione di quale importanza abbia avuto ed ha la professione del medico-chirurgo/odontoiatra.

 

Versione italiana:

 

“Giuro per Apollo medico e Asclepio e Igea e Panacea e per tutti gli dei e per tutte le dee, chiamandoli a testimoni, che eseguirò, secondo le forze e il mio giudizio, questo giuramento e questo impegno scritto:

di stimare il mio maestro di questa arte come mio padre e di vivere insieme a lui e di soccorrerlo se ha bisogno e che considererò i suoi figli come fratelli e insegnerò quest'arte, se essi desiderano apprenderla, senza richiedere compensi né patti scritti; di rendere partecipi dei precetti e degli insegnamenti orali e di ogni altra dottrina i miei figli e i figli del mio maestro e gli allievi legati da un contratto e vincolati dal giuramento del medico, ma nessun altro.

Regolerò il tenore di vita per il bene dei malati secondo le mie forze e il mio giudizio; mi asterrò dal recar danno e offesa.

Non somministrerò ad alcuno, neppure se richiesto, un farmaco mortale, né suggerirò un tale consiglio; similmente a nessuna donna io darò un medicinale abortivo.

Con innocenza e purezza io custodirò la mia vita e la mia arte.

Non opererò coloro che soffrono del male della pietra, ma mi rivolgerò a coloro che sono esperti di questa attività.

In qualsiasi casa andrò, io vi entrerò per il sollievo dei malati, e mi asterrò da ogni offesa e danno volontario, e fra l'altro da ogni azione corruttrice sul corpo delle donne e degli uomini, liberi e schiavi.

Ciò che io possa vedere o sentire durante il mio esercizio o anche fuori dell'esercizio sulla vita degli uomini, tacerò ciò che non è necessario sia divulgato, ritenendo come un segreto cose simili.

E a me, dunque, che adempio un tale giuramento e non lo calpesto, sia concesso di godere della vita e dell'arte, onorato degli uomini tutti per sempre; mi accada il contrario se lo violo e se spergiuro”.

Con scienza e coscienza (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica) 

 Galeno

 

Nell’ambito della professione medica, esercitata in Italia, la Federazione Nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri il 23 marzo 2007, ha stabilito la forma attuale del giuramento:

«Consapevole dell'importanza e della solennità dell'atto che compio e dell'impegno che assumo, giuro: di esercitare la medicina in libertà e indipendenza di giudizio e di comportamento rifuggendo da ogni indebito condizionamento;

di perseguire la difesa della vita, la tutela della salute fisica e psichica dell'uomo e il sollievo della sofferenza, cui ispirerò con responsabilità e costante impegno scientifico, culturale e sociale, ogni mio atto professionale;

di curare ogni paziente con eguale scrupolo e impegno, prescindendo da etnia, religione, nazionalità, condizione sociale e ideologia politica e promovendo l'eliminazione di ogni forma di discriminazione in campo sanitario;

di non compiere mai atti idonei a provocare deliberatamente la morte di una persona;

di astenermi da ogni accanimento diagnostico e terapeutico;

di promuovere l'alleanza terapeutica con il paziente fondata sulla fiducia e sulla reciproca informazione, nel rispetto e condivisione dei principi cui si ispira l'arte medica;

di attenermi nella mia attività ai principi etici della solidarietà umana contro i quali, nel rispetto della vita e della persona, non utilizzerò mai le mie conoscenze;

di mettere le mie conoscenze a disposizione del progresso della medicina;

di affidare la mia reputazione professionale esclusivamente alla mia competenza e alle mie doti morali;

di evitare, anche al di fuori dell'esercizio professionale, ogni atto e comportamento che possano ledere il decoro e la dignità della professione;

di rispettare i colleghi anche in caso di contrasto di opinioni;

di rispettare e facilitare il diritto alla libera scelta del medico;

di prestare assistenza d'urgenza a chi ne abbisogni e di mettermi, in caso di pubblica calamità, a disposizione dell'autorità competente;

di osservare il segreto professionale e di tutelare la riservatezza su tutto ciò che mi è confidato, che vedo o che ho veduto, inteso o intuito nell'esercizio della mia professione o in ragione del mio stato;

di prestare, in scienza e coscienza, la mia opera, con diligenza, perizia e prudenza e secondo equità, osservando”“.

