NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
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Mario Dal Pra e Antonio Rosmini di Italo Francesco Baldo; Il rinnovamento regionale di Mario Giulianati

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Mario Dal Pra e Antonio Rosmini di Italo Francesco

Mario Dal Pra

 

Mario Dal Pra e Antonio Rosmini

 Mario Dal Pra di cui ricorre quest’anno il centenario della nascita (Montecchio Magg. (VI) - Milano 1992), è stata una delle figure più importanti nell’ambito della storia della filosofia negli ultimi cinquant’anni. Dopo gli studi liceali, condotti nel Seminario di Vicenza, frequentò la Facoltà di lettere e Filosofia a Padova si laurea con Erminio Trailo con un’importante dissertazione teoretica sul realismo e il trascendente. Insegnò, dopo la laurea all’Istituto Magistrale “Don Giuseppe Fogazzaro” di Vicenza, al liceo Scientifico P. Paleocapa” di Rovigo e al Ginnasio-Liceo “A. Pigafetta” di Vicenza. Gli avvenimenti bellici lo portarono a Milano e alla scelta “partigiana”; con il nome di Procopio curò la stampa clandestina del partito d’Azione. Fu condannato, ma la “scelta” fece maturare nel giovane una prospettiva di ricerca filosofica molto diversa da quella precedente, cattolica. Si avvicinò al marxismo e ai partiti che in Italia cercavano un’attuazione del programma delineato dai partiti che facevano riferimento al pensatore di Treviri. Insegnò al Ginnasio. Liceo “G. Carducci di Milano ed intraprese la via accademica, divenendo docente di storia della filosofia alla Statale di Milano, succedendo ad Antonio Banfi. Moltissime ed importanti le sue ricerche; ebbe fin dalla laurea l’apprezzamento del suo maestro Erminio Troilo e della commissione di laurea che decretò l’onore della pubblicazione per la sua dissertazione dottorale Il realismo e il trascendente (Padova, Cedam 1937). Da quel momento la ricerca del filosofo vicentino proseguì nella direzione d’opposizione al neoidealismo italiano con una visione “cattolica” della vita, fu Presidente dell’Azione Cattolica, e della filosofia, come attestano molte pubblicazioni, tra cui la traduzione della Didaché (Vicenza, Tipografia Com.Le Editrice, 1938 e 1947), il primo “catechismo” cristiano con plauso del vescovo di Vicenza che lo stimava molto, F. Rodolfi. Anche la pubblicazione, quasi coeva allo scritto di B., Croce Perché non possiamo non dirci cristiani del suo Necessità attuale dell’universalismo cristiano, (nuova edizione a cura dello scrivente con Introduzione Vicenza, Editrice Veneta 2005, che troverà nell’opera Valori cristiani e cultura immanentistica un più vasto respiro (Padova, Cedam, 1944) attentano la sua attenzione al mondo cristiano di cui intravede l’importanza storia e morale per l’Europa che si avvia alla catastrofe bellica. Fui anche in anni difficili presidente dell’Azione Cattolica vicentina.

 Nell’ambiente veronese della fine degli anni Trenta ed inizio anni Quaranta del secolo scorso Dal Pra, conoscerà Giuseppe Zamboni e troverà nella rivista “Segni dei Tempi. Rassegna di Scienze morali”, fondata da Paolo Bonatelli e Celestino Cavedoni un punto di riferimento preciso, divenendone prima redattore e dal 1941 Vicedirettore. La rivista si distinse per la sua adesione al fascismo, cessò le pubblicazioni dopo la caduta del regime. Numerosi gli articoli scritti, alcuni dei quali mostrano un giovane attento alle problematiche della filosofia intesa come autentica ricerca della verità. Tra tutti gli articoli uno è dedicato ad Antonio Rosmini. Nel n° 1 dell’anno V (1938) della rivista “Segni dei tempi” dopo un intervento di Primo Mazzolari, Dal Pra affronta il tema Rosmini e la libertà della creazione (pp.35-38), un piccolo studio, che è introdotto da una Nota redazionale, scritta probabilmente dal Direttore P. Bonatelli, che afferma: ” Una precisazione, anche d’un particolare punto dottrinale nel pensiero d’un grande, non è mai da trascurarsi da chi abbia, prima d’ogni cosa, di mira la verità. Tanto più quando questo sia il pensiero di Uno avvezzo a ricamarlo nel tessuto di altre verità, dirette a formare una grandiosa visione d’assieme sullo spirito umano ed i suoi rapporti col divino: com’era il Rosmini. La chiarificazione qui affacciata dal nostro giovane e colto collaboratore – Mario Dal Pra-, potrà, pur essendo limpida nella conclusione, trovare dissenso in coloro che in ogni passo tentato in una direzione intravedono un pericolo, mentre non vedono il ben più grave pericolo dello star fermi segnando il passo per darsi l’illusione di camminare. La Direzione, che lascia a chi scrive sulla Rivista la massima libertà di espressione, è sempre grata a chi, in qualsiasi campo, smuovendo la zolla intatta o quella calpestata, sappia portare alla luce del pensiero anche solo un tenue fermento di verità e di vita.”

