Nella storia della Chiesa fin dai primi anni di diffusione furono convocati dei concili, ossia delle riunioni che avevano il compito di dare unità ai fedeli nell’ambito della fede e dell’organizzazione della chiesa stessa. Numerosi furono i concili nei primi secoli; secondo la comune opinion il primo fu quello di Gerusalemme che vide protagonisti principalmente gli Apostoli ed ebbe il compito di decidere se per diventare cristiani si dovesse prima diventare seguaci della fede ebraica. La soluzione fu trovata e si stabilì che si poteva ben essere cristiani senza prima essere seguaci della fede di Israele. A questo seguirono numerosi altri fino ad oggi, alcuni dei quali furono importantissimi, come quello di Nicea nel 325 d.C. che stabilì il “Credo” che contiene le verità di fede fondamentali. In questo concilio fu inoltre condannata l’eresia di Ario, che considerava solo la natura umana di Gesù Cristo, una visione questa che in parte sarà ripresa anche dal movimento del modernismo tra fine Ottocento e primo Novecento che vide coinvolto lo scritto Antonio Fogazzaro e che fu condannato da Pio X nell’enciclica Pascendi che non riguarda il problema delle conoscenze scientifiche come spesso si dice, ma la natura della fede in Cristo. Molti concili soprattutto nei primi secoli esaminarono dottrine di fede, che non furono considerate ortodosse, ossia proponibili a tutta la Chiesa, esse erano parziali o affermavano opinioni addirittura contrarie alle verità di fede. Un concilio, il secondo di Toledo nel 525 d.C. 3, esaminò anche la questione se i sacerdoti e i monaci potessero contrarre matrimonio prima della consacrazione o della professione. Temi vari, alcuni dei quali avevano particolare interesse solo per alcune zone. Per questo motivo nel corso dei secoli sono stati distinti i concili ecumenici, ossia quelli della “ casa dove tutti viviamo”, in tutto 28 da quelli relativi a singole diocesi o gruppi di diocesi. Vi sono poi differenze di riconoscimento dei concili da parte della Chiesa cattolica e di quella ortodossa, la prima ne riconosce 21, mentre la seconda 9, perché non riconosce quelli convocati dal patriarca d’occidente ossia il vescovo di Roma ma due sono oggetti di controversia.
Con il concilio di Basilea, oltre al tema della riconciliazione con la chiesa d’orientale, che fu stabilita, si tratto anche del valore del concilio e del papa, discutendo se un concilio sia superiore al papa oppure no. La conclusione fu che il papa è superiore allo stesso concilio. Proprio da questo concilio emerse chiara la tendenza ad una riforma della Chiesa, che fu anche tentata dal Concilio laternanense V (1512-1517) sotto Giulio II e Leone X. Fu un concilio ad reformandam ecclesiam, e terminò proprio l’anno in cui inizia la riforma di Lutero. Il Concilio affermò, dopo le critica di Egidio da Viterbo, che bisognasse tener presente che le questioni politiche sono separate da quelle religiose e che la vita dei presuli, in particolare i cardinali, dovevano essere morigerati e non abusare del nepotismo. Si regolarono addirittura le questioni fiscali. Ma non ebbe efficacia, ormai si addensavano le nubi delle 95 tesi di Lutero, un monaco agostiniano come Egidio da Viterbo. Il tema che Lutero voleva discutere, era quello delle indulgenze e soprattutto del modo con cui si ottenevano. L’indulgenza si acquisisce dopo aver fatto penitenza e questa può consistere in preghiere, pellegrinaggi ( si ricordi quello cui accenna il Petrarca “ Movesi il vecchierel...) o elemosine. Era invalso l’uso dell’elemosina. Per ottenere velocemente denaro per la ricostruzione della basilica di san Pietro, il papa aveva addirittura appaltato la vendita delle indulgenze in Germania alla banca dei Fugger. Costoro anticiparono il denaro, ma vollero incassare subito il denaro e con il relativo aggio. Affidarono il compito al monaco Tetzel, che non predicò certo una vera penitenza, ma addirittura la paura dell’inferno se non si versava un obolo. Lutero, professore di teologia e Sacra Scrittura si decisi a contrastare tale prassi.