 

Si comprende bene che la professione è investita di un compito deontologico preciso che è necessario proprio perché il medico e altre attività umane non sono un “lavoro”, ma un’attività che si esplica in relazione ad un’altra persona, capace di interagire con il medico stesso in un rapporto complesso nel quale non entra solo la conoscenza specifica di colui che presta il servizio medico, ma anche colui che lo riceve. Infatti, l’attività umana può esser suddivisa in due grandi settori. L’operare con realtà inanimate (le realtà materiali) che esige un lavoro “ a regola d’arte” e con esseri animati, ossia capaci di azione e reazione rispetto a quanto sia svolto nei loro confronti. Questo esige un’attività che tenga costantemente presente la scienza, per gli aspetti operativi e la coscienza sia dell’operatore sia di colui sia riceve l’intervento.

Sono pertanto attività professionali, quelle del medico, dell’infermiere, dell’operatore di assistenza, dell’insegnante, dell’avvocato, del veterinario, del giornalista, del bibliotecario e così via. Ognuna queste esige che colui che la professa sia non solo preparato all’attività con specifiche e adeguate conoscenze, ma che le sappia anche applicare e saper considerare colui che riceve appunto quanto il professionista ritiene sia necessario operare o quanto è chiamato a fornire.

 Il grande tema della deontologia professionale che affianca la dimensione morale, propria di ciascuna persona, è fondamentale nella società odierna. Ciò in considerazione del fatto che non si può più parlare nella nostra società di un’identità etica, ad esempio quella cristiana cattolica o quella luterana. La diversità di modelli etici se da un lato pone agli studiosi il tema della ricerca di una possibile etica universale che possa prescindere dalle dimensioni di confessione religiosa, dall’altro pone ostacoli, talora insuperabili, nella relazioni c tra le persone. Né è esempio chiaro il divieto del S. Corano per le donne di poter rimanere da sole in un ambiente chiuso con un maschio che non sia un familiare.

Con scienza e coscienza (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica)

 

  Eleanor Roosevelt presenta la Dichiarazione…

 

 

Il mondo contemporaneo che ritenuto che la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo potesse offrire una solida base per un mondo più giusto, “Tuttavia i risultati non sono stati sempre all’altezza delle speranze. Alcuni paesi hanno contestato l’universalità di tali diritti, giudicati troppo occidentali e questo spinge a cercare una loro formulazione più comprensiva. Inoltre, una certa propensione a moltiplicare i diritti dell’uomo, in funzione più dei desideri disordinati dell’individuo consumista o di rivendicazioni settoriali che non di esigenze oggettive per il bene dell’umanità, ha contribuito non poco a svalutarli” (Alla ricerca di un’etica universale: nuovo sguardo sulla legge naturale, a cura della Commissione Teologica Internazionale, Roma, Lib. Ed. Vaticana, 2009, p.7). Ciò non è avvenuto, ai diritti ci si richiama, ma in realtà essi restano facilmente “lettera morta”

 La via che le professioni hanno intrapreso, anche sull’esempio di quella medica, è stata, soprattutto nel mondo statunitense, quella del Codice deontologico, ma negli anni anche in Italia, oltre a quello medico, si è provveduto a formulare diversi codici professionali. Si riteneva che ogni professione dovesse dichiarare in modo evidente “lo stile” con il quale operava e renderlo pubblico, in modo che colui che riceveva le prestazione potesse avere conoscenza e coscienza della professione alla quale si rivolgeva per ottenerne i servizi.

 Accanto all’esigenza e spesso la stesura del Codice deontologico per la professione relativa si ritiene anche importante che i futuri professionisti fossero formati al codice stesso, accanto alla conoscenza degli elementi, le discipline, caratterizzanti la futura attività, la riflessione sul modo di esercitare nei confronti di coloro che alla professione si rivolgevano. Forse la parte più carente è stata ed è proprio quella della formazione alla coscienza professionale. Nelle formazioni infermieristiche, in quelle di Operatore Socio-sanitario vi sono specifici insegnamenti di Etica e Deontologia professionale, non risulta lo stesso per la professione medica e altre, come quella degli avvocati, dei Bibliotecari. Si preferisce lasciare al singolo la propria formazione deontologica, che è richiamata, per i medici, solennemente, al loro ingesso nell’Ordine dei medici e odontoiatri, ma non per le altre professioni, nemmeno quella degli operatori di Assistenza che pure hanno la disciplina nel curriculum formativo.

