NR. 43 anno XXVIII DEL 23 DICEMBRE 2023
la domenica di vicenza
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Tchakerian fa rima con Lucchesini

La violinista e il pianista applauditi protagonisti della rassegna di classica "Settimane Musicali al teatro Olimpico"

di Elena De Dominicis
elenadedominicis@virgilio.it

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Settimane Musicali al Teatro Olimpico

Anna Cappelli (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)@artiscenichecom

 

Richard-Strauss (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Prosegue la rassegna di musica classica “Settimane Musicali al Teatro Olimpico”, questa settimana con il concerto dedicato a Richard Strauss e a Mozart che ha visto protagonisti sul palco la violinista Sonig Tchakerian e il pianista Andrea Lucchesini. Il programma è stato modificato poiché prevedeva la partecipazione del violoncellista Mario mozart (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Brunello, assente per motivi di salute, che ha dovuto rimandare alla data del 24 giugno il concerto dedicato ai 12 “A solo” di Bach. Per la lirica debutta questa sera l’opera “Così fan tutte” di Mozart, diretta dal M° Rigon con la regia di Lorenzo Regazzo che interpreta la parte di Don Alfonso. Si replica domenica 22 giugno alle 18, lunedì 23 e mercoledì 25 alle ore 20. Info su www.olimpico.vicenza.it

 

Il programma è composto da autori che si sono cronologicamente susseguiti: Mozart, Schubert e poi Strauss. Nel ‘900 i musicisti provenienti da aree geografiche molto diverse si influenzarono tra di loro, nel ‘700 e nell’ ‘800 mi sembra che questo avvenga un po’ meno: ci sono effettivamente delle epoche in cui si distingue il carattere di un componimento come tipicamente tedesco o francese?

Tchakerian (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)SonigTchakerian: “Sì, ci sono proprio delle scritture tipiche tedesche o francesi che dal ‘700 in poi si riconoscono, poi naturalmente il gusto è evoluto, cresciuto e cambiato, i contatti sono aumentati e quindi anche le “contaminazioni” sono diventate sempre più necessarie per i compositori e ognuno, in ogni epoca, già dalla musica esprime la sua terra, cioè un russo tu senti che è un russo, un tedesco senti che è un tedesco, un italiano è un italiano, non c’è niente da fare. È proprio vivere nel mondo in cui stai vivendo, che inevitabilmente ti entra dentro. A seconda della lingua pensi in un modo diverso perché la lingua ti struttura il cervello e anche nella composizione, a seconda del tipo di ambiente nel quale vivi, il gusto, l’estetica: un veneziano non è uno di Berlino o di Parigi. Una volta poi erano ancora più diversi”.

Non si perde identità?

S.T.: Spero di no perché l’identità è una cosa molto importante. Si perde per esempio l’identità artistica: una volta gli strumentisti e gli artisti che suonavano erano molto più indipendenti l’uno dall’altro perché si sentivano poco tra di loro, invece al giorno d’oggi è chiaro che il gusto in qualche modo diventa un po’ più omogeneo, si contamina più facilmente quindi ci sono meno differenze, addirittura sono meno distinguibili a meno che uno non sia davvero un grandissimo”.

Come mai ci sono dei paesi in cui la musica “colta” ha una maggiore attrattiva su un pubblico trasversale di tutte le età?

S.T.: L’Italia ha subìto, in bene e in male, molto l’influenza dell’opera nell’ ‘800: In Italia anche il contadino che lavorava la terra cantava l’aria d’opera, ha avuto quella diffusione che in Germania ha avuto la musica strumentale. In Italia è rimasta inevitabilmente un po’ di lato”.

Lucchesini (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Andrea Lucchesini: “Gli anni in cui in Germania e nei paesi del centro ed est Europa si faceva musica a casa, era musica da camera o per pianoforte solo, la sinfonica si ascoltava, qua abbiamo avuto 20-30 anni dove l’opera ha fatto da padrone e ha cancellato completamente l’altro tipo di musica”.

Alla fine dell’800 e primi del 900 c’era stato un movimento che cercava di smantellare questa tradizione dell’opera per cercare di ripristinare quella di uno “strumentiamo” italiano che poi si rifaceva anche al ‘700.

A.L.: “Esattamente, però non ce l’hanno fatta, molto probabilmente perché l’impatto dell’opera era così radicato nella famiglie, i miei nonni sapevano a memoria tutte le opere, le parole e la musica, e sono cresciuti con una cultura fortissima però che era riservata esclusivamente al mondo dell’opera, una sinfonia di Beethoven non sapevano nemmeno come facesse. È anche un messaggio molto più facile da far passare, certamente i paesi tipo la Germania, l’Austria o la Francia hanno preso molto dall’opera italiana, la cantabilità italiana era sempre un punto di riferimento, l’hanno presa e sfruttata in ambito sinfonico e cameristico e soprattutto era qualcosa che si poteva riprodurre a casa. È quello che fa oggi la televisione, loro lo facevano con gli strumenti perché tutti suonavano, avevano un pianoforte in casa e passavano le serate a fare musica; è una tradizione che da noi non è mai esistita”.

