NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
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OPINIONI: La Carta del lavoro e l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori di Italo Francesco Baldo; La riforma della scuola di Mario Giulianati

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OPINIONI: La Carta del lavoro e l’articolo 18 dell

G. Pelizza da Volpedo, La marcia del quarto stato

 

La Carta del lavoro e l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori

 Ogni tanto riaffiora il problema dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, che sembra essere quasi un dogma, tanto è indiscutibile, anzi, a differenza del dogma che può essere meditato, l’articolo in questione si deve accettare e basta. Chiunque tenti almeno di esaminarlo criticamente, è bollato immediatamente di antioperaismo e nemico di quella classe operaia che si fa fatica a rintracciare nel mondo contemporaneo, ma che è una delle categorie sociologiche che serve per conservare l’ideologia che nemmeno il crollo del Muro di Berlino in molte teste italiane ha scalfito. L’articolo 18 è l’emblema del sindacato in Italia, dove sembrano attuali queste parole “ il sindacalismo non è un programma; è la stessa vita della classe operaia, e l’opera dei buoni e dei saggi deve consistere nel cercare di rendere questo fatto ognor più cosciente, energetico e volontario”., come affermava nel 1924 Angelo Oliviero Olivetti (Ravenna, 21 giugno 1874 – Spoleto, 17 novembre 1931 in Il sindacalismo come filosofia e come politica.Lineamenti di sintesi universale, Milano Alpes, 1924, p.50. L’esponente del sindacalismo rivoluzionario, poi di quello corporativo, non aveva certo dubbi sul ruolo egemone del sindacato, ma i tempi cambiano, per nostra fortuna e dobbiamo non inseguirli vanamente, ma saper cogliere il meglio delle nostre epoche e agire di concerto, soprattutto in materie così contingenti come la politica e l’economia.

Un po’ di storia aiuta a riflettere come sempre, anche se non ad insegnare come avrebbe voluto il grande Cicerone.

Lo Stato italiano ha avuto nel corso della sua ormai centenaria storia due documenti ufficiali, che hanno cercato di impostare con precisione il mondo del lavoro. In realtà i due testi di legge si differenziano notevolmente, come vedremo. Il primo la Carta del Lavoro, redatta da Carlo Costamagna, riveduta e corretta da Alfredo Rocco; il testo fu approvato dal Gran consiglio del fascismo il 21 aprile 1927 e benché non avesse valore di legge o di decreto, non essendo allora il Gran consiglio organo di Stato ma di partito, essa fu pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 100 del 30 aprile 1927. La Carta accompagnata da una Relazione di Giuseppe Bottai ebbe grande diffusione e fu punto di riferimento per i contratti anche locali, come quello dei casari nella provincia di Vicenza. La Carta fu salutata anche da esponenti non fascisti come corretta “ per i pratici beneficii che i lavoratori non erano mai riusciti a raggiungere attraverso i cartelloni demagogici della democrazia e che invece allora essi realizzavano, nella perfetta soddisfazione dei datori di lavoro”., sostenne sempre Giuseppe Bottai.

OPINIONI: La Carta del lavoro e l’articolo 18 dell (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)La Carta era una delle espressioni con cui il fascismo si era presentato nel 1919 nel Manifesto dei Fasci italiani di combattimento, pubblicato su "Il Popolo d'Italia" il 6 giugno 1919; è la prima realizzazione dello stato corporativo. Giungeva dopo i primi tentativi in tale direzione di G. Giolitti, dare una visione coerente e organica di tutto il mondo del lavoro, in sintonia, dati i tempi, con la situazione politica di allora. Il secondo documento, lo Statuto dei lavoratori, fu emanato come legge del 20.05.1970 n° 300 e pubblicata sulla “Gazzetta Ufficiale” il 27.05.1970, mentore il ministro socialista G. Brodolini, e riguarda solo ed esclusivamente il mondo dei lavoratori, assumendo in ciò una visione parziale e unidirezionale, ma, ricordiamo si era all’indomani del cosiddetto “autunno caldo” e la sinistra aiutata anche da quella extraparlamentare, intendeva abbattere qualsiasi residuo di proprietà privata, come era stata abbattuta la statua di G. Marzotto a Valdagno (VI) il 19 aprile 1968.