A Roma si sottovalutò la questione, definita “una bega tra frati”; così non fu, tanto che quattro anni dopo il papa scomunicò Lutero, il quale aveva richiesto un concilio per dirimere la questione. Iniziarono da quel momento i tentativi di riunire un concilio ecumenico per riformare la Chiesa. Le trattative furono estenuanti, nemmeno Carlo V riuscì in fretta a convincere all’assemblea. Sia da parte romana sia da quella luterana, che si era rafforzata soprattutto con l’assenso di diversi principi tedeschi, che incameravano nella soppressione degli ordini religiosi propugnata da Lutero, i loro territori e li negavano ai contadini (cfr. Guerra dei contadini), si frapposero continue difficoltà. Di sostanza, quali argomenti trattare, di organizzazione, quale assetto dare alla Chiesa e addirittura di sede. Infatti, i luterani non accettavano Roma, ma nemmeno Bologna, quando fu proposta Vicenza nel 1538 sembrò possibile, territorio del dominio della repubblica di Venezia, ma anche vicino all’Impero. Alla fine la soluzione fu trovata in Trento, principato imperiale, ma anche sede di un vescovo, quindi tutele per i luterani e una certa sicurezza per la curia romana. Trento si era già posta all’avanguardia della riforma di tutta la Chiesa con il principe vescovo Bernardino Clesio, un grande umanista corrispondente di Erasmo da Rotterdam.
Il concilio fu indetto solo nel 1542, ma iniziò la sua prima sessione il 13 dicembre 1545, durò dopo varie interruzioni fino al 1563. Discusse tutti i temi della Chiesa, partendo dalla riaffermazione del “Credo” (4 febbraio 1546) alla definizione del dogma della transustanziazione (‘Poiché il Cristo, nostro Redentore, ha detto che ciò che offriva sotto la specie del pane era veramente il suo Corpo, nella Chiesa di Dio vi fu sempre la convinzione, e questo santo Concilio lo dichiara ora di nuovo, che con la consacrazione del pane e del vino si opera la conversione di tutta la sostanza del pane nella sostanza del Corpo del Cristo, nostro Signore, e di tutta la sostanza del vino nella sostanza del suo Sangue. Questa conversione, quindi, in modo conveniente e appropriato è chiamata dalla santa Chiesa cattolica transustanziazione. Oggi non sempre accettata anche da qualche sacerdote vicentino che preferisce parlare di rito assembleare. Delineando anche l’organizzazione ecclesiale, ad esempio l’obbligo di residenza dei vescovi, i registri parrocchiali e condannando le proposizioni non solo luterane, ma anche quelle degli anabattisti, dei calvinisti, degli antitrinitaristi.
L’importanza di questo Concilio emerge chiaramente anche dal fatto che fino all’Ottocento non si convocarono concili, si considerò sufficiente quello e la sua importanza come quella di tutti gli altri è evidente e precisa. Purtroppo non è sempre ben chiarito che un Concilio non cancella i precedenti, ma li tiene sempre a proprio fondamento e le conclusioni, quelle dogmatiche, non certo quelle organizzative, non possono certo essere modificate, nemmeno da un altro concilio, figuriamo da insigni o meno insigni teologi o presbiteri in servizio pastorale presso le parrocchie, dove dovrebbero per prima cosa non confondere i fedeli con le loro “piccole opinioni” o addirittura con liturgie che inficiano il contenuto dogmatico.
Il Concilio Vaticano I convocato da Pio IX nel 1868, è noto soprattutto per la condanna del razionalismo, del materialismo e del fideismo, ma ancor più per la questione dell’infallibilità pontificia che suscitò grande dibattito anche all’interno dei vescovi, tanto che alcuni decisero di allontanarsi da Roma pur di non partecipare al voto. La questione dell’infallibilità del papa quando parla ex cathedra Petri è considerata spesso più sul piano dell’azione del pontefice che non del suo contenuto. John Newman temette che il dogma potesse allontanare molti inglesi dalla conversione al cattolicesimo e in Austria nacque una Chiesa vetero cattolica e con altre fondò L’Unione delle chiese vetero-cattoliche di Utrecht che non riconosce il dogma né dell’Immacolata (1854) né quello dell’infallibilità e in genere i risultati del Vaticano I.
Il Concilio dell’Ottocento fu sospeso a causa della guerra franco-prossiana e più riconvocato. Il papa non l’ha utilizzata spesso, se non per la definizione del dogma. A rigore è necessario ricordare che il papa non richiama per ogni sua dichiarazione al dogma dell’infallibilità, possiamo considerare apertamente l’utilizzo di questo quando Pio XII il 1 novembre 1950 con la costituzione apostolica Mignificentissimus Deus proclamò il dogma dell’Assunzione di Maria al Cielo.