Lei parla appunto di diffusione popolare: prima nelle famiglie c’era Beethoven, Bach eccetera adesso no. Cosa ha portato a questo impoverimento dell’ attrazione?

A.L.: “Da dopo Stravinsky la musica si è allontanata dal pubblico e si è creato un sistema secondo il quale più difficile era, più valida era la musica. Questo ha allontanato il pubblico perché va a sentir e un pezzo di musica contemporanea e non riesce a trovare dei punti di riferimento e quindi si allontana. È anche un motivo per cui fenomeni come Allevi e Einaudi sono popolari e hanno avuto successo”.

FILM_MUSICA. (Art. corrente, Pag. 1, Foto generica)Parlando di Strauss: lui era tedesco (nessun legame con gli Strauss austriaci ndr), ha scritto anche musica da film negli anni ‘20 e proprio grazie al film di Kubrick “2001 Odissea nello spazio”, uno dei suoi poemi sinfonici, Così parlò Zarathustra, è diventato famosissimo. Lui è stato tra l’altro anche uno dei primi musicisti imprenditori, attento alla tutela del prodotto musicale e del musicista. Non c’era una vera e propria percezione del musicista e degli artisti in genere come di professionisti, come essere ingegneri o medici. Cosa è stato a far cambiare opinione alla gente?

S.T.: “Al giorno d’oggi siamo diventati tutti i imprenditori per forza di cose, una volta se non era il musicista di corte che aveva il suo sostenitore, il musicista viveva così, dipende poi se facevi il grande solista, se poi vivevi nel ‘700 e ‘800. Il musicista che si cala un po’ anche nella vita quotidiana è una cosa più recente che accadde sempre di più, è una delle tante caratteristiche necessarie al giorno d’oggi per andare avanti”.

Strauss è vissuto durante il periodo del nazismo. I regimi in genere hanno dato molta importanza alle arti sia nella musica che al cinema, sia per promuoverle che per censurarle. Oggi la politica non si interessa molto della cultura né di sostenerla né tantomeno di censurarla, è più facile che sia un organismo religioso ad esprimere un giudizio o una linea guida. Come mai l’arte non ha più la forza di “disturbare” il potere?

A.L.: “L’ arte per chi ci governa è molto poco importante perché non la conoscono, nella maggior parte dei casi, è molto più interessante per loro un movimento d’opinione che si sviluppa attorno allo sport per esempio, questo sì, ma secondo me l’arte non riescono nemmeno seguirla purtroppo e quindi non possono capire se è un’arte a favore o contro il loro modo di operare. Sicuramente se un’opera va contro dei principi religiosi è più semplice; al tempo del nazismo si faceva molto presto, era musica degenerata quella e messa al bando, non solo musica degli ebrei ma era anche tutta quella musica che cedeva alle emozioni, che era una musica cromatica, musicisti seri che avevano individuato in un certo tipo di composizione qualcosa che non andava, diciamo, d’accordo coi principi in questo caso del nazismo. Adesso va tutto bene quello che ascoltiamo, in televisione c’è di tutto e di più, non ci si stupisce più di niente”.

Però, parlando di musica e di emozione: sempre più spesso si dice che la musica deve dare emozione e lo si dice anche del cinema o della danza. Questo non uccide il senso critico delle persone? Ci si può emozionare anche con delle cose molto primitive.

AL.: “Assolutamente, sono d’accordo. La dimostrazione del successo di Allevi è grossissima: senza avere nulla contro di lui, lui fa bene a fare quello che fa, la gente va a sentirlo quindi va benissimo però da un punto di vista musicale, della composizione, del pianismo, è un messaggio molto semplice e quindi forse è anche il motivo per cui piace molto, perché è così semplice che tutti possono capirlo e divertirsi. Mi sembra molto molto strano che coloro che vanno ad ascoltare quel tipo di musica non si divertano quando vanno ad ascoltare Chopin che è molto più valida come scrittura e ha lo stesso impatto emotivo: sono pezzi brevi spesso, quelli di Chopin; spesso la musica classica ha questo difetto, che richiede all’ascoltatore grande attenzione per lungo tempo ma Chopin è un maestro delle forme brevi. C’è il battage pubblicitario che sta dietro: lo vedono in televisione, fanno un’opera di divulgazione del nome molto importante a quel punto qualsiasi cosa faccia va bene e deve essere un successo, è come l’ultimo dell’anno che ci si deve divertire per forza”.

Conoscere molto bene un brano porta ad apprezzarlo profondamente. Ci sono alcune musiche che però catturano il pubblico fin dal primo ascolto, indipendentemente che si tratti di musica classica, rock, popolare, jazz o altro. L’apprezzamento dato dallo studio è diverso da quello dato dalla capacità immediata di penetrazione di un brano?

A.L.: Sono tipi di soddisfazione diversa, un brano che ti conquista subito molto probabilmente ha delle caratteristiche tali per colpirti subito, altri anche a una prima lettura non dicono niente e poi a forza di approfondire e studiare si riesce a comprendere molti più significati e riusciamo, speriamo, a passare il messaggio anche a chi ascolta, questo nella musica moderna e contemporanea è fondamentale”.

 

nr. 24 anno XIX del 21 giugno 2014



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