Il Codice Deontologico dei medici e odontoiatri, in Italia nasce nel 1912 e nel corso degli anni modificato fino all’ultimo entrato in vigore il 16 dicembre 2006 e comprende, oltre alla definizione 75 articoli.

Non è l’unico; esistono in Italia i Codici Deontologici per gli Infermieri, dei Fisioterapisti, dei Logopedisti, i Veterinari, quello Forense, quello per gli Psicologici, dei Giornalisti, del Bibliotecario, ecc. Questi sono parte integrante della professione e sono emanati dagli Ordini o Federazioni relative. Vi sono poi in circolazione altri codice deontologici che non hanno ancora una precisa ufficialità, come quello per gli insegnanti proposto dalla Scuola Secondaria di I° grado “Giuseppe Perotti” di Torino, o quello proposto a cura dello scrivente e dell’Associazione Genitori de “La Nostra Famiglia” sezione di Vicenza “, frutto di un più che decennale insegnamento presso la Scuola Regionale di formazione degli Educatori e Operatori, funzionante a Camposampiero (PD) e Feltre (BL) e che l’ULSS n.6, ha preso in considerazione in un importante Convegno anni fa, ma non ha adottato; chissà perché?

 Il tema del Codice Deontologico è importante come si è avuto modo di costatare nell’elenco riportato, ma il problema non è quello della stesura, pubblicazione, il problema è quello del valore e del rispetto ad esso attribuito. È vero che esistono le leggi a tutela del cittadino nei confronti delle professioni, è vero che si è addirittura impostato un “Tribunale del malato” per gli aspetti legali e professionali degli assistiti dai medici negli ospedali, ma il punto non è solo giuridico, è appunto etico da un lato e deontologico dall’altro.

 

Dimensione etica

 L’etica o morale, stesso etimo, greco ethos = costume, latino mos/moris = costume, è una parte della Filosofia pratica; le altre sono la Logica, la Filosofia teoretica e l’Estetica. Il suo campo di riflessione è l’agire dell’uomo verso un fine massimo e questo è il Bene ed è tale perché non è individuale, seppur si rifletta nella soggettività, ma riconoscibile e riconosciuto. Non ha una sola dimensione storica, anche se nel tempo si realizza. Non si confonde né con i diritti né con l’utile, del primo si occupa la riflessione giuridica volta alla giustizia, del secondo l’economia.

 Nel corso dei secoli la filosofia ha proposto vari modelli di riflessione etica, fino a negare anche la possibilità dell’esistenza di una morale, considerato che ogni singolo può formularsi da se stesso le proprie norme o operare secondo la propria volontà. In alcune di queste ultime prospettive si accetta lo stato come regolatore, attraverso leggi, delle relazioni tra i singoli, in altre, come quella fondata da Max Stirner (1806-1856), nemmeno lo Stato può intervenire nella volontà appettiva del singolo.

 I modelli etici proposti dalla filosofia sono numerosi e talora complessi (cfr. il mio Modelli di ragionamento etico e Deontologia, U.L.S.S. Camposampiero (Pd) 1994, rist. 1995), ma hanno in comune la prospettiva di proporre come finalità il Bene che procura all’uomo la felicità. Ad esempio il ragionamento etico di Aristotele, il sillogismo pratico, mira alla definizione di ciò che è bene e quale sia l’azione conseguente, purché il soggetto “deliberi” di coniugare all’aspetto teorico quello dell’azione. Ciò che propone lo Stagirita è ben chiaro. È bene passeggiare dopo mangiato; Ho mangiato, allora passeggio, purché decida razionalmente di compiere l’azione. (cfr. Aristotele Etica Nicomachea; C. Natali, La saggezza di Aristotele, Bibliopolis, Napoli, 1989; E. Berti, Aristotele e l’odierna rinascita della filosofia pratica, in “Ragioni Critiche”, III (1988), pp. 17-22). Oppure, l’Imperativo categorico come è definito da I. Kant ne Il fondamento della metafisica dei costumi e non già, come spesso ritenuto, ne La critica della ragion pratica. Imperativo categorico parte dalla volontà soggettiva di un’azione, ma colui che lo pone, si chiede sempre se questa massima azione possa ad un tempo divenire norma universale. L’esempio di grande attualità che il filosofo tedesco propone, quello dell’eutanasia, evidenzia come il singolo essere umano non possa mai prescindere dalla dimensione dell’umanità. Di cui lui è espressione. Sono queste solo citazioni, che meriterebbero ben altro approfondimento, ma possono essere considerate come paradigmatiche per la comprensione della finalità dell’etica in campo filosofico, che va distinto da quello delle religioni.