 La differenza tra i due testi di legge è forte. La Carta del Lavoro del 1927 ha una visione complessiva del problema e del mondo del lavoro nello Stato Italiano nell’ottica del corporativismo fascista. In essa sono esaminati, infatti, in quattro capi lo Stato corporativo e la sua organizzazione; il contratto collettivo di lavoro e le garanzie del salario; gli Uffici di collocamento, secondo le indicazioni della Convenzione Internazionale di Washington del 1919 ed infine la previdenza, l’assistenza, l’educazione e l’istruzione da realizzare anche da parte delle associazioni dei lavoratori nel campo professionale, affiancando l’Opera Nazionale Dopolavoro, nata nel 1925. Il testo ha una sua precisa organicità che investe i complessi rapporti tra le parti sociali e la funzione direttrice, organizzativa e mediatrice dello Stato. Significativo è il riconoscimento (art.3) che l’organizzazione sindacale o professionale è libera, ma., come oggi, “ solo il sindacato legalmente riconosciuto e sottoposto al controllo dello Stato ha il diritto di rappresentare legalmente tutta la categoria di datori di lavoro o di lavoratori per cui è costituito”. Al proposito ricordiamoci quanto dovettero lottare contro i sindacati più noti, quelli di base per partecipare alle trattative!

 OPINIONI: La Carta del lavoro e l’articolo 18 dell (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Lo Statuto dei lavoratori del 1970, invece, ha la sola preoccupazione di tutelare la libertà la dignità dei lavoratori, comprendendo la libertà e l’attività sindacale nei luoghi di lavoro e le norme sul collocamento. Manca di una visione complessiva ed individua nei datori di lavoro solo una controparte in senso negativo. Se nell'impresa vi sono attività di tipo culturale o ricreativo (art.11) gli organismi devono essere formati a maggioranza dai rappresentanti di lavoratori. Il sindacato diventa l’arbitro effettivo del mondo del lavoro, ben 18 articoli su 41 lo riguardano. Lo Statuto recepisce la situazione di quegli anni, tra l’altro la figura del lavoratore studente, la negazione di qualsiasi possibilità di “sindacati di comodo”, i permessi retribuiti ed in particolare con l’art.28, una forte repressione della condotta antisindacale da parte dei datori di lavoro, è uno degli articoli più lunghi insieme a diciottesimo, di cui diremo.

Il dibattito storico intorno ai due documenti non è mai stato affrontato in modo preciso, la condanna e l’ostracismo di tutto quello che è stato compiuto durante i governi di Mussolini, ha riguardato anche l’analisi storica, lo ha pagato il tentativo di R. De Felice di fare appunto la storia del fascismo. Oggi possiamo invece tentare di dare almeno uno sguardo più neutrale su tale periodo, esaminando anche le leggi per il campo del lavoro, che costituivano la base dello Stato italiano. Non a caso l’art. 2 della Carta del lavoro afferma: ” Il lavoro sotto tutte le sue forme organizzative ed esecutive intellettuali, tecniche e manuali è un dovere sociale. A questo titolo, e solo a questo titolo, è tutelato dallo Stato”. Come non ricordare al proposito che l’art. 1 della Costituzione recita: “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”. Non si tratta d’identità, ma di riconoscimento dell’importanza del lavoro, che avviene indipendentemente dalla diversità politica e che i grandi padri della Consulta, intesero affermare in modo preciso e non s intesero il lavoro solo come sfruttamento, come avviene da quasi trent’anni!

OPINIONI: La Carta del lavoro e l’articolo 18 dell (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Un’analisi dettagliata certamente occuperebbe molto tempo, ma proprio oggi che si discute dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, uno sguardo a come fu risolta dalla Carta del Lavoro la questione merita qualche cosa di più che la semplice curiosità storica. Nella Carta del lavoro l’art. XVII stabilisce: “ Nelle imprese a lavoro continuo, il lavoratore ha diritto, in caso di cessazione dei rapporti di lavoro per licenziamento senza sua colpa, ad un’indennità proporzionata agli anni di servizio. Tale indennità è dovuta anche in caso di morte del lavoratore”. Che semplicità d’indicazione!. Nello Statuto, Richiamandosi all’art. 7 della legge del 15 luglio 1966, n.604 si stabiliscono solo vincoli per i datori di lavoro ai quali è reso molto difficile la possibilità di licenziamento. Solo nel caso in cui il lavoratore acconsenta al licenziamento è dovuta un’indennità pari a quindici mensilità e non come nella Carta del lavoro in proporzione agli anni. Se non vi è assenso deciderà la Sezione Lavoro dei Tribunali, cfr. legge 11 agosto 1973, n. 533.

 L’attuale dibattito politico, dovrebbe rileggersi quanto è stato stabilito in precedenza e non ridursi alla sola discussione su un articolo, ma prendere in esame tutto il problema del lavoro, In questa prospettiva non solo il Parlamento ed il governo, i sindacati, ma anche tutta la società civile, come si usa dire, deve essere coinvolta a discutere il proprio futuro, appunto quello che vede lo Stato Italiano fondato sul lavoro e sull’impegno di tutti verso questo bene civile, senza interessi “di bottega”.

Italo Francesco Baldo

nr. 30 anno XIX del 6 settembre 2014 

 



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