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Continua la stagione della danza del Teatro Comunale di Vicenza con un celebre titolo, in prima nazionale, ispirato a un poema di Lord Byron, “Le Corsaire”, proposto in una versione rivisitata ma rispettosa della tradizione classica, presentato dal Ballet du Capitole de Toulouse. La creazione è firmata dal coreografo Kader Belarbi, direttore artistico della compagnia. Già étoile all’Opera de Paris, fu notato da Nureyev, Belarbi ha danzato con i più importanti coreografi. Lo abbiamo incontrato per farci spiegare la sua visione della danza e de “Il corsaro”.
Lei ha danzato le coreografie degli artisti più importanti come Nureyev, Forsythe, Mats Ek, Pina Bausch, Balanchine, Bejart, Carolyn Carlson, Roland Petit. Qual è stata la sua esperienza con queste opere e con i loro creatori?
Kader Belarbi: “Molto con Roland Petit, ho fatto una decina di sue creazioni, siamo stati anche all’Opera di Roma con Eisabetta Terabust, Dominique Khalfouni. Ho avuto una fortuna enorme: nel 1980 sono diventato étolie e l’Opera di Parigi, che ha sempre proposto molti incontri con tutti i grandi coreografi come quelli che lei ha citato e ogni volta è stata una storia molto particolare, per ogni coreografo che sceglie le étoile e i solisti con cui lavorare. L’Opera di Parigi ha sempre molto aperto anche alle coreografie contemporanee e questo è stato molto arricchente, anche per il pubblico. All’Opera di Parigi sono stato uno degli ultimi a rimanere fino a 45 anni perché la regola ora è 42 anni e mezzo, sia per gli uomini che per le donne, e ho avuto la possibilità di danzare come ospite fino a 48 per “La maison de Bernarda”. Dal 2008 al 2012 sono diventato indipendente, lavoro come coreografo e faccio molti spettacoli e riunioni con i danzatori sia di classico che di contemporaneo, sono artista associato a una scena nazionale, ho fatto delle coreografie e dal 2011 ci sono due città in Francia che mi hanno chiesto di essere direttore di compagnia”.
Come ha immaginato i personaggi di questo “Corsaro”?
“Esistono due versioni: ogni volta io non capivo la trama e la musica era da banda dei pompieri o da circo e non ne ero contento. Ho riscritto la storia aggiungendo un quarto personaggio, la favorita: quindi, ci sono il corsaro, la bella schiava, il sultano e la favorita che si mette in mezzo e tira i fili come se fossero delle marionette, perché lei vuole amare il sultano ma lui vuole la bella schiava che è amata dal corsaro e la favorita gioca con tutto questo mettendo in piedi l’intrigo. “Il corsaro” è un grande balletto classico accademico ma ha anche un orientalismo nello stile e non volevo cadere nel cliché dei dipinti e delle donne velate, quindi ho fatto una cosa molto sobria e minimalista: non ci sono decori e i costumi sono giusto una intenzione, per suggerire”.
I costumi mi sono sembrati di shantung di seta, giusto?
“Sì e anche georgette e crêpe di seta. In un balletto è il corpo del danzatore che deve dire e raccontare la storia attraverso il movimento, è diverso dalla prosa e dall’opera: se tolgo tutte le velature e le dorature, si vede il corpo del danzatore che va a dare l’emozione della storia e della tecnica”.
In questa versione tutti i danzatori hanno un loro ruolo, tutti creano un’ immagine e vengono valorizzati dal colore, dalle luci e dalla recitazione. Ci sono dei momenti in cui alcune scene sembrano veramente dei dipinti. Ho pensato anche a “Fuenteovejuna” (di Antonio Gades, visto al TCVI nel 2009 ndr).
“Sì, molto giusto”
Per lei è importante la cultura figurativa della pittura?
“Se non avessi fatto il danzatore avrei fatto il pittore. Ho sempre dipinto e ho conosciuto una “madre spirituale”, ora ha 80 anni e vende i suoi dipinti in tutto il mondo, Monique Baroni, lei ha un po’la scuola di Pierre Bonnard, molto su colori così. Ho imparato la composizione del quadro, i toni, il lavoro sui colori, i valori e questo mi è servito enormemente come coreografo perché la composizione è pittorica”.
Una cosa che mi ha molto colpito di questo spettacolo è l’uso delle luci, molto delicate e ben calibrate. Anche la mancanza di luce, ha un significato perché anche le ombre creano delle immagini. Ho pensato a un pre-cinema, come la lanterna magica o le ombre cinesi. Come se la luce unisse l’esperienza scientifica della fotografia prima e del cinema poi, insieme alla danza. Qual è il rapporto tra luce e danza per lei?
“Per me non ci sono cose meno importanti di altre: la musica, la luce, i costumi, la danza, hanno lo stesso valore. Metto tutto insieme allo stesso tempo e mentre coreografo cerco di mettere la cosa giusta al posto giusto: a volte deve venire avanti la danza, altre volte bisogna ascoltare più la musica. Avevo deciso che si trattasse di un balletto accademico cinematografico, come se stessimo svolgendo un film coreografico, che noi guardiamo. Se non è interrotto dagli applausi, ho vinto”.
Perché?
“Perché quando guardi un film non ci sono momenti in cui si applaude, lo si fa nel proprio cuore e voglio evitare di spezzare e fare sequenze, succede qualche volta, ma voglio fluidità e che si comprenda tutta la storia. Uscirà un dvd, filmato al Teatro del Capitole, e ho molto discusso perché non sarà una visione piatta, ma con 8 telecamere, non solo di fronte ma con più punti di vista. Questo cambia la percezione dello spettatore che entra ed esce”.