 

 Nell’ambito delle fedi religiose, l’analisi diviene ancora più complessa, perché le norme di comportamento sono costruite dall’uomo in relazione al riconoscimento di una o più divinità e spesso si esprimono solo nel culto, o sono dettate dalla divinità attraverso un uomo, come, ad esempio Mosè o Maometto. I dieci Comandamenti o le norme contenute nel S. Corano, cui spesso si affiancano anche norme derivate come il Talmud o il vele per le donne islamiche, che pare non sia prescritto nel S. Corano.

 Infine vi è la norma per l’azione rivelata dallo stesso Dio, come nel cristianesimo attraverso l’Incarnazione stessa della divinità, Gesù Cristo, ed, ricordandola, l’amore per Dio e il prossimo

 Molte morali di origine religiosa sono prescrittive, ossia stabiliscono spesso anche le modalità di esecuzione della norma stessa, ad esempio il Ramdan o la prescrizione talmudico di utilizzare gli abiti fino alla loro consunzione. Il Cristianesimo invece chiede, come le altre l’assenso, ma implica una dinamica diretta del fedele, al quale non viene precisato come debba agire ma solo la sostanza dell’agire, lasciando alla sua libera coscienza che vive nella Chiesa (Agape) le modalità di esecuzione. Ad esempio dopo il sacco di Roma, 1527, Filippo Neri e Ignatio di Loyola organizzarono per i bambini orfani e abbandonati dei “collegi per li putti gratis”, stanzoni e da mangiare quello che si riusciva. Oggi i due forse sarebbero denunciati considerato che oggi abbiamo ben altri modi per sovvenire alle necessità degli orfani. Ma il valore dell’amore del prossimo, la carità non era differente allora come ora.

 L’Europa anche dopo le vicende della Riforma, aveva come modello più che quelli filosofici, quello cristiano, pur declinato secondo le varie confessioni. A Vicenza la sede attuale del Ginnasio-Liceo “A. Pigafetta” era un luogo dedicato e curato per i bambini abbandonati, sostituito in tempi successivi dal complesso di San Rocco, dove è ancora visibile la “ruota”, e qui era posto il neonato abbandonato. Oggi non vi è più a Vicenza un orfanotrofio, ma solo “una culla termica” in Contrà Burci, Istituito Santa Chiara, per eventuali abbandoni di neonati, voluto dal Movimento per la vita di Vicenza.

 Nei paesi europei e in quelli comunque collegati, come in America, era comunque presente un’identità etica che indicava alle coscienze la prospettiva delle “buone azioni”, così come nel mondo arabo, l’Islam prescriveva le azioni, o nel mondo tibetano, il buddismo ecc.

 La complessità del mondo contemporaneo a partire dalla metà del secolo scorso, ossia l’incontro più diretto tra popolazioni di varia prospettiva religiosa e quindi etica unita alle nuove riflessioni etiche, comprese quelle che negano la morale, ha determinato che non sia più possibile l’identità etica precedente e che non ci si può esclusivamente richiamare alla propria. È nata l’esigenza, almeno problematica, di una sorta di “etica mondiale” che fosse il frutto del dialogo tra le diverse religioni, filosofie e culture in genere. Il Parlamento delle religioni del mondo nel 1993 ha reso pubblica una Dichiarazione per un etica planetaria, cercando di individuare un consenso minimo per quanto riguarda valori obbliganti.

 L’ideale di un etica che abbia validità universale e globale è più un’esigenza intellettuale che non una possibilità reale. Ha l’indubbio merito di porre la questione e di indicare una via, ma è di difficile percorribilità perché non è realizzabile secondo uno schema di tipo parlamentare, in altre parole “a maggioranza” implicando religiosi, sapienze particolari che affondano le loro radici in una storia millenaria.

