Foto Michele Memola
Questa settimana al Garage Nardini di Bassano del Grappa è andata in scena la prima restituzione di una piccola parte del nuovo lavoro della performer e regista Chiara Bersani, realizzato in residenza a Bassano che si chiamerà “Tell me more”. La Bersani si è avvalsa della collaborazione dell’ottetto di voci maschili Into N°8 del coro del Coro Vecchio Ponte. Coprodotto in collaborazione con la Spagna, il progetto performativo esamina l’ancestralità del suono. Abbiamo incontrato Chiara Bersani per parlare del concept del progetto e approfondire alcuni dei feedback espressi durante l’incontro col pubblico.
All’inizio ci sono dei lunghi minuti in cui il coro si accorda con questo respiro molto lungo, come per armonizzare gli artisti con l’ambiente e con il pubblico.
Chiara Bersani: “Sì assolutamente, loro sono un coro abituato ad eseguire delle cose che ha studiato prima, calato dal’alto, qui invece si ritrovano a fare qualcosa che non hanno mai fatto, che devono decidere loro e che arriva dal basso. Questo richiede una grande concentrazione, perciò quello è un momento che serve veramente per accordarsi con gli sguardi, perché non si guarderanno più poi fino alla fine dove si reincontreranno. Non diventano mai veramente cose differenti sono sempre in comunicazione, anche per caricarsi perché comunque il lavoro che gli viene chiesto dopo richiede un’energia che da qualche parte bisogna fare emergere e fomentare, affinché arrivi e li porti ad un’esplosione”.
Questa è una coprodouzione CSC centro per la Scena Contemporanea di Bassano e due enti culturali madrileni: La Tristura e Teatro Pradillo. Tu hai già lavorato in Spagna, come ti sei trovata?
“Il mio approccio con la Spagna è stato attraverso questa compagnia, La Tristura, già molto ben inserita nell’ambiente del contemporaneo e che mi ha permesso di proporre un primissimo studio di questo lavoro. Ho lavorato con un coro di madrileni perché non c’erano le possibilità economiche di portare l’ottetto lì. Darti un’immagine generale della Spagna faccio molta fatica, posso dirti però che ho notato una grande vivacità e una grande curiosità verso l’Italia, il ché mi ha stupita piacevolmente, nel senso che ho notato una grande interesse per un’estetica che loro vedono nei giovani artisti italiani e di cui forse noi siamo un po’ inconsapevoli onestamente: loro conoscono moltissime compagnie nostre e di tutte hanno questa opinione condivisa, che c’è un’estetica tutta italiana. Effettivamente lavoro molto con le immagini e avere una risposta di questo tipo, di qualcuno che mi dice che culturalmente si vede che noi siamo portati all’immagine, è stata una riflessione molto interessante”.
Sicuramente c’è una citazione a Kubrick, al famosissimi brani di Ligeti di “2001 Odissea nello spazio”. Poi intonano alcune note loro, perché come hai detto nel feedback col pubblico, sono molto liberi, però il richiamo è Odissea 2001. È voluto o è casuale? È un’influenza, dato che sei appassionata di cinema?
“Ammetto che non ci avevo pensato però mi fa ovviamente molto piacere. Sicuramente, in quello che è un interesse per i dettagli, io so di essere molto influenzata dal mondo cinematografico, questo sì, ho un interesse molto forte verso il cinema e la fotografia, che penso di considerare un po’ la mia formazione: è ciò che io ho guardato di più per grande parte della mia vita e che ho più assimilato. Anche in questi giorni una videomaker ha seguito tutto il lavoro e c’era appunto la richiesta da parte mia di essere molto attenta ai dettagli, ai movimenti delle mani di queste persone. Ovviamente, nel momento in cui mi ritrovo a presentarlo in una dinamica live come questa, c’è sempre la grande domanda di come farà ad arrivare tutta questa complessità di dettagli…”.
…Che tu concepisci magari per una fruizione video e invece dal vivo è un’altra cosa.
“Esatto, che poi è una delle sfide più interessanti”.
Nella nota stampa tu ti chiedi cosa ci sia prima del canto. Intendi dal punto di vista evolutivo ancestrale?
“Guarda, il discorso evolutivo è nato in questi ultimi giorni: abbiamo notato che nei momenti in cui, prima di aggiungere il movimento, i ragazzi erano in cerchio, dopo un po’ tendevano a cercare il loro accordo che era molto basato su giri di note molto infantili, basici, di una ninna nanna. Quindi ci siamo interrogati molto sulla parte istintiva, animalesca e ancestrale della musica. Poi io con loro ho fatto un lavoro molto più sul nostro corpo presente qui e ora. A me interessava proprio capire da dove fisicamente arriva il suono. Considero questo lavoro, “Tell me more”, una sorta di arrivo: qui metto questo punto e poi partirò con altre cose. È un bel muro che voglio mettere, una torre bella solida, un momento in cui ho voglia di riuscire a dire tante cose e per dirle, per prima cosa, bisogna imparare a parlare. Da qui questa ricerca di una vocalità che ci permetterà poi, quando l’avremo trovata e quando avremo trovato un “abc”, di poter comporre le nostre parole e i nostri discorsi”.