Si avvia alla conclusione la stagione della prosa del Teatro Comunale di Thiene con la pièce “John Gabriel Borkman” penultima opera del drammaturgo norvegese Henrik Ibsen. Sul palco Massimo Popolizio, Lucrezia Lante della Rovere, Manuela Mandracchia e Mauro Avogadro, danno vita ai protagonisti di un dramma familiare complesso e attuale. Con massimo Popolizio abbiamo analizzato la pièce e parlato del film “la Grande bellezza”, in cui lui ha una parte.
I protagonisti di questo dramma sono condizionati dal crack della banca diretta da John Gabriel Borkman, avvenuto circa 25 anni prima. Era il periodo dei del positivismo e sebbene ci sia un continuo rimando a una possibilità di poter in ogni caso rimediare o costruire qualcosa, allo stesso tempo questi personaggi sembrano senza speranza, sembra che il fallimento abbia influito anche nel carattere, nelle dinamiche tra di loro.
Massimo Popolizio: “L’utopia dell’uomo è quella di avere una missione nella vita, usa la finanza come un taxi, un mezzo per riuscire a portare avanti questi progetti anche illecitamente perché fa degli impicci, viene tradito dal suo socio e avviene il crack. Fa 5 anni di carcere preventivo, 3 di cella poi si chiude in casa per 8 anni ed è in questo momento che si apre il sipario, cioè la storia inizia a questo punto della vicenda, quando tutto è già successo. Sono dei Dracula: vivono nell’oscurità e tentano di succhiare il sangue alla vittima giovane che viene sballottato da 3 persone, dalla mamma, la gemella zia-mamma e c’è da notare curiosamente che appena Borkman esce all’aperto muore. Il tutto è farcito da un senso di colpa e il grande vero peccato che ha commesso Borkman (sono calvinisti, non c’è redenzione) è quello di avere rinunciato alla donna che ama, Ella. Lui dice infatti che per espiare non serve confessare, è soltanto con il suo presente e con il suo futuro che un uomo può espiare il proprio passato, e quindi lo farà lavorando e lottando. Il suo senso di colpa viene da questo peccato, aver rinunciato alla possibilità dell’amore, e ancora più grave ci hai rinunciato perché la tua missione di uomo può passare sopra ai fatti personali. Dopo si è sposato con la sorella gemella di lei”.
Ibsen sfrutta l’intreccio che viene svelato dai dialoghi, anticipando le situazioni con dei piccoli indizi. È un teatro con dei dialoghi molto lineari che però creano delle situazioni poliedriche e speculari. Cosa lo rende diverso dagli altri grandi autori del teatro e cosa ha invece in comune?
“Per la mia esperienza è un testo in cui ti devi relazionare. Bisogna distinguere ciò che sa il personaggio e ciò che sa l’attore che deve interpretarlo. In questa indagine ci sono delle cose, appunto degli indizi: il primo atto si apre con le due sorelle che sanno delle cose ma non ne sanno delle altre, il testo ti costringe a relazionarti molto con il tuo partner e con l’altro personaggio, è tutto dialogico, e questo per rendere molto chiare delle situazioni che vai a recitare e sono chiare tanto più è chiaro il percorso che l’attore compie all’interno del personaggio”.
Ibsen insieme a Shakespeare è uno degli autori più rappresentati nel mondo. Shakespeare ha influenzato moltissimo sia tutta la produzione d’avanguardia che il cinema anche più commerciale. Non avviene lo stesso per Ibsen che tra l’altro tratta dei temi estremamente attuali.
“Probabilmente Shakespeare è più fantasioso, con Shakespeare puoi “barare” di più, ti dà più spazio; Shakespeare in realtà si può fare in più modi e anche se lo fai male va bene lo stesso. Ibsen è più difficile, non puoi sbagliare, è abbastanza nordico, appartiene a un certo tipo di cultura. Inevitabilmente noi troviamo gente che si riconosce nella scrittura e nei personaggi di Ibsen, questo lo rende un po’ il grande padre di tutte le soap opera, che poi sono una degenerazione di quel modo di scrivere: le grandi epopee, le grandi storie famigliari, i grandi romanzi. In tutto il mondo continuano a farlo, in Germania lo fanno moltissimo, lo possono anche attualizzare: all’estero una riscrittura di un testo è sempre poi affiancata da una serie di repertorio pazzesco. Il teatro tedesco ne fa molto e quindi si può permettere anche di fare uno Shakespeare contemporaneo. Noi in questo momento facciamo SOLO Shakespeare contemporaneo oppure facciamo delle attualizzazioni, non c’è nulla di male nel farle, e il pubblico non ha più l’altra sponda”.
Non c’è più riferimento al testo integrale.
“Esattamente”.
In un dialogo J.G.Borkman dice che non è detto che la vita sia il bene più caro come può esserlo ciò che si ama. L’amore e gli interessi sono strettamente legati e portano a fare delle scelte a carico delle persone che le subiscono senza meritarle: mi sembra che ricchezza (sia come bene economico che affettivo) e povertà, intesa come privazione, vengano messe sullo stesso piano, che abbiano un’uguale importanza che totalizza al punto che non c’è spazio per entrambe.
“Sì, se ragioni a “pieni”e “vuoti” hai ragione, più che altro la vita affettiva non deve essere da ostacolo alla vita che oggi si dice “professionale” ma più che professionale alla missione della propria vita. Ci sono due battute che sembrano misogine ma che in realtà non lo sono, quando dice: “Queste donne ci rovinano l’esistenza, deviano il nostro cammino e ci impediscono di arrivare alla vittoria”, al fine per il quale io sono nato. “Come donna - dice ad Ella- tu eri certamente il bene più caro che avessi al mondo ma se è proprio necessario una donna si può sempre sostituire con un’altra”. La priorità è quella di seguire la sua utopia ma questo non è gratis”.