 Due sono le vie intraprese per tentare un approccio solutivo alla questione, la prima, più generale è quella dell’affermazione dei diritti naturali e universali; la seconda quella della definizione delle relazioni interpersonali attraverso un codice deontologico.

 La prima è quella della dignità dell’uomo e dei sui diritti inviolabili, sulla scia di quelli elaborati dalla filosofia con John Locke e le successive affermazioni delle Dichiarazioni dei diritti dell’uomo sia durante la Rivoluzione francese, sia nel 1948 adottata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Accanto a queste numerose altre sui diritti dell’infanzia, delle persone con disabilità ecc. Anche queste “Carte” però non hanno una vita facile, sono spesso disattese e generano situazioni di conflitto tra i cittadini e gli enti, prima di tutto lo Stato che sono tenuti a applicare. La nascita di un tribunale mondiale che valuti l’applicazione delle Carte non ha incontrato facile adesione e i suoi lavori sono spesso condizionati più dalle scelte politiche degli Stati, molti dei quali non accettano il tribunale stesso.

 La seconda è più semplice, ma anche la più vicina alle persone, è quella che prescinde dalla adesione ad una determinata prospettiva etica e indica nella strada della deontologia il mezzo per stabilire al meglio in ogni campo le relazioni tra gli uomini in determinati campi professionali, medicina, insegnamento ecc. Le professioni esercitate nei vari Stati, tenute al rispetto della legislazione ivi vigente, propongono un “patto” dove si assumono la responsabiltà della propria professione e delle azioni che questa è chiamata a svolgere.

 

Dimensione deontologica

 La deontologia, dal greco antico, significa “ciò che si deve fare” e nasce, come termine, con Geremia Bentham (1748-1832). Al pensatore inglese il nome servì per indicare la sua teoria in ambito morale, cioè l’utilitarismo il cui principio é: la massima felicità possibile per il maggior numero possibile di persone, ossia raggiungere il piacere e allontanare il dolore, cfr. Deontologia o Scienza della moralità, in italiano solo estratti pubblicati da Paravia e C. Edit. Tip., Torino,1931. Ebbe come oppositore A. Manzoni con il saggio Del Sistema che fonda la morale sull'utilità.(introduzione, commento P. E. Lamanna in ID, Scritti storici e pensieri sulla storia, Padova, Liviana, 1972. Il termine fu utilizzato anche da A. Rosmini (1797-1855), il quale con il termine scienze deontologiche indica quei saperi che trattano gli enti come debbono essere acciocché siano perfetti e al cui vertice vi è la morale che indica la via della perfezione all’uomo.

 Il termine però non ha seguito nessuno dei due significati accennati, ma è stato utilizzato per indicare, come ricorda il Dizionario dell’Enciclopedia Treccani: ” il complesso delle norme di comportamento che disciplinano l’esercizio di una professione”. Queste norme elaborate dalla professione per la professione e raccolte in un Codice sono vincolanti per gli aderenti, che in genere appartengono ad un “ Ordine”, il quale si impegna anche a valutare il comportamento deontologico dei suoi membri nell’esercizio professionale, stabilendo, nei casi più gravi, anche la sospensione o la radiazione dall’Ordine stesso.

 Dovrebbero esistere tanti Codici deontologici quante sono le professioni. Ognuna di queste stabilisce, dopo aver definito la propria natura, le norme comportamentali da assumere nell’esercizio delle attività che le sono proprie. Certo il primo e fondamentale punto di riferimento per ogni professione è la “legge” dello Stato in cui viene svolta l’attività. Di per sé il Codice Deontologico non aderisce a nessun modello etico, ma è una sorta di patto che la professione stabilisce per l’esercizio della propria attività, a ma ha una grande importanza perché chi fruisce delle prestazioni può esigere che esse siano in conformità delle norme deontologiche e può richiedere all’Ordine la verifica del reale loro rispetto.

 L’importanza di questi Codice è nella loro chiarezza che andrebbe conosciuta sia da coloro che sono tenuti a rispettarlo sia da coloro che usufruiscono dei servizi.