 Una precisazione che “mette la mani avanti” perché il Dal Pra affronterà la questione della proposizione 18 ª, delle 40 condannate, quella relativa al problema della creazione libera e del panteismo. Siamo ancora in un’epoca nella quale un certo mondo della filosofia di ambito cattolico “guarda” con qualche sospetto alla filosofia di Rosmini.

Mario Dal Pra e Antonio Rosmini di Italo Francesco (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica) 

 

Antonio Rosmini

 

Credo sia importante riportare prima di tutto l’analisi compiuta dal Dal Pra nella sua interezza, anche in considerazione della relativa brevità del testo.

“Alla creazione è indispensabile il concetto della produzione dal nulla come pure ilo concetto di un atto produttivo essenzialmente libero: Infatti gli argomenti i quali dimostrano l’assolutezza di Dio dimostrano pure che Dio non ha alcun bisogno del mondo e che perciò lo ha fatto esistere liberamente.

 Se insomma Dio è necessitato a creare il mondo, non è più Assoluta ragion d’essere, non è più infinità; poiché Dio e il mondo sarebbero più che Dio unicamente. L’essere assoluto è e non può non essere Sussistenza assoluta e quindi Indipendenza assoluta. Il mondo degli esseri certamente non può esistere senza Dio e al di fuori di Dio, ma poiché Dio ed esseri finiti non sono due principi assoluti, ne consegue che Dio non è rispetto al mondo nello stesso rapporto in cui è il mondo a Dio.

 Escluso il trascendentismo irrelativo, rimane che Dio è ragione d’essere del mondo e non che il mondo è ragione d’essere di Dio; cioè la creazione è assolutamente libera. Asserire dunque la necessità della creazione equivale a negare l’essenza di Dio e la finitezza del mondo degli esseri insieme. Si può parlare di creazione necessaria solo ammettendo col panteismo che Dio ha creato per il bisogno di esplicarsi; di evolversi, di divenire cosciente, di tendere ad una pienezza indefinita dell’essere, così che Dio non è, ma diviene eternamente. Si ritorna allora al Do equivoco che per giungere alla coscienza di sè deve negarsi e quindi porre la negazione della negazione; al Dio che essendo assoluto divenire è assoluto nulla e il quale quando, giunto al termine del processo evolutivo, s’arresta nel suo travaglio, finirebbe proprio allora, per non essere più Dio. Il concetto di creazione viene quindi sostituito dal divenire dell’unica realtà che è Dio e dall’evoluzione dell’essere divino che è l’assurdo del panteismo. Ma per noi il fatto della creazione non può dimostrarsi a priori, non si può cioè dedurre dalla essenza dell’Essere assoluto in quanto tale: a priori si può solamente dimostrare la possibilità della creazione in quanto nel concetto dell’Essere assoluto si include certamente anche la possibilità della creazione.

 Per il concetto di creazione occorrono dunque due elementi: 1) che la creazione avvenga ex nihilo. 2) che sua un atto libero, cioè che l’atto non si confonda con gli atti interni mediante i quali Dio si conosce e si ama per necessità di natura.

 Ora Rosmini parla di una necessità morale della creazione (Cfr. Teosofia, vol. I, pp.49-50). Questa necessità morale di cui parla Rosmini ha fatto anzi che ne venisse fuori la proposizione 18 ª (delle 40 condannate), scritta in latino, che è un riassunto delle parole del Rosmini: e da questa proposizione 18 ª, è dato come certo che Rosmini concepisca Dio determinato a creare il mondo con quello stesso modo con cui conosce e ama se stesso; ossia niente si creerebbe di contingente ab extra, ma tutto si ridurrebbe ad atti interni ed assolutamente immanenti della Divinità necessari come è necessaria la stessa natura divina. È ovvio che sarebbe pretto panteismo.

 Dal concetto esatto invece dell’Essere Assoluto, si deve concludere: 1) che Dio non è costretto da nessuna forza esterna a creare, perché sarebbe assurda una forza superiore a Lui che lo costringesse a creare; quindi la creazione è libera fisicamente; 2) che Dio non è spinto a creare il mondo da una necessità intrinseca della sua natura (come invece è spinto dalla necessità della sua natura a conoscere e a volere sé stesso); infatti Dio è infinito nella sua natura e quindi la creazione è libera metafisicamente; 3) che Dio non è costretto a creare da una obbligazione morale verso gli esseri, perché questi di per sé non esistono affatto e quindi non possono essere soggetti di diritto di fronte a Dio né termini di una obbligazione morale da parte di Dio; quindi la creazione è libera moralmente.

 Come mai Rosmini dunque parla di una necessità morale che spinge Dio a creare il Mondo? Anzitutto Rosmini parla di una necessità di convenienza che è naturalmente una necessità morale, ma di cui bisogna vedere il senso.

 Si noti che anche S. Tommaso (Contra gentes Libro III, cap.28) parla di un debito di con decenza; ma qui interviene la dottrina del libero arbitrio di Rosmini.

