NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
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Ancora in parete, ma alla ricerca di che cosa?

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Ancora in parete, ma alla ricerca di che cosa?

La pratica alpinistica è sempre un qualcosa a metà tra il risultato sportivo/umano ed il fatto estetico in quanto nel contesto della montagna, di per sÈ bella, c'è il gesto fisico e atletico dell'uomo, pure molto bello e ci si può anche far distrarre dalla meta vera che è quella della ricerca dei limiti dell'uomo stesso: cosa ne pensate?

CLAUDIO TESSAROLO- Mi piace partire con il concetto dell'estetica anche se enfatizzerei di più le caratteristiche dei due amici al mio fianco: Silvio è uno dei massimi specialisti mondiali del free climbing, è vicecampione italiano solo perché può allenarsi tre ore al giorno anziché le sei di chi ha vinto per il fatto che ha un lavoro, è fisioterapista, il che gli impedisce di trascorrere tutto il giorno in parete. Mario è uno dei più grandi himalaysti in circolazione e non parlo di Veneto o Italia, parlo di contesto mondiale. Sull'aspetto estetico dico che va abbinato all'etica dato che la montagna ha tanto più fascino in quanto concentra appunto l'attività fisica all'atteggiamento etico, ci parla di pensieri elevati, tutte cose che al livello del mare, diciamo così sono meno sollecitate. Reffo e Vielmo sono testimoni di tutto questo anche grazie allo spirito con cui vanno in montagna senza velleità competitive fine a se stesse. Per entrambi si tratta di una attività che presenta e propone rischi e pericoli che possono essere controllati e gestiti a patto che si mantenga un alto livello di coscienza.

MARIO VIELMO- Sono d'accordo con Claudio. Le due attività hanno un filo parallelo che le unisce anche se sono così diverse poi nei particolari di fondo e anche nelle tecniche. L'ingrediente principale è l'equilibrio assieme alla concentrazione, all'attenzione scrupolosa per quanto si sta facendo, senza distrazioni o leggerezze. Frequentando montagne più alte in ambiente estremo debbo dire che si estremizza anche il pericolo che ti sottopone a mille pericoli come valanghe, scarichi di sassi, crepacci, tempeste. Poi c'è la fisiologia del corpo, i congelamenti, gli edemi, tutti fattori che rientrano in un contesto più pericoloso di qualsiasi altra disciplina sportiva. Dopo i cinquemila metri, dove normalmente si monta il campo base, ci si trova già al 50 per cento di percentuale di ossigeno, in cima all'Everest la disponibilità peggiora ancora perché siamo a un terzo del totale: il corpo per vivere equilibrato deve respirare e lì è nella stessa condizione di un motore scarburato. È un ambiente dove l'uomo non sopravvive più di due giorni. Questo dovrebbe spiegare già parecchie cose, se si cercano spiegazioni.

SILVIO_REFFO (Art. corrente, Pag. 2, Foto generica)SILVIO REFFO- La mia attività non comporta i pericoli ambientali dell'alpinismo ma invece pericoli di gestione, di infortuni, occorre una preparazione di base molto buona, che non può essere mai poco intensa; da undici anni mi alleno sempre più forte dato che poi il gioco dell'arrampicata è davvero quello di cercare il limite reale delle nostre possibilità. L'alpinismo cerca il limite nell'ambiente estremo e contrario. La differenza sostanzialmente è questa, ma in entrambi i casi mi pare di poter dire che è fondamentale curare meticolosamente la parte che riguarda la preparazione. Senza la migliore preparazione non si va da nessuna parte. Non si tratta comunque di attività accessibili a tutti e difatti occorre una preparazione lunga e come dicevo davvero molto accurata. Il climbing vuole agilità e molti altri ingredienti. Le vie estreme presentano inclinazione, appigli piccoli e sfuggenti, quindi movimenti intensi, anche se si va da 20 metri fino a 60 di salita o di tempi che variano da 5 a 15 minuti, sempre approssimativamente. Ho aperto anche una via, una piccola via, ma chiaramente si tratta di exploit che non vengono gratuitamente. Anche il peso è importante, deve essere contenuto, ci sono molti giovani che cominciano a praticare, poi ognuno progredisce secondo le sue possibilità.

Anche se parliamo di costi c'è qualcosa da dire: l'arrampicata sportiva costa poco o niente mentre per preparare e poi portare a termine un'impresa come quelle himalayane di Vielmo servono molti soldi e servono quindi gli sponsor.

MARIO VIELMO- Costa moltissimo a partire dal volo che costa 1000 euro a persona a parte poi tutto il resto con organizzazione, royalties per frequentare la montagna; sono una quota, una specie di tassa dovuta al paese ospitante perché chiaramente è una risorsa importante viste le condizioni economiche di Nepal e Pakistan; dopo di che c'è il materiale, il personale di appoggio, e tutto il resto. Moltissime spese. Prima un gruppo di sette persone sull'Everest pagava 50mila dollari, ora si è aperta la possibilità anche per il singolo di fare la propria spedizione pagando la sua quota che individualmente è molto più bassa. Stiamo parlando di Everest, K2, cioè Himalaya e KaraKorum. Lasciando il discorso delle spese, il contesto è molto pericoloso, sempre, una situazione dove l'errore o la fatalità qualche volta costano la vita come al mio amico Stefano sul K2. C'è un margine non controllabile che veramente rimane fuori da qualsiasi prevenzione o previsione. D'altra parte l'ambiente è estremo e l'uomo è fatto per vivere qui, non là in cima.

CLAUDIO TESSAROLO- Sì, quando muore qualcuno è sempre non solo un dolore insopportabile per chi gli era al fianco anche in quel momento, ma anche un fatto difficilissimo da spiegare poi quando si torna in patria. Là in alto vanno soprattutto giovani e la morte di un giovane è appunto poco o nulla comprensibile o sopportabile. Una motivazione credibile o accettabile non c'è mai, ma si sa che la problematica dell'alta quota è quella del rischio. Mi sento però di dire anche che se l'uomo non avesse mai rischiato nella sua esistenza non si sarebbe mai scoperto niente di niente per cui credo che alla fine tutto possa diventare comprensibile, perché è appunto la sfida assolutamente comprensibile. Ovviamente, inutile dirlo, la morte di un ragazzo non lo è.



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