 Il punto principale è che il Codice investe due campi, quello delle conoscenze, la scienza, ivi comprese le tecniche di applicazione che il professionista possiede in virtù degli studi, degli aggiornamenti e delle conoscenze derivate dal consolidato dell’esperienza professionale stessa. Accanto a ciò norme di comportamento ben definite e soprattutto praticate nei confronti dei fruitori della professione. Non si tratta di quella “buona educazione” alla quale ogni uomo è tenuto nelle relazioni con gli altri uomini: questa è una base generale, le norme comportamentali deontologiche si riferiscono direttamente agli atti professionali.

 La conoscenza e l’applicazione del Codice Deontologico costituiscono base di formazione delle professioni e i futuri professionisti o coloro che già esercitano sono tenuti al rispetto preciso e puntuale. Certo non è facile, certo la complessità dei rapporti umani non trova talora nemmeno “la buona educazione”, ma il professionista, in quanto tale non può derogare con atteggiamenti personali, insofferenze nei riguardi del fruitore o determinare norme a seconda delle situazioni e delle persone. Ciò sempre in relazione alle leggi e agli eventuali regolamenti degli enti presso i quali si svolge un’attività professionale. È sempre consentito la variazione delle norme deontologiche, ma mai ad arbitrio individuale, sempre con deliberazioni dell’Ordine preposto alla professione.

In breve la scienza e la coscienza entrano direttamente nelle professioni e i Codici deontologici disciplinano l’esercizio della professione stessa. Non si può chiedere alla professione oltre quello stabilito dalle leggi e dal Codice, ma si può esigere l’assoluta applicazione sempre di leggi e norme.

 Alla base delle relazioni umane che non potranno mai essere determinate solo dalle leggi e dalle norme, vi è una consapevolezza etica, se v si vuole generale e anche un po’ generica, che può essere indicata in due termini fondamentali.

Il primo è quello della comune appartenenza, sia del professionista, che del fruitore all’umanità, che in una considerazione fondamentale, costituisce il fondamento stesso di ogni relazione tra gli esseri umani e che esige una via di perfezione e nel tempo questa via ha assunto varie strade: la buona educazione, le leggi dello Stato, i Regolamenti, i Codici Deontologici che danno chiarezza sulle professioni ed infine, ma in realtà secondo elemento fondativi, la fiducia che deve essere alla base delle relazioni.

 La fiducia ha due direzione. La prima è quella di colui che chiede l’intervento professionale; infatti, egli si rivolge a colui che ha scienza di un determinato campo per aspetti, che spesso sono problematici e addirittura dolorosi- Colui che ripone nel professionista la propria fiducia ha necessità che sia rispettata la sua richiesta di soluzione, anche quando la risposta dovesse essere negativa, ovvero quando il professionista, ad esempio, non sia in grado di risolvere il problema posto. Chiedere ad un notaio la soluzione di un problema fisico, non rientra nelle competenze, ma, a dire il vero, l’umanità che dovrebbe essere nel notaio stesso dovrebbe far sì che egli potesse, se conosce, indicare la strada di una soluzione, rivolgendosi ad un altro professionista.

 La mancanza di fiducia da parte di un possibile utente determina la negatività della relazione professionale stessa; infatti, la fiducia riposta non è automatica ma dipende da molti fattori: la scienza del professionista, il pregresso esercizio della professione stessa, la garanzia dell’ente nel quale il professionista svolge la sua attività e, giova sempre ricordarlo, la dimensione di umanità e di rispetto della dignità umana.

 La seconda è quella che il professionista è in grado di fornire a colui che richiede il suo intervento e ciò avviene attraverso la ”fama” che il professionista acquisisce e che non dipende solo dalle capacità scientifico-tecniche, ma dalla sua dimensione di “persona”, ovvero il saper accogliere e intervenire in quanto richiesto, senza alcuna supponenza o chiusura alle informazioni dovute.

 In particolare nel caso in cui operino diversi professionisti, anche con mansioni diverse, ad esempio il medico e l’infermiere. Ognuno agisce secondo la propria professione, ma nella condizione di un’armonia di intervento capace di fornire quel rapporto di fiducia che non si raggiunge perché prescritto da leggi, regolamenti e norme, ma perché è la vera dimensione di ogni incontro umano. Forse la carenza di fiducia in tutte le direzioni, determina l’esigenza di norme vincolanti, ma forse si dovrebbe preferire parlare di norme non per questa stessa carenza, ma perché sia preciso ciò che regola l’attività.