 Rosmini ammette la libertà bilaterale, cioè la volontà è libera solo quando sceglier tra l bene soggettivo ed il bene oggettivo (Kant, piacere e dovere). Or la libertà di creare, in Dio, è una libertà bilaterale come quella dell’uomo in questa vita così che l’uomo merita o demerita?

 Questo non è possibile perché l’atto creativo non appartiene alla classe degli atti meritori. L’atto creativo di Dio è libero ma non si può chiamare contingente nello stesso senso in cui chiamiamo contingente il mondo.

 Quindi si addice alla natura divina o è conveniente ad essa la creazione; l’atto creativo è quindi una espansione del suo amore. Ma mentre Dio rivolgendosi alla sua natura è necessitato alle opere ab intra, non è necessitato all’azione ab extra. L’atto creativo noi non lo si può chiamare contingente nel senso che potesse esserci o non esserci in Dio; in Dio nulla c’è di contingente. Una simile illusione antropomorfica è nel credere che ci sia stato un momento in Dio in cui la creazione sia stata altrettanto possibile come la non-creazione. Insomma non dobbiamo concepire la libertà divina nello sesso modo con cui concepiamo la libertà umana, la quale sarebbe per un certo momento indeterminata tra due partiti opposti.

 Il pensiero di Rosmini a questo riguardo non presenta dunque alcun pericolo verso il panteismo.

Mario Dal Pra

 

 

 

 Il 1 luglio 2001 il cardinal Josef Ratzinger, prefetto della Congregazione per la dottrina della Fede, e Mons. Bertone, segretario della medesima, hanno sottoscritto una Nota Sul valore dei decreti dottrinali concernenti il pensiero e le opere del Rev.do sacerdote Antonio Rosmini Serbati. Con questa veniva sollevato della condanna post obitum (dopo la morte) che era stata inflitta a diverse proposizioni dei suoi scritti, emanata da un decreto di papa Leone XIII nel 1887, e pubblicato l’anno successivo. Il provvedimento papale era frutto dell’avversione dei Gesuiti per l’opera del grande Roveretano e che già in vita lo avevano avversato fieramente, riprendendo anche il decreto che papa Gregorio XVI, detto “Decreto del silenzio” del 1843, relativo al trattato Trattato della Coscienza Morale. Ed insistendo per una condanna da parte di Pio IX. Lo stesso pontefice, stanco delle continue sollecitazioni alla condanna del filosofo, nel 1855, un anno prima della morte, con il Decreto, detto Demittantur (sia dimesso), si intimava il silenzio sull’esame per rintracciare errori dottrinali sulle opere del pensatore. Dopo la morte di Pio IX, i Gesuiti, allora massima fautori di una ripresa del tomismo, che Rosmini ben conosceva, ripresero la direzione di una condanna, che avvenne come abbiamo riferito sopra nel 1887. Da tutte le opere del filosofo, fautore anche di un’unità d’Italia confederata, si estrassero 40 proposizioni e le si condannarono, come avverse alla dottrina cattolica. Tale condanna pesò molto, e fu sempre oggetto di riflessione e dibattiti. Tra cui appunto quello riportato di Dal Pra.

 I Gesuiti ritenevano Rosmini “colpevole “ di ontologismo e panteismo, accuse molto gravi. Dal Pra esamina l’accusa di panteismo (Dio è in tutte le cose), e ritiene infondata l’accusa, alla luce del problema della libertà su cui in quegli anni il pensatore vicentino riflette e che trovava un preciso riferimento proprio alle riflessioni rosminiane anche nel campo della società cfr., al proposito, A. Rosmini, La società e il suo fine, Milano, Boniardi-Pogliani, 1839).

 Dopo la “ riabilitazione“ del filosofo Rosmini, il processo per la sua beatificazione ebbe un veloce iter e papa Benedetto XVI con una sua Lettera apostolica, il 15 novembre 2007, dichiarerà che “ il venerabile Servo di Dio Antonio Rosmini, presbitero, fondatore dell’Istituto della carità e delle Suore della Provvidenza – Rosminiane – che, attingendosi alla Divina Sapienza, si è dedicato all’investigazione del misero di Dio e dell’uomo e ha speso la sua esistenza nel ministero pastorale, d’ora in poi sia chiamato Beato…”

 Dal Pra non ritornerà più sulle questioni sollevate da filosofo Rosmini, ne esporrà il pensiero nel suo manuale di Sommario di Storia della filosofia, Firenze, La Nuova Italia, vol. III. Altre, dopo il 1946 e per sua esplicita rinuncia, come ebbe a dire nel 1986, rispetto al cattolicesimo, sono le sue direzioni di ricerca, ma questo piccolo articolo ci chiarisce le ragioni per cui, secondo Dal Pra, la condanna inflitta al pensatore nel 1886 non avrebbe dovuto aver luogo.

 

Italo Francesco Baldo

 

nr. 36 anno XIX del 18 ottobre 2014

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