Dopo la morte di Pio XII e l’assunzione al soglio pontificio di Giovanni XXIII il 25 gennaio 1959 annunciò la convocazione dell’ultimo Concilio, il Vaticano II, un concilio importante che pone una serie riflessione sul modo di vivere la fede cristiana nel mondo moderno. Facendo sempre costante riferimento al Vangelo, al Magistero papale, dei Concili e della tradizione. L’11 ottobre 1962 si apriva il concilio ecumenico che vedeva la partecipazione di tutti i vescovi, dei rappresentanti degli ordini religiosi, del mondo laicale, e numerosi invitati delle Chiese cristiane e osservatori vari. Il Concilio vaticano II è considerato da alcuni come una rivoluzione come ebbe a dire un prelato vicentino, seguito anche da altri che considerano il Vaticano II il superamento del Concilio di Trento, anzi il concilio che ha trasformato la Chiesa e l’ha, di fatto, fatta allontanare da quel Concilio considerato, diciamo con sommesse parole” un po’ antiquato e un po’ autoritario”. Peccato che proprio l’attuale pontefice, uno dei teologi del Concilio, abbia sempre sostenuto il contrario e che il Concilio apre all’attenzione all’uomo in tutte le sue manifestazioni, ma ciò è anche esplicito nel Vangelo a dire il vero.
Moli ancora oggi sostengono che ci sia stato un radicale cambiamento, in realtà, si è accentuata da parte di molti esponenti della Chiesa una visione quasi “sociologica” dell’istituzione ecclesiale. Ne sarebbe prova il cambiamento liturgico, Ma questo non è stato fatto dal Concilio, ma a Concilio concluso nel 1971. Il Concilio stabilì la liturgia come culmine della vita ecclesiale, ma non meno lo aveva fatto quello di Trento Il latino non fu certo abolito, forse lo avrebbe voluto un prete toscano, ma non certo i padri conciliari, che pensarono anche a possibili adattamenti liturgici in relazione alle tradizioni e indole dei vari popoli, e alla revisione di alcuni riti come quello del matrimonio, ma salvo sempre la sostanziale unità del Rito Romano. Non fantasie liturgiche come è spesso dato di assistere nelle chiese, m anche vicentine, dove non si reciuta il confiteor e nemmeno il Credo e tutto è incentrato in quello che dice il presbitero, più che nel valore della fede che si esprime nella Messa come memoria del sacrificio di Cristo. Sarebbe lungo dettagliare tutto quello che ha espresso il Vaticano II, ma agli attenti studiosi non è sfuggito al raccordo vero con tutti gli altri concili. Nessuna affermazione precedente è stata abolita, neppure il messale romano o ambrosiano del 1962, come alcuni presbiteri dicono ancor oggi, tanto hanno inviso il rito di Pio V e forse di più il latino che non sanno più e nel quale, secondo disposizioni della Sacrosantum concilium dovrebbe utilizzare per l’Ufficio divino (paragrafo 101). Infatti “secondo la secolare tradizione del rito latino, per i chierici, sia conservata nell’Ufficio divino la lingua latina”.
Forse basterebbe leggere i Messaggi dei Padri conciliari all’umanità per rendersi conto che la sempre nuova e viva Chiesa, sa che la sua storia, la sua tradizione non sono “mode” e che il suo compito è rivolto a tutti ed è nella fede, nella speranza e nella carità e non nelle more dei sociologismi, magari conditi da piccola politica paesana o piccole manifestazioni pacifiste ad uso e consumo non della fede, ma di qualche accorto politicante.
Il Concilio di Trento fu e nei suoi contenuti fondamentali è stato ed è un cardine della Chiesa, averne paura? Ma la paura è in genere di chi non conosce, di chi teme che le proprie opinioni, il soggettivismo, tanto indicato come negativo anche dal Concilio vaticano II, possano essere in difformità. Ecco allora dichiarare che il passato al quale magari ci si è formati come seminaristi, non è più attuale, ma allora anche il Vangelo che è ben più vecchio del Concilio di Trento, perde valore?
Forse anziché lasciarsi andare alla modernità o più spesso alle mode del momento, riprendere in mano la storia della chiesa e considerarla come un frutto della fede, nonostante tutte le difficoltà, i guai combinati dai singoli fedeli, dai gruppi talora, ha un significato perenne, quella fede che è al di là del tempo storico, che vive la storia, ma sa che non è un tempo determinato a decidere della sua validità. Per questo bisogna non aver paura del passato, nemmeno di quel concilio che mirava a unire più che a dividere e non a caso chi non si presentò per tentare il grande valore dell’unità, furono proprio coloro che l’avevano invocato, ma lo temevano perché temevano di perdere le loro opinioni, come oggi si teme sia il Concilio di Trento sia quello Vaticano II perché non “adatto” al mio pensiero.
nr. 24 anno XVII del 23 giugno 2012