 Il Codice deontologico assume così una valenza eccezionale, in quanto rafforza la possibilità del rapporto fiduciario tra professionista e fruitore e nella chiarezza delle modalità di intervento aumenta anziché diminuire quel rapporto necessario.

 Il Codice Deontologico non richiede un rispetto formale, ma sostanziale, in quanto stabilisce a priori le modalità con le quali agisce una professione, coscienze di se stessa e come tutte le professioni di essere sempre e comunque al servizio della persona-

 Le difficoltà non mancano e si possono ravvisare sia nel fruitore sia nel professionista, ma la disponibilità, che non è una misura del tempo retribuito, dovrebbe regolare ed aiutare a migliorare. Purtroppo a questo si sta sostituendo sempre di più la prospettiva “dei diritti” e anche qui bisogna notare che la legge non potrà mai prescrivere un vero rapporto di fiducia, dove scienza e coscienza reciproche entrino in una dinamica di migliore qualità delle professioni, dei servizi e dei fruitori stessi. In particolare ciò è richiesto quando il rapporto si svolge non è a carattere “privato”, ma pubblico, scuole, ospedali, centri di accoglienza ecc. Dato che questo rapporto non è regolato, né dovrebbe esserlo, sulla base di un pagamento di prestazioni professionali, il rapporto fiduciario diviene ancor più importante perché “gratuito”, ovvero pagato dallo Stato con le tasse che impone ai cittadini. Se ogni uomo può anche dilapidare il proprio patrimonio, quando questo è pubblico, si esige il massimo rispetto sia da parte di chi eroga il servizio sia da parte di chi ne fruisce, dato che la responsabilità è di tutti i cittadini nei confronti di se stessi.

 Il Codice deontologico inoltre stabilisce anche le relazioni tra i professionisti e gli enti nei quali svolgono la loro attività; le norme evidenziano le modalità d’azione e sempre è implicata la necessità di migliori azioni possibili, attraverso modifiche.

Con scienza e coscienza (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica)

 Conclusione

Le relazioni umane hanno a loro fondamento una dimensione di bene e questo dovrebbe sempre essere tenuto presente al fine di operare nel migliore dei modi possibile, riuscendo a fare al massimo anche le piccole cose. La perfezione è quel “buon luogo” cui mirare nella consapevolezza che esso non è facile e forse nemmeno propriamente raggiungibile, ma è uno stimolo al quale concorre anche il Codice deontologico che non presuppone una determinata “etica” ma esige che le azioni compiute dai professionisti siano in connessione con la conoscenza – scienza - e con la coscienza di chi è chiamato ad utilizzare verso un’altra persona quelle conoscenze. Non è mai sufficiente la scienza, se questa non ha vero riscontro nella coscienza nella dimensione di una rapporto fiduciario che è biunivoco, soprattutto quando è necessario dare informazioni che richiedono consenso o diniego. Ciò non può essere ridotto ad una prassi burocratica mediante moduli e sigle non comprensibili, ad esempio ad un paziente nell’ambito medico. Vi è l’impegno, la responsabilità del professionista, che applica tutte le conoscenze scientifiche e tecniche e la coscienza di compiere ciò al meglio, ma anche la responsabilità del fruitore che ha coscienza dell’importanza del professionista nei suoi riguardi e agisce conformemente ad essa. Certamente le relazioni umane non sono sempre facili, soprattutto quando vi sia uno stato di sofferenza, ma l’impegno del professionista sovviene ossia è sussidiario in quanto chiamato a portare aiuto a coloro che ne necessitano e lo richiedano. La professione è tale nella relazione che implica sempre una reciprocità e non un’esecuzione al meglio di un’attività nei confronti di un’altra persona. Purtroppo oggi prevale più il compiere quanto necessario, dimenticando che ci si rivolge ad una persona, ad un essere che interagisce. Gran parte delle difficoltà che si possono riscontrare nelle relazioni umane professionali derivano dall’applicazione delle azioni necessarie cui non vengono associate anche le relazioni umane. La professione non è un’asettica applicazione delle conoscenze; non implica una dimensione empatica - anche se ciò andrebbe discusso- ma non è nemmeno un’indifferenza o modalità nelle quali il professionista si ritiene “non coinvolto” e tende a considerare il fruitore solo nella prospettiva delle sue capacità scientifico-tecniche.

