NR. 08 anno XXIX DEL 27 LUGLIO 2024
la domenica di vicenza
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Vicenza senza strategie: è fuori da tutto. Ma adesso è ora di svegliarsi e farsi sentire

Sottosegretario a Infrastrutture e Industria, presidente o segretario di alcuni importanti organismi come Brennero Ferroviario e Mose, Mauro Fabris interviene sulla condizione attuale della città rispetto ai grandi progetti infrastrutturali nel Veneto: “Non sappiamo fare una sintesi dei problemi e pensiamo a ipotesi già bocciate; intanto non siamo nemmeno stati in grado di fare un sottopasso davanti alla stazione: come ne usciremo?”

di Giulio Ardinghi

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Vicenza senza strategie: è fuori da tutto. Ma ades

I grandi progetti infrastrutturali di Vicenza e provincia nell’analisi di Mauro Fabris, che alle spalle ha un passato di grande impegno in politica, oggi vicepresidente della società Strada dei Parchi spa la Roma/L’Aquila/Pescara, da sempre ed anche oggi interessato a che cosa si fa per il reale progredire dell’area vicentina, una meta che dovrebbe essere ritenuta scontata da tutti, vista la storia la cultura e la tradizione. Fabris è stato per tre anni viceministro dei ministeri dell’Industria e delle Infrastrutture nei governi di Amato e D’Alema. Successivamente è stato chiamato per 18 mesi, prima del commissariamento, a presiedere il Mose di Venezia ed è stato presidente del Consorzio Brennero Ferroviario. Con Fabris è immediata, oltre che facile, l’analisi sullo stato dell’arte di questa provincia. Che cosa si è fatto e che cosa si farà, per cominciare, ma anche il ruolo della città e della provincia in rapporto alla Regione e rispetto ad una rappresentatività in sede nazionale sulla quale è quanto meno doveroso sollevare qualche dubbio. Il problema effettivo è appunto centrato su quale sia il peso reale di Vicenza e che cosa in base a questa capacità/non capacità di farsi ascoltare si possa ritenere realizzabile a medio o lungo termine, visto che traguardi a breve pare non ci sia da dire molto. O almeno questa è la fondata impressione.

Proviamo a stabilire nel colloquio con Mauro Fabris quali siano le attuali condizioni della capacità contrattuale di Vicenza, ma parliamo anche delle origini lontane e poi sempre riconfermate nei decenni di questa sostanziale incapacità di lasciare il segno rispetto a qualsiasi progetto a cui si sia pensato nel territorio del veneto. La morale di fondo che emerge è la seguente: Vicenza ha dormito oltre il lecito, è finalmente il momento di svegliarsi e non perdere le altre occasioni che si presenteranno, dalla pedemontana alla ferrovia veloce.

VALDASTICO, UNA STORIA INFINITA- È la storia di sempre, lunghissima e piena di lacune, una storia che mise sventurate radici a metà degli anni 70, quando tra la Valdastico in stato di aborto (ideologico/demagogico) permanente e tutto quello che si prometteva e non si realizzava in città (il teatro, con i soldi già disponibili e mai utilizzati) si disegnò per Vicenza e per tutta la sua provincia un quadro più che allarmante: la minaccia era quella che nonostante una Camera di commercio (Danilo Longhi) e una organizzazione come Confindustria, entrambi fortemente motivati, si andasse incontro ad un fallimento generalizzato, profondo, forse senza alcuna possibilità di ritorno. Puntualmente è andata proprio come si temeva ed oggi siamo qui a fare la conta delle occasioni irrimediabilmente finite nella polvere, o nella spazzatura, mentre peraltro tutto quanto è successo, nel settore delle strategie di grande respiro per le opere pubbliche nazionali che attraversano il territorio e quindi gli interessi del Veneto seguono la precisa finalità di lasciar fuori da tutto proprio Vicenza. Autostrade? Fallito il tentativo di ottenere l’assenso di Trento sulla Valdastico Nord quando era la contropartita per la concessione di altri 30 anni della A22, concessione arrivata puntualmente; fallito almeno per ora il disegno dell’Alta Velocità, dal momento che le Ferrovie l’hanno realizzata fino a Verona e tra Padova e Venezia e risulta quindi fuori gioco il progetto delle due stazioni e del tunnel, suggerimenti progettuali che -si sia d’accordo o no- rappresentavano almeno un’idea autonoma per quanto complicata, un’idea propria e non importata; fallita poi anche la speranza di inserirsi nel progetto della metropolitana di superficie che la Regione ha stretto invece sul triangolo Padova/Venezia/Treviso; infine è in stato di grave pesantezza il completamento della Pedemontana, la quale peraltro sarà forse l’unica vera chance residua per pensare ancora che si riesca a completare la Valdastico verso Trento.

