La settimana scorsa al teatro comunale di Lonigo l’attrice Patricia Zanco ha portato in scena un bellissimo monologo dedicato a Maria Callas, “Maria Callas, il canto della vergogna”, in cui viene raccontata la vita del celeberrimo soprano in prima persona. Diretto da Daniela Mattiuzzi, lo spettacolo è principalmente di prosa, ma sfrutta la gestualità simbolica tipica di un teatro di ricerca. Chiara D’Ambros accompagna la Zanco sul palco diventando un alter ego muto del personaggio- Callas, ma non per questo meno potente. Lunghissimi gli applausi. Abbiamo incontrato Patricia Zanco ed è intervenuta la regista Daniela Mattiuzzi.
Mi ha colpito molto, all’inizio, la proiezione del video su un mantello spiegazzato tenuto dalla ragazza, questa immagine quasi perduta.
Patricia Zanco: «È un lenzuolo, quasi un sudario, quella è la simbologia. Inizialmente il personaggio doveva essere la Bruna, la domestica della Callas: vedi che lei sistema tutte le cose continuamente, crea gli ambienti e li disfa. Però poi nel tempo, sebbene lo abbiamo fatto pochissimo questo lavoro, in realtà è venuta fuori un’altra figura, non è veramente la Bruna, è una sorta di alter ego, ecco quindi questa cosa del lenzuolo. Venendo, io, anche da un teatro molto crudo e di ricerca con cose abbastanza profonde chiedevo che lei lo tenesse e poi quando finiva se lo portava a sé. Invece, poiché dura 7-8 minuto, stare lì appesa con le braccia per aria è era molto faticoso e allora abbiamo messo una catenella in modo da poterlo sorreggere meglio, altrimenti avrebbe fatto un effetto ancor più crudo».
Chi ha scritto la pièce?
«Luca Scarlini, drammaturgo e traduttore di Firenze che conosciamo da tempo e che aveva già partecipato a un altro spettacolo nostro. il testo è suo, dopo io metto sempre mano ai testi, li costruisco in scena, si tagliano si rimaneggiano; poi Luca è molto libero quindi da questo punto di vista è un autore piacevole. Lui insegna anche alla Holden di Baricco, è proprio esperto di autobiografie e si occupa molto anche di costume. Era la persona giusta per occuparsi di una figura del genere, in un altro modo, non dentro a degli stereotipi».
Nel testo la Callas fa il paragone tra lavoro, se stessa e la psicologia da rotocalco in cui c’è la perfetta descrizione del muro invalicabile che separa la persona dal pubblico, cioè il pubblico vede il personaggio, ma non vede la persona che si consuma studiando.
«È questo. Poi nel caso suo è un’arte complessa, lei è veramente una rigorosissima, è vera quella cosa che quando lei tornava da ore e ore di prove, continuava a studiare e gli altri la prendevano per pazza. Era davvero come diceva la sua maestra: era una brava musicista, lei suonava molto bene il piano».
Il cibo e la musica: il paragone con il Fa Diesis, il Do, il La, il controllo dell’impulso, lei mangia per non essere infelice però dice che ogni boccone è una sconfitta; mi sembra che la musica sia sì un po’ uno scudo, ma allo stesso tempo una forma di arma contro se stessa perché non la porta a far fronte alla sua realtà, ma le crea una realtà parallela.
«Sì, lei ad un certo punto, ancora all’inizio, dice: “Gli altri pensavano che usassi il lavoro come scudo per difendermi dai sentimenti e dal mio corpo esagerato”. Io credo che in questi casi sia molto difficile, quello che abbiamo potuto fare noi è un omaggio, pensando alla donna Maria Callas e quindi anche ai suoi tormenti veri. Secondo me lei davvero ha chiesto aiuto, in un’intervista lei diceva: “io sono la Callas e nessuno mi cerca”, la Callas nel senso quella cantante lì».
Talmente lì e lontana da tutto.
«Non solo, poi aveva veramente un cattivo carattere e quindi non era facilmente avvicinabile, è stata anche vittima di se stessa, davvero. E poi è stata sempre dentro a un tracciato così rigoroso di disciplina fino a quando non ha incontrato Onassis: lei lo incontra nel ‘56-‘57 e poi si mettono insieme nel ‘59-‘60 circa, e lei lì ha veramente conosciuto la passione amorosa, ha veramente perso la testa, divorziò da Meneghini in fretta e furia».
Poi c’è tutta la storia dei gioielli.
«La maggior parte dei gioielli sono andati perduti, quando lei è morta nella casa di Avenue Mandel a Parigi in realtà non hanno mai parlato, né la Bruna né l’altro, pare che ci fossero di mezzo la sorella e la madre, infatti abbiamo tenuto quella battuta della madre: “Quei gioielli che tanto mi piacevano”. Non si sa, c’è un velo di mistero, ma poi su questi personaggi non arrivi mai a conoscere davvero la verità, sono questi miti dove ognuno ha un pezzo di loro, viene anche detto dentro lo spettacolo».