Il Codice deontologico che implica sempre scienza e coscienza, è uno strumento, ma va vissuto nell’esperienza professionale perché questa possa svolgersi al meglio.

 

Appendice

Riportiamo l’inizio di alcuni Codici deontologici per evidenziare come sia importante per le professioni avere sempre coscienza della propria specificità Codice deontologici

Codice deontologico dei medici e odontoiatria

 

“ Definizione.

Il Codice di Deontologia Medica contiene principi e regole che il medico-chirurgo e l'odontoiatra,

iscritti agli albi professionali dell'Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri, di seguito

indicati con il termine di medico, devono osservare nell'esercizio della professione.

Il comportamento del medico anche al di fuori dell’esercizio della professione, deve essere consono al decoro e alla dignità della stessa, in armonia con i principi di solidarietà, umanità e impegno

civile che la ispirano.

Il medico è tenuto a prestare la massima collaborazione e disponibilità nei rapporti con il proprio

Ordine professionale.

Il medico è tenuto alla conoscenza delle norme del presente Codice e degli orientamenti espressi

nelle allegate linee guida, l’ignoranza dei quali, non lo esime dalla responsabilità disciplinare.

Il medico deve prestare giuramento professionale.

 

Codice deontologico forense

 

“Preambolo.

L’avvocato esercita la propria attività in piena libertà, autonomia ed indipendenza, per tutelare i

diritti e gli interessi della persona, assicurando la conoscenza delle leggi e contribuendo in tal modo

all’attuazione dell’ordinamento per i fini della giustizia.

Nell’esercizio della sua funzione, l’avvocato vigila sulla conformità delle leggi ai principi della

Costituzione, nel rispetto della Convenzione per la salvaguardia dei diritti umani e

dell’Ordinamento comunitario; garantisce il diritto alla libertà e sicurezza e l’inviolabilità della

difesa; assicura la regolarità del giudizio e del contraddittorio.

Le norme deontologiche sono essenziali per la realizzazione e la tutela di questi valori”.

 

Codice deontologico degli psicologici italiani

Art.3.

Lo psicologo considera suo dovere accrescere le conoscenze sul comportamento umano ed utilizzarle per promuovere il benessere psicologico dell’individuo, del gruppo e della comunità.

In ogni ambito professionale opera per migliorare la capacità delle persone di comprendere se stessi e gli altri e di comportarsi in maniera consapevole, congrua ed efficace.

Lo psicologo è consapevole della responsabilità sociale derivante dal fatto che, nell’esercizio professionale, può intervenire significativamente nella vita degli altri; pertanto deve prestare particolare attenzione ai fattori personali, sociali, organizzativi, finanziari e politici,

al fine di evitare l’uso non appropriato della sua influenza, e non utilizza indebitamente la fiducia e le eventuali situazioni di dipendenza dei committenti e degli utenti destinatari della sua prestazione professionale.

Lo psicologo è responsabile dei propri atti professionali e delle loro prevedibili dirette conseguenze.

 

PROPOSTA DI CODICE DEONTOLOGICO per l’educatore professionale e l’Operatore di assistenza

(Dicembre 1998)

“Premessa.

L'Educatore Professionale e l’Operatore di Assistenza fanno riferimento ai profili professionali, alla specifica preparazione acquista nei rispettivi Corsi di Formazione, alle vigenti disposizioni di legge e alle caratteristiche di ogni singola istituzione (Statuti, Regolamenti, ecc.) nelle quali si trovano ad operare. In ogni situazione l'Educatore e l'Operatore si inseriscono nell'insieme dei Servizi programmati dalle strutture sociali, dagli sforzi individuali e sociali rivolti a consentire ad ogni persona o gruppo di superare con un aiuto organizzato e partecipato, la situazione di svantaggio in cui si trova e con il tempo a rimuovere le cause\fattori dello stato di bisogno, promovendo le condizioni per cui le persone e i gruppi godono pienamente della loro dignità nel pieno rispetto, garanzia e tutela dei loro doveri e diritti, favorendone il possibile grado di autonomia e di proposta”.

 

Altri sono facilmente reperibili in internet.

 

Italo Francesco Baldo

 

nr. 06 anno XIX del 15 febbraio 2014



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