Vicenza senza strategie: è fuori da tutto. Ma ades (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)DAI MONDIALI 90 AL DAL MOLIN SPARITO- È la storia di sempre. L’origine di tanto sfacelo è lontana, ben radicata in un periodo identificabile con certezza, che corrisponde grosso modo ad anni in cui c’erano uomini che rappresentavano Vicenza nelle stanze del potere e che poi come blocco di potere si sono sfaldati e sono via via spariti fino a determinare la situazione di oggi. E la situazione di oggi è abbastanza chiara: in Parlamento la provincia di Vicenza ha alcuni rappresentanti volenterosi ma certo senza redini nelle mani, mentre in Regione c’è addirittura un presidente del consiglio (Ciambetti) e poco altro con una politica generale che guarda ai centri di maggiore interesse: non per nulla i tre centri intermodali previsti per Vicenza sono diventati uno (Montebello dopo Bressanvido) e poi nessuno mentre Padova e Verona hanno stabilmente costituito il proprio punto di riferimento per il deposito, trasporto e passaggio delle merci. Se proprio dobbiamo rigirare il dito nella piaga invitiamo il lettore -per quanto male faccia a tutti- a ricordare i campionati del mondo di calcio del 1990 quando il Veneto ottenne vari interventi nel settore delle infrastrutture (Verona e Padova in testa) mentre la tangenziale sud di Vicenza ha pochi ann9i, la Valdastico sud ne ha due, la tangenziale nord non ci sarà ancora chissà per quanti anni, e però si è deciso l’autolesionistica eliminazione dell’aeroporto, suicidio che nessuna città al mondo ha mai pensato di attuare. Vicenza l’ha fatto lucidamente, regalando quell’area alle forze armate americane che vi si sono concentrate abbandonando le loro sedi in Germania e ricevendo in cambio praticamente niente se non l’idea di un parco perfino ironicamente definito “della pace” che direttamente confina con il via vai di mezzi di guerra come quelli della brigata elicotteri e della divisione di paracadutisti, sempre e immediatamente operativi in qualsiasi scacchiere ravvicinato, dai Balcani a Medio oriente.

NEMMENO IL SOTTOPASSO PEDONALE IN STAZIONE…- È la storia di sempre, una serie di deja-vu perfino asfissianti che va, viene e ritorna sempre seguendo una traccia che pare stampata nel bronzo. È assennato darsi ancora degli obbiettivi veramente allargati secondo un orizzonte finalmente più ampio? Magari non proprio assennato, ma sicuramente obbligato. Non si può dimenticare il passato e non tenerne conto come un punto di riferimento da cui tenersi bene alla larga: il lungo sentiero delle occasioni gettate alle ortiche non si può ignorare e quando si fanno progetti sul futuro bisogna rivolgersi la domanda che Fabris sottoscrive: perché non abbiamo saputo nemmeno realizzare un sottopasso pedonale davanti alla stazione ferroviaria? E non è una domanda da poco. Il progetto è vitale sia per l’incolumità delle centinaia di studenti e non che passano da Campo Marzo alla stazione dei treni e dei bus, sia per bonificare una volta per tutte un problema di traffico che ad ogni ora di punta si trasforma in un autentico semi psicodramma causando file ed attese lunghissime tra viale Milano e Santa Libera. Se non siamo stati ancora capaci di concludere una cosa del genere così tutto sommato semplice, alla portata -dice in sostanza Fabris- come possiamo realisticamente pensare di spiccare finalmente il volo verso gli altri obbiettivi, quelli che includono interessi multipli, regionali e nazionali, oltre che (leggi Verona e Padova) interprovinciali particolarmente complicati dai precedenti? Ed è appunto su questo interrogarsi sapendo in sostanza di avere già in tasca le risposte -e sono risposte che non piacciono- che si articola tutto il resto del discorso, discorso che non si limita e mettere insieme la lunghissima teorie delle cose non fatte e delle delusioni, ma che considera fondamentale l’analisi più realistica e più spietata di che qualità sia la classe dirigente di oggi e -ancora più preoccupante la possibile conclusione- se effettivamente ci sia una classe dirigente persuasiva, visibile, efficiente, con idee tanto chiare da poterle mettere in gioco al tavolo delle molte trattative che cominciano regolarmente e regolarmente prendono un indirizzo poco gradito nel